Pubblichiamo la trascrizione del discorso (a braccio!) pronunciato da Gianni Letta alla XIV edizione del premio Guido Carli. Sul ruolo chiave avuto dallo statista nella difesa degli interessi italiani (in realtà, europei) durante i negoziati del Trattato di Maastricht: “Gli altri ministri tacevano quando parlava lui”. Grazie alla sua autorevolezza poté fare battaglie fondamentali contro il cieco rigore di Olanda e Germania
Tutti i premiati della XIV edizione del premio Guido Carli
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Che spettacolo. È buio, ma si vede una sala straordinaria. E sì che questo Teatro dell’Opera di Roma, il Costanzi, di eventi memorabili ne ha visti tanti. Ma tutti insieme. Il Papa, attraverso la voce di Romana Liuzzo, il Presidente della Repubblica Mattarella, il saluto del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i due ministri, il ministro dell’Interno Piantedosi, che ci ha fatto un bel programma di governo, Il ministro degli Affari europei Fitto. Una giuria che avete visto sfilare, più autorevole non potrebbe essere, senza eguali. E vedrete poi i 14 premiati. Fanno di questa serata veramente un evento memorabile. Sovrintendente Giambrone, può essere contento che l’Opera di Roma ospiti una manifestazione come questa. E Guido Carli da lassù. Guido Carli, che amava le cose fatte bene, che apprezzava l’impegno, cara Romana, ti dirà certamente “brava”, e te lo diciamo anche noi.
Sono passati trent’anni e pochi giorni da quel 23 Aprile in cui Guido Carli ci ha lasciato e sono 14 anni che, attraverso il premio istituito e fondato da Romana Liuzzo, sua nipote, lo ricordiamo. Per riproporne quella ineguagliabile lezione. Perché non vada dispersa la sua eredità morale, per indicarne l’esempio ai giovani. E lo ha detto il Ministro Fitto con riferimento agli affari europei. Lo ha detto il ministro Piantedosi molto bene, parlando di quel drammatico problema che è l’immigrazione. Mai il discorso di Carli, la lezione di Carli, è stata più attuale di oggi, la sua straordinaria attualità è segnata proprio da due dei temi che hanno toccato i due ministri: è l’anno del Pnrr, sono i giorni della riforma del Patto di stabilità.
Si discute dell’Europa di domani. E spuntano parole nuove, oggi di moda, una per tutte resilienza, che si incrociano con parole più antiche, quelle che infiammarono il dibattito di Maastricht e che hanno accompagnato questi trent’anni, anche con polemiche e scontri tra i paesi europei. Le parole mitiche del rigore e della flessibilità. Della crescita e dello sviluppo degli investimenti e dei tassi di interesse, dell’occupazione e della disoccupazione, e intrecciandosi in maniera varia e diversa queste parole disegnano scenari diversi. Opposti e talvolta conflittuali.
Evocano anche due modelli di Europa. C’è voluta la pandemia per scoprire l’Europa solidale del Next Generation Eu. Quella che pensa insieme e affronta insieme i problemi di tutti, anche facendo ricorso per la prima volta al debito comune. E quell’Europa della solidarietà, che sognava Carli, in cui Carli credeva e per la quale si è tanto speso e che ha contribuito a costruire e a far nascere lasciando un’impronta forte: quella della sua personalità sul Trattato di Maastricht.
Nell’anno 1990, dopo il Vertice di Roma che aveva deciso l’Unione monetaria ed economica dei paesi, sapevamo che il negoziato sarebbe stato difficile e tormentato. I capi di Stato decisero di articolare il negoziato su tre livelli, quello politico, affidato direttamente ai capi di Stato e di governo, e per l’Italia c’erano il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il ministro degli Esteri Gianni De Michelis, quello economico e finanziario affidato ai ministri delle Finanze (in seno all’Ecofin) e per l’Italia c’era Guido Carli; infine quello più specificatamente tecnico e monetario affidato al monetary committee e per l’Italia c’era Mario Draghi.
