Ecco come il baccalà, definito l’alimento dei poveri, è stato al centro dei commerci mondiali dal medioevo ad oggi rivoluzionando l’alimentazione mondiale tra scoperte geografiche, esplorazioni e guerre commerciali
In giro per il mondo il baccalà lo potete trovare sotto innumerevoli nomi come il portoghese bacalhau, oppure sotto lo spagnolo bacalao, o il fiammingo bakkeliauw, tutti derivanti dalla parola basso tedesca bakkel-jau che significa “pesce salato”. Secondo alcuni studiosi, però, il termine baccalà deriverebbe dal catalano “va callar”, che significa “anche meno”; si narra, infatti, che il merluzzo si vantasse di essere il re dei pesci fino a che Dio, stanco di tutta questa sua presunzione e superbia, lo rimise al suo posto con un secco ed incisivo: “Anche meno!”.
BACCALA’ VS STOCCAFISSO
Leggende a parte, il baccalà, che è sostanzialmente il merluzzo conservato tramite un processo di salagione e successivo stagionamento, non va confuso con lo stoccafisso, che è sempre il merluzzo, ma conservato per essiccazione naturale senza l’uso del sale. Quest’ultimo nome deriva dalle antiche lingue nordiche: in norvegese “stokkfisk” termine che deriva dagli stokk, le vertiginose impalcature di legno sulle quali il merluzzo da sempre è stato essiccato, e dall’olandese “stocvisch”, che significa “pesce bastone”. A noi, probabilmente, la parola è giunta per il tramite dell’inglese “stockfish”, ossia “pesce da scorta”, in riferimento alle possibilità di un lungo mantenimento offerto dall’essicazione, pratica molto diffusa anticamente soprattutto tra i vichinghi, nei Paesi del nord.
PESCE MERLUZZO
A seconda di come lo chiamiamo, il pesce è comunque sempre lo stesso: il merluzzo nordico, anche chiamato “merluzzo comune”, specie appartenente alla famiglia Gadidae che può raggiungere anche i due metri di lunghezza, ma normalmente si attesta su un metro, e circa 90 kg di peso. È un pesce dell’Oceano Atlantico settentrionale che è possibile trovare nell’area compresa tra la Penisola di Ungava in Canada, Capo Hatteras in Carolina del Nord, le coste della Groenlandia, il Mare di Barents e le coste dell’Islanda fino al Golfo di Biscaglia, mar Baltico incluso.
COMMERCIO DEI VICHINGHI
I primi a commerciare il merluzzo furono i vichinghi che, avendo trovato il sistema di conservazione attraverso l’essiccatura al vento, lo trasformarono in una specie di moneta di scambio con gli altri popoli dell’Europa del Nord: merluzzo essiccato contro vino, birra, spezie, farina e cereali, ma anche tessuti, gioielli e molto altro. La prima traccia storica dello stoccafisso si trova nella Saga di Egil, di cui il più antico manoscritto sopravvissuto risale al 1240 circa, nella quale si narra che nell’875 Thorfold Kveldufsson portò in Islanda una fornitura di stoccafisso proveniente da Heldeland, in Norvegia. In uno studio delle università di Cambridge e Oslo, in collaborazione con il Centre for Baltic and Scandinavian Archeology, i ricercatori hanno trovato dei frammenti ossei di merluzzo trovati nel fango dell’ex molo di Haithabu, un porto risalente all’alto Medioevo per il commercio sul Baltico ora importantissimo sito archeologico della Germania, risalenti a un periodo compreso tra l’800 e il 1066 d.C. e hanno scoperto che provenivano dall’area delle Isole Lofoten. Per i vichinghi lo stoccafisso fu poi la fondamentale scorta di cibo per le loro traversate oceaniche intorno all’anno mille alla scoperta della Groenlandia prima e soprattutto dell’America dopo.
I BASCHI
A fare concorrenza ai vichinghi ci pensarono i Baschi della Guascogna (Golfo di Biscaglia) che, grandi pescatori di balene, già nel XIV secolo si spingevano nei mari del Nord alla ricerca di cetacei. La caccia alle balene era complessa, bisognava individuarle, puntarle e inseguirle fino alla cattura; e fu così che una baleniera, durante una battuta di pesca, si spinse fin su nei Grand Banks, al largo di Terranova in Canada, e si trovò circondata da branchi di merluzzi di proporzioni incredibili. Nelle cronache dell’epoca viene riportato che questi pesci erano talmente tanti che potevano essere pescati anche solo immergendo le mani nell’acqua. I baschi quindi si convertirono alla pesca dei merluzzi e applicarono al merluzzo le tecniche di salatura che avevano utilizzato sulle balene creando il baccalà. I baschi decisero di tenere segreta questa scoperta, per evitare di condividere le ricchissime zone di pesca della zona con altre flotte europee, e riversarono enormi quantità di pesce sul Continente.
