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Gigante nelle analisi, rapido nel correggersi. Kissinger letto da Parsi

Di Vittorio Emanuele Parsi

Oggi sulla necessità di sostenere l’Ucraina, di bloccare la guerra di aggressione russa e di accelerare l’ingresso di Kyiv nella Nato, il grande vecchio ha cambiato opinione, diventandone un sostenitore da scettico che era. A 100 anni suonati, e con tanta carriera e prestigio alle spalle, una dimostrazione della sua straordinaria vivacità e onestà intellettuale

In occasione dei cento anni di Henry Kissinger, Formiche dedica uno speciale all’ex segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, raccogliendo contributi e riflessioni su una delle personalità più influenti del Novecento. Qui ospitiamo il contributo di Vittorio Emanuele Parsi

Il più longevo e influente esperto di politica internazionale, che a volte ci ha “preso”, altre volte no, ma è sempre stato rapido nel correggere le sue posizioni quando la realtà ne dimostrava la fallacia. Per un professore e per un decision maker si tratta di gran lunga della qualità più apprezzabile e meno diffusa. Henry Kissinger appartiene a quella scuola del realismo classico delle Relazioni Internazionali il cui capostipite fu Hans Morgenthau (un altro ebreo tedesco che fondò la disciplina negli Stati Uniti degli anni Quaranta) ma che si ispira a Metternich, Hobbes, Machiavelli, Tucidide…

Magnifico conoscitore della storia, ha sempre saputo scrivere giganteschi affreschi sulle vicende della politica internazionale, fornendo delle ipotesi di limitata sistematizzazione. Il suo peso come policy maker è stato comunque assai più rilevante del contributo fornito allo studio della politica internazionale, mentre gigantesca rimane la sua opera di divulgazione dell’oggetto che lo ha appassionato per tutta la vita.

Il paradosso è che la carriera di studioso e saggista di Kissinger è stata molto più lunga del periodo durante il quale ha ricoperto incarichi di potere. Eppure, in quei pochi anni nei quali è stato consigliere per la Sicurezza nazionale e poi segretario di Stato, durante le due presidenze Nixon e quella di Gerald Ford, Kissinger ha lasciato il segno nella storia.

Ha reagito al declino relativo della potenza americana negli anni ’70 con mosse talvolta ciniche, come le trattative di pace con il Vietnam del Nord che consentì il disimpegno Usa da una guerra perduta ma abbandonò al loro destino gli alleati del Sud. In quell’occasione ottenne il premio Nobel per la pace, nonostante le sue responsabilità nell’allargamento del conflitto alla Cambogia, che in conseguenza di ciò finirà nel girone infernale del terrore dei Khmer rossi, fossero già risapute. Rispetto al golpe di Pinochet e all’omicidio del presidente cileno Salvador Allende, il comportamento di Kissinger fu tanto illegale quanto moralmente riprovevole.

Ma l’apertura alla Cina, di cui il sacrificio del Vietnam del Sud costituì il prezzo necessario, cambiò l’inerzia ella Guerra fredda e gettò le premesse per la sconfitta sovietica nel decennio successivo. Certo, quell’operazione lasciò in eredità la questione di Taiwan, che oggi rischia di esplodere. Ma all’inizio degli anni ’70 né la Cina né Taiwan potevano essere immaginate divenire quello che oggi rappresentano (una superpotenza in ascesa la prima e una vibrante democrazia la seconda) e non possono essere imputate a Kissinger le responsabilità di Bill Clinton e della sua politica di engagement verso Pechino.

Così come decisiva fu la sua mossa di iniziare quel dialogo tra Tel Aviv e Il Cairo che, sotto la presidenza Carter, porterà al trattato di pace di Camp David tra Egitto e Israele, alla riapertura del Canale di Suez e alla progressiva trasformazione del Medio Oriente in un’area sotto l’egemonia americana. il delinking tra pace israelo-egiziana e questione palestinese in realtà contribuì a fare incistare il dramma del popolo palestinese, così come il patronage americano dei regimi autoritari della regione finì per alimentare la diffusione dell’islamismo radicale e delle sue manifestazioni terroristiche. E oggi il Medio Oriente è contendibile (e conteso) alla solitaria egemonia americana, con i clienti di una volta (a partire dai sauditi) e persino gli alleati storici (Israele) che fanno orecchie da mercante alle richieste di Washington.

Il punto di debolezza principale della visione e dell’azione di Kissinger fu quello di sottovalutare il ruolo che le opinioni pubbliche e gli ideali svolgono sempre di più nella politica internazionale, che non funziona più come ai tempi di Metternich, con le sfere di influenza, le guerre per procura, i proconsoli e i re fantoccio. Neppure la lezione (in negativo) della sconfitta in Vietnam e quella (in positivo) del crollo del Muro di Berlino hanno realmente scalfito questa sua allure coriacemente conservatrice.

Non è un caso che questo vetusto armamentario concettuale sia oggi utilizzato da Putin e dai suoi vessilliferi disseminati nel mondo, che per un po’ hanno eletto Kissinger a loro paladino, salvo poi dover ripiegare su Mearsheimer: un critico molto più radicale della politica estera americana e dell’ordine internazionale liberale. Di quest’ordine Kissinger non è invece mai stato un avversario, era consapevole di vivere e di poter agire politicamente proprio dentro e grazie a quell’ordine e alle sue premesse, benché riguardo alle sue promesse abbia sempre mantenuto un robusto scetticismo. Oggi sulla necessità di sostenere l’Ucraina, di bloccare la guerra di aggressione russa e di accelerare l’ingresso di Kyiv nella Nato, il grande vecchio ha cambiato opinione, diventandone un convinto sostenitore, da scettico che era.

A 100 anni suonati, e con tanta carriera e prestigio alle spalle, è una evidente dimostrazione della sua straordinaria vivacità e onestà intellettuale, da cui non possiamo che trarre insegnamento e alla quale è un piacere inchinarci. Se il realismo italico, che il cinismo di Kissinger ama tanto scimmiottare, fosse dotato della metà delle sue qualità e del suo rigore, allora sì che fornirebbe un contributo alla comprensione e alla spiegazione della politica internazionale in una fase così delicata e volatile come l’attuale.


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