Il negoziato fu non solo difficile, ma lungo. Durò più di un anno e mezzo. Ma alla fine arrivò a una conclusione. Il protagonista assoluto di quel negoziato, scompaginando anche i tre livelli, fu Guido Carli. Già dall’inizio affermò la sua visione dell’Europa, difendendo anche gli interessi dell’Italia, convinto che quelli dovessero comporsi in un quadro europeo armonico. Si è battuto come pochi. E ha potuto ottenere quei risultati per il suo personale prestigio, per la sua autorevolezza, richiamata poco fa dal ministro Fitto. Prestigio che da tutti i partner veniva riconosciuto.
Ecco come lui raccontò i fatti, all’indomani della firma del Trattato di Maastricht: “Mi sono battuto con tutte le mie forze contro concezioni che mi sembravano abominevoli dal punto di vista della teoria e della logica. Era assurdo pensare che l’analisi sulle condizioni di finanza pubblica di un paese venisse fatta sulla base di un riscontro di quantità determinate in termini di punti percentuali rispetto al PIL in un determinato momento”. Contestò questa tesi di fondo. E fece modificare quei criteri. E i famosi (o famigerati) parametri di Maastricht che hanno costituito l’incubo per tanti governi.
Lui riuscì a ottenere due risultati straordinari, fondamentali per l’Italia ma anche per l’Europa. Innanzitutto riuscì a ottenere che quei parametri non venissero iscritti nel Trattato ma in un allegato, la famosa tabella, convinto che così, essendo una fonte normativa di rango inferiore, avessero un vincolo meno stretto, meno esigente, meno rigido di quello che avrebbero avuto, invece, se fossero stati inseriti nel Trattato. E poi, che il vincolo dello stock del debito fosse indicato come tendenza e non come una soglia rigida. Fu la battaglia più dura, più difficile. Ma fu il successo più grande. In questi giorni avete sentito le discussioni sulla riforma del Patto di stabilità. Ci sono i paesi che vogliono la soglia rigida, ci sono quelli che, invocando la “tendenza” contenuta nel Trattato, vogliono giustamente maggiore flessibilità.
Fece la battaglia sugli investimenti, quella di cui si parla in questi giorni. Fece la battaglia per l’occupazione. Convinto, come disse, che è difficile accettare con animo leggero il fatto che l’obiettivo della stabilità dei prezzi sia indicato senza alcun riferimento a livello occupazionale, dunque al benessere della comunità, quel bene comune di cui ci ha ricordato Papa Francesco.
Ha provato ripetutamente nel corso del negoziato a inserire tra i criteri anche il livello di disoccupazione che pochi mesi dopo sarebbe riemerso, dopo tanta dimenticanza, come il problema principale dell’Europa e il problema con cui ci stiamo misurando ancora oggi. Lo ha fatto non solo con quella competenza proverbiale, ma con una passione esemplare, un impegno straordinario, un prestigio riconosciuto dagli altri, ma anche con un coraggio e una veemenza che ancora ricordano in Europa. Se lo poteva permettere, perché era Guido Carli.
All’ultimo Consiglio dei ministri europei prima di Maastricht, sotto la presidenza olandese, Carli si presentò con queste parole: “Sono grato alla Presidenza olandese per aver presentato il documento nel quale sono contenute proposte e concernenti la transizione verso la fase finale della costruzione dell’Unione economica e monetaria. Desidero però dichiarare subito che il governo italiano respinge quelle proposte, sia perché sono viziate da errori concettuali, economici, politici, sia perché si situano in rotta di collisione con le conclusioni del Consiglio europeo dell’autunno scorso”. E poi, con quella capacità e competenza che aveva, smontò uno ad uno tutti i punti, i temi, le proposte della dell’Olanda e concluse con una fine ironia: “Questo modo di pensare – disse, ironia raffinata ma sferzante – mi ricorda un po’ quello di un Presidente di Banca centrale, il Presidente della Banca nazionale d’Olanda, appunto, il dottor Holtrop. Nel corso degli anni ‘60, l’Economist gli dedicò un ampio articolo sotto il titolo Secondo il dottor Holtrop, il mondo è in squilibrio fondamentale. Verso i Paesi Bassi’”.
