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Cosa manca per la forza Ue di intervento rapido? L’analisi di Samorè (Ecfr)

Di Silvia Samorè

In autunno è prevista la prima esercitazione nel Sud della Spagna. L’impegno degli Stati membri, inclusa l’Italia, sarà determinante affinché quello che sembra essere il più promettente strumento di politica di sicurezza e difesa in mano all’Europa si trasformi in realtà quanto prima. Scrive Silvia Samorè, Pan-European Fellow presso l’ufficio di Roma dello European Council on Foreign Relations

All’indomani della pubblicazione della Bussola Strategica, nel marzo 2022, la comunità europea degli esperti di sicurezza e difesa ha sicuramente guardato con curiosità e speranza alla previsione di creazione della EU Rapid Deployment Capacity (EU RDC). Questo strumento, infatti, potrebbe davvero portare l’Unione europea ad affermarsi in maniera molto più credibile come attore geopolitico in grado di garantire la stabilità del suo quadrante geografico. La proposta iniziale era pervenuta a Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nel maggio 2021 in un meeting con i ministri della Difesa dei Paesi membri. In quell’occasione, quattordici di essi avevano chiesto che lavorasse alla creazione di una forza di reazione rapida per rispondere alle crisi anche al di fuori dei confini dell’Unione europea. Tra questi troviamo Italia, Francia e Germania. La richiesta è stata accolta e inserita appunto nella Bussola Strategica, fissando al 2025 la scadenza ultima per la sua realizzazione.

Nella Strategic Compass del 2022, l’EU RDC viene descritto come una forza modulare di almeno 5.000 unità, da concepirsi come una versione migliorata degli EU Battlegroups, in funzione dal 2007 ma mai adoperati a livello operativo. La caratteristica di questo nuovo strumento è innanzitutto la combinazione di diverse componenti (terrestre, aerea e marittima), con la finalità di agire in maniera rapida di fronte alle crisi in diversi scenari operativi. Il dibattito che ha animato la comunità dei ricercatori e degli esperti sembrava essersi arenato, fino a che a marzo il comitato Affari esteri del Parlamento europeo ha adottato un documento che è stato infine discusso in seduta plenaria, portando alla pubblicazione di un report intitolato “EU Rapid Deployment Capacity, EU Battlegroups and Article 44 TEU: the way forward” il 19 aprile 2023.

Il Parlamento europeo innanzitutto riconosce l’importanza strategica della creazione dell’EU RDC nel più breve tempo possibile, considerandolo forse uno dei risultati attesi più significativi della Bussola Strategica. Nelle premesse del documento vengono citate moltissime considerazioni in merito alla sua necessità per rafforzare le capacità dell’Unione nello svolgimento delle missioni di CSDP (Common Security and Defence Policy), come il rischio che un ritiro prematuro possa in realtà lasciare la nazione ospitante ancora in condizioni di debolezza tali da non poter provvedere da sola alla sicurezza della propria popolazione. Ma ovviamente gli elementi più interessanti riguardano le lezioni apprese dall’esperienza dei Battlegroup.

Benché si affermi che la loro esistenza sia stata funzionale ad un miglioramento delle capacità di cooperazione in materia di sicurezza e difesa, il fatto che non siano mai stati attivati ne dimostra le fragilità intrinseche. In particolare, uno dei maggiori ostacoli al loro utilizzo riguarda le modalità di finanziamento che seguono il principio “costs lie where they fall”: essendo unità militari fornite a rotazione dagli stati membri, il costo del loro impiego sarebbe ricaduto interamente su coloro che al momento stavano fornendo personale e risorse. Questo, unito al fatto che l’iter decisionale per il loro impiego prevede l’unanimità, hanno sempre disincentivato gli stati coinvolti ad approvare la loro attivazione. Per questo motivo, il Parlamento europeo auspica e propone di prevedere diverse modalità di finanziamento per l’RDC, utilizzando il budget dell’Unione per i costi di tipo amministrativo e per tutto il resto, compresi gli aspetti che riguardano più nello specifico la componente militare, uno Strumento Europeo per la Pace (EPF) potenziato, ma pur sempre fuori bilancio, così da non infrangere le disposizioni dell’articolo 42 del Trattato di Lisbona.

Il report arriva a definire diversi aspetti della configurazione di questa nuova capacità di reazione rapida, tra cui l’assegnazione dell’MPCC (Military Planning and Conduct Capability) come operational headquarter, ma forse uno degli aspetti su cui insiste maggiormente, insieme a quelli legati al finanziamento, riguarda la necessità impellente di migliorare le capacità degli Stati membri in merito agli enablers strategici. Le finalità operative di questo strumento sarebbero infatti impossibili da raggiungere se permane l’attuale situazione di dipendenza da parta europea degli asset strategici statunitensi, che in ambito Nato possono non costituire un problema, ma lo diventano in prospettiva del raggiungimento di una maggiore autonomia strategica. L’Europa ha capito che deve migliorare le sue capacità come security provider nel suo scenario di riferimento, il vicinato meridionale e quello orientale in primis, ma questa consapevolezza arriva anche con la responsabilità di intraprendere una strada verso un miglioramento concreto delle proprie capacità.

Nell’attesa di vedere quali saranno i prossimi passi, verosimilmente nelle mani del Consiglio e della Commissione, in autunno 2023 è prevista la prima esercitazione nel Sud della Spagna, almeno stando alle previsioni della Bussola Strategica. Se questa è la via, l’impegno degli Stati membri, inclusa l’Italia, sarà determinante affinché quello che sembra essere il più promettente strumento di politica di sicurezza e difesa in mano all’Europa si trasformi in realtà quanto prima.

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