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1948, il Senato di allora sia modello per oggi. Il discorso di Finocchiaro

Di Anna Finocchiaro

Ripensare e osservare, rileggendo gli atti parlamentari, e guardando ai loro esiti, il lavoro svolto tra il ‘48 e il ‘53 in Senato: sia pure con inciampi, errori e contraddizioni, in quella difficoltà fu il faticoso farsi carne della prudenza e della ragione costituzionale, due virtù il cui valore non può e non deve smarrirsi. L’intervento di Anna Finocchiaro alla cerimonia per i 75 anni della prima seduta del Senato

L’8 maggio 1948 si apre dunque la prima seduta del Senato della Repubblica, per la prima volta rappresentativo, e dunque “organo nuovo” dell’impianto costituzionale. La composizione è mista, elettiva e di diritto secondo la III disposizione transitoria della Costituzione. Solo quattro le donne: Bei, Merlin, Montagnana, Palumbo. Quattro presidenti si succederanno: Ivanoe Bonomi, che è stato, dopo l’8 settembre, a capo del Comitato centrale di liberazione nazionale e, dopo la liberazione, designato all’unanimità Capo del governo, Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato e che sarà presidente della Corte Costituzionale, Giuseppe Paratore, che si dimetterà per dissidi con De Gasperi sull’iter di approvazione della legge elettorale (la cd legge truffa), Meuccio Ruini, che ha presieduto la commissione dei 75.

La Dc ha la maggioranza assoluta alla Camera e quasi la raggiunge al Senato, la forza e l’autorevolezza politica di De Gasperi, presidente del Consiglio uscente e degli esecutivi successivi sono due elementi indiscutibili. Essi indurranno a ritenere che questa prima legislatura possa assimilarsi ad un “parlamentarismo all’inglese”, in cui sebbene il governo dipenda dal Parlamento per il voto di fiducia, pure la maggioranza quasi assoluta e l’autorità di De Gasperi condizionano e invertono il rapporto.

La realtà è più complessa: i partiti minori della più che larga maggioranza di governo (socialdemocratici, repubblicani, liberali) temono di essere “cannibalizzati” dalla Dc, l’opposizione, pur sconfitta nelle urne, è forte ed organizzata ma è esclusa la possibilità di alternanza, tensioni sociali percorrono il Paese segnato da distruzione, mancanza di lavoro, miseria e sono pronte a manifestarsi con lotte operaie e contadine, per il lavoro, per la terra. Solo un anno è trascorso dalla strage di Portella della Ginestra, e la mafia entra prepotentemente a garantire il perpetuarsi degli equilibri di potere, anche nel nuovo quadro politico e istituzionale, è del 14 luglio del ‘48 l’attentato a Togliatti.

In questo contesto, la scelta sui regolamenti parlamentari, è cruciale, perché qui si gioca l’efficacia e la forza del Parlamento. Ed ancora più significativa per il Senato che, divenuto elettivo e con identiche funzioni rispetto alla Camera, deve darsi un regolamento inedito. Quest’aula lo approva il 18 giugno, a poco più di un mese dall’insediamento, è approvato pressoché plebiscitariamente.

Il passaggio, come spesso accade con le modifiche regolamentari, è sottovalutato dallo stesso De Gasperi: le nuove regole infatti estendono la possibilità del voto segreto e ciò rassicura i partiti minori della maggioranza, di certo rafforza l’opposizione bloccata dal difetto di alternanza, ma anche le correnti della Dc, “consentendo ad una o più di esse di unirsi occultamente nel voto alle opposizioni e di rovesciare governi cui si assicurava in sede ufficiale il sostegno” (Elia). Non è un caso che l’emendamento che estende il voto segreto, a firma del comunista Mario Palermo, passi per 11 voti a voto segreto.

Quella scelta, in quel contesto storico e politico (non certo nell’oggi così mutato) non è una scelta irriflessiva: essa risulta determinante per correggere quel maggioritarismo, senza possibilità di alternanza, indotto dalla forza della Dc e dalla personalità di De Gasperi e consente che il Senato assuma la fisionomia cassa di risonanza delle questioni che attraversano tutto il Paese e, insieme, che qui si ricerchi necessariamente la decisione più largamente condivisa, usando quella capacità di transazione già sperimentata in Costituente e che aveva dato esiti eccellenti.

Lo stesso De Gasperi confesserà nel suo discorso testamento al congresso politico della Dc del ’54 di avere sottovalutato il passaggio. Gli osservatori annotano che tale sottovalutazione determinerà tentativi di forzature regolamentari e la stessa legge truffa, pensata per consolidare definitivamente la forza politica del partito riducendo spazi di manovra agli inquieti alleati e assicurando stabilità agli esecutivi.

A distanza di 75 anni mi sento di dire che i due fantasmi che si aggiravano nel dibattito politico, e cioè il monopolio istituzionale, e politico, della Dc, e la deriva che aveva segnato il Parlamento di Weimar, furono tenuti a bada anche grazie a quel regolamento e a quello che induceva, in primo luogo la ricerca di una decisione il più possibile condivisa.

Mi sento di dirlo scorrendo l’elenco dei provvedimenti più importanti adottati nella legislatura: la legge istitutiva dell’Eni, così legata al nome di Enrico Mattei e pensata per dare all’Intero Paese l’accesso all’energia per la sua crescita economica, e sociale, quella della Cassa per il Mezzogiorno per l’intervento straordinario, la legge sulla limitazione della proprietà fondiaria per una più equa ripartizione dei fondi agricoli, la legge sulla casa, pensata per incrementare l’occupazione operaia e la costruzione di case per i lavoratori, l’adesione al Patto Atlantico, la legge sulla composizione e il funzionamento della Corte Costituzionale (quattro anni di dibattito serrato per finalmente consentire l’operare della Corte) ed anche la legge elettorale, contestatissima e per approvare la quale si dovette ricorrere appunto ad una forzatura regolamentare che costò le dimissioni del presidente Paratore e la via crucis (come egli stesso la definì) del presidente Ruini.

Ricorderete che alla fine del suo intervento in discussione generale sul progetto di Costituzione Benedetto Croce pronunciava le parole di quello che definì l’inno sublime: Veni Creator Spiritus.

Più laicamente, e di certo assai più modestamente, suggerirei però di ripensare a quella prima legislatura in un tempo assai aspro e difficile per l’Italia, che affrontava da sconfitta la fine di un disastroso conflitto e insieme la conquista della democrazia, in un quadro internazionale difficile quando non ostile, premuta dalla necessità della rinascita economica e sociale, e del compimento del più ambizioso dei progetti per una società giusta, quello scritto in Costituzione. Di ripensare e di osservare, rileggendo gli atti parlamentari di quegli anni, e guardando ai loro esiti, che anche il lavoro qui svolto tra il ‘48 e il ‘53, sia pure con inciampi, errori e contraddizioni, e in quella difficoltà fu il faticoso farsi carne della prudenza e della ragione costituzionale, due virtù il cui valore non può e non deve smarrirsi nell’oggi.

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