Ironia che poteva permettersi per quella autorevolezza così riconosciuta e per quella competenza: fu il protagonista principale a Maastricht. Visto che siamo in un teatro, potrei dire, senza peccare di irriverenza, fu il mattatore di Maastricht, così come gli hanno riconosciuto giustamente e doverosamente gli altri membri della delegazione, a cominciare dal Presidente del Consiglio che portava la responsabilità del negoziato e la cui firma è al primo posto prima di quella di Carli. Andreotti disse: “Devo dire, e lo dico sempre, che il ruolo di Carli è stato decisivo durante le riunioni dei ministri delle Finanze di diversi paesi. I 12 negoziatori per le questioni economiche tacevano quando parlava, compreso il tedesco. Che non aveva possibilità di replicare”.
Solo la sua autorevolezza ha consentito all’Italia di strappare quelle formulazioni e quelle condizioni che poi hanno reso possibile anni dopo l’entrata della lira nell’euro, che altrimenti sarebbe stata impossibile. E per il ministro degli Esteri De Michelis, Maastricht, è stato il contributo maggiore che Guido Carli ha dato all’Italia in tutta la sua carriera di governatore, di politico, di uomo, di governo, di uomo, di industria. E secondo Mario Draghi, il terzo negoziatore, il presidio di Carli all’Ecofin non aveva paragoni.
Ecco cosa dice di lui: “Carli era ricordato per il ruolo che aveva avuto negli anni ‘70, negli anni ‘60 e prima ancora come Presidente dell’Unione europea dei pagamenti, ma aveva capacità particolari: primo, parlava in inglese, tedesco e francese, senza alcuna difficoltà; secondo, i testi preparati li inglobava, li assimilava e parlava senza un pezzo di carta davanti. Come se leggesse un libro parlava con una sintassi perfettamente costruita, un bel periodare di impostazione classica con una precisione di linguaggio assoluta. E questo in tre lingue”.
Draghi evoca i contributi lontani. Perché il contributo che Carli ha dato al nostro paese all’Italia ha radici antiche. E fronde più fresche, più recenti. Il Presidente Mattarella, ricordandolo, ha detto: “La Repubblica deve molto all’intelligenza, all’opera, al rigore morale di Guido Carli. Per la verità. L’opera di Carli in favore del nostro paese è cominciata prima ancora. Lo troviamo nel ‘44 direttore dell’Ufficio italiano dei cambi. Lo troviamo nel ‘45 come componente della commissione di studio per la ricostruzione finanziaria dell’Italia.
Lo troviamo stesso anno nella delegazione italiana a Parigi per il negoziato sul trattato di pace al fianco di De Gasperi, che poi accompagnerà anche nel ‘47 insieme a Menichella e Campilli, in quel viaggio in America che segnò il primo prestito per la ricostruzione di cui Carli è stato grandissimo artefice.
Ma lui era soprattutto il 2 ottobre del ‘47 a Bretton Woods e fu protagonista giovanissimo di quell’Atto rivoluzionario, così lo chiamava, che cambiò il mondo, ma cambiò anche destini dell’Italia. E poi direttore del Fondo monetario, dopo che l’Italia era stata appena ammessa al Fondo e alla Banca Mondiale. Quindi, come vedete, sono cose antiche che attengono in parte a prima della nascita della Repubblica, a quel moto straordinario di ricostruzione del nostro paese che seppe risorgere dalla guerra e diventare in pochi anni, da un paese agricolo, povero, analfabeta, un grande paese industriale, ammesso qualche anno dopo al G7, cioè tra i grandi del mondo.
E perché definì Atto rivoluzionario Bretton Woods, lo spiega lui, benissimo, quando tornando dall’America con De Gasperi disse: “De Gasperi non aveva una visione chiara dell’assetto economico esistente né di quello verso il quale sarebbe stato auspicabile indirizzare il paese, ma intuì prodigiosamente che l’adesione agli istituti di Bretton Woods avrebbe promosso lo sviluppo di una miriade di legami economici con l’Occidente industrializzato, in modo da rendere impossibile uno sradicamento politico dalle comunità dei paesi a democrazia parlamentare.
Si ricorse allora lì a Bretton Woods nel ‘47, per la prima volta a quel vincolo esterno che poi Carli ha tanto coltivato anche nelle varie fasi della costruzione europea. Ho ricordato come fondamentale il contributo di Maastricht che fu certamente il suo capolavoro. Ma basta scorrere la sua biografia per capire quanto più profondo, quanto più antico, quanto lungo, quanto determinante sia stato il suo contributo alla rinascita dell’Italia e alla sua affermazione come paese moderno e industriale.
È stato, l’ho ricordato, direttore dell’Unione italiana dei cambi e direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, presidente del comitato di direzione dell’Unione europea dei pagamenti, ministro per il Commercio estero dal ‘57 al ‘58 governatore della Banca d’Italia per 15 anni, dal 1960 al 1975, presidente poi di Confindustria, presidente della Luiss, che aveva fondato, senatore della Repubblica dal ‘73 al ‘92. Ministro del Tesoro dall’89 al ‘92, cosa che gli consentì di partecipare e di firmare il Trattato di Maastricht.
E perché è stato un uomo così eccezionale? Certo, per le sue doti naturali, per le sue qualità, per la sua intelligenza, per il suo talento, ma anche per quella cosa impalpabile che si chiama carisma.
I dizionari dicono che è difficile da definire la parola ed evocano termini inconsueti, parlano anche di fascino. E Carli aveva anche un fascino personale altissimo, che traspariva dai suoi occhi chiari e penetranti e che stupiva gli interlocutori, i nostri partner europei nutrirono per lui un rispetto per la conoscenza vastissima della storia, del diritto, della finanza, dell’animo degli uomini.
Li stupiva anche l’esperienza internazionale, la capacità quasi prodigiosa di comprendere e descrivere la complessità, le interconnessioni dei meccanismi economici e finanziari e riportarli al punto decisivo, la responsabilità degli uomini alla quale sempre faceva appello perché Carli era sì un grande economista, ma era soprattutto un umanista. Che aveva coltivato e continuava a coltivare gli studi. Guardava sempre alla persona, alla umanità. E come avete sentito si preoccupava nei fenomeni economici e nelle decisioni politiche da prendere di quel bene comune che Papa Francesco ha giustamente sottolineato perché era un umanista prima che un economista.
Ecco perché quest’anno il premio si è allargato. Ha superato i confini tradizionali dell’economia o dell’imprenditoria per premiare personalità diverse anche di altri ambiti delle attività umane apparentemente lontane dalla sua figura, ma che sono espressione di quel talento, di quell’impegno di quella creatività tutta italiana che Carli ha impersonato ed esaltato in termini straordinari. Questo non è un premio come tanti, questo è un premio che porta anche il valore dell’esempio. Ne vedrete stasera 14, come gli anni del premio, tutte eccellenze italiane, tutti campioni di ingegno, di creatività, di realizzazioni in campi molto diversi e lontani l’uno dall’altro, ma tutti uniti da quei valori che Carli professava e propugnava. Loro hanno reso onore a Carli, noi nel nome di Carli, rendiamo onore a loro.
E indichiamo come esempio a tutti i giovani, perché i giovani sono stata la preoccupazione costante di Carli. Ai giovani si è sempre dedicato, tanto che ha fondato una grande università che porta il suo nome, come ha giustamente ricordato il ministro Urso, il ministro del Made in Italy che non è potuto essere presente stasera ma che ha voluto inviare un caloroso saluto a tutti i 14 premiati.
I giovani hanno costituito la preoccupazione costante, la priorità nella scala delle priorità di Guido Carli. Il 23 Aprile del ‘93 sulla sua agenda c’è scritto “Vasto”. In Abruzzo doveva incontrare 800 studenti. Perché in quegli anni, dopo Maastricht, andava in giro per l’Italia a raccontare l’Europa, l’Europa che voleva, quella in cui credeva, quella che avremmo dovuto costruire e che dobbiamo ancora costruire. Ma a Vasto quella mattina non arrivò. Ecco perché mi piace, a trent’anni dalla sua scomparsa, affidare proprio ai giovani questo premio per gli anni a venire, perché siano loro a conservare i valori di Carli. A riproporre annualmente, costantemente, la sua lezione, per consegnarla con quei valori e quegli insegnamenti all’Italia di domani. Grazie.