THOMAS CROFT E JOHN JAY
Il merluzzo poi, sotto forma di baccalà o stoccafisso, si diffuse rapidamente in Europa, diventando un cibo fondamentale dell’alimentazione, specie di quella della povera gente perché era un alimento a buon mercato, gustoso e altamente nutriente, e divenne quindi un mercato fiorente che attirò molte flotte di pescatori. Tra questi c’erano Thomas Croft e John Jay che a Bristol, divenuto uno dei centri di smistamento del merluzzo più importati del nord Europa, chiedendosi da dove venisse tutto quel pesce portato dai baschi, armarono delle navi e partirono anch’essi nell’esplorazione verso Ovest, alla ricerca della leggendaria isola di Hy-Brasil, che si pensava esistesse nell’Oceano Atlantico, e che secondo loro era la fonte da cui proveniva tutto quel merluzzo. A una prima campagna nel 1480 ne seguì una seconda nel 1481. Mesi dopo le loro navi tornarono stracariche di merluzzo.
LE GRANDI ESPLORAZIONI
Ma questa era anche il periodo delle grandi esplorazioni geografiche in cui i marinai europei visitarono regioni di tutto il mondo, la maggior parte delle quali erano già abitate ma sconosciute …o quasi; quasi perché spesso nei porti i marinai di diversi equipaggi parlavo tra di loro, si scambiavano informazioni e racconti, ed è possibile che le rotte dei pescatori di merluzzi baschi si siano incontrate con quelle degli esploratori. Ad esempio, Cristoforo Colombo prima di partire per il viaggio verso la scoperta dell’America era stato sia a Bristol, dove ebbe la conferma di una terra a Occidente, presumibilmente Hy-Brasil, e sia in Islanda dove circolava la leggenda della Vinlandia, il nome che i Vichinghi diedero alla porzione di America settentrionale, l’odierna Terranova.
“APEZAK HOBETO”
Quando successivamente il navigatore francese Jacques Cartier toccò terra in Nord America, rivendicò per la corona francese questi nuovi territori dandogli il nome “Terra Nova” ma annotò nelle sue carte nautiche una scoperta sorprendente: “in quelle acque remote ho trovato mille baschi che pescavano il merluzzo”. Si racconta che quando gli esploratori francesi entrarono in contatto con gli indigeni di Terranova questi li salutarono con la formula “Apezak hobeto!”,”I preti stanno meglio!” in basco, che i marinai baschi usavano come risposta se qualcuno chiedeva loro della loro salute.
I PORTOGHESI
Ma anche i portoghesi entrarono nella partita del merluzzo. Durante l’estate del 1500 dal porto di Belem, a Lisbona, partì una nave comandata da Gaspar Corte-Real, un navigatore portoghese: si diresse verso ovest e aveva con sé una missiva del re Manuale I che gli concedeva i diritti di possesso sulle terre che avrebbe scoperto. Precedentemente il padre di Gaspar, João Vaz Corte-Real, durante uno dei suoi viaggi pare si fosse imbattuto nella Terra Nova do Bacalhau, identificata con Terranova, cosa che ancora oggi spinge i portoghesi a rivendicarla come una loro scoperta. A confermare questa tesi ci sarebbe l’origine portoghese di alcuni nomi di alcune aree come Baccalieu Island, piccola isola disabitata separata da Terranova dallo stretto chiamato, guarda caso, Baccalieu Tickle, una zona di pesca molto ricca di merluzzi. In ogni caso i portoghesi si dedicarono alla pesca del merluzzo ma furono rapidamente esclusi dai corsari inglesi e francesi, che in breve tempo presero il controllo della pesca in quest’area geografica.
ELEMENTO STRATEGICO
In breve tempo il merluzzo del nord America divenne il fulcro di una vera e propria guerra commerciale tra inglesi, francesi, spagnoli, baschi e portoghesi, che capendo l’importanza che stava assumendo questo alimento, si erano lanciati in questa specie di corsa all’oro. In più il merluzzo era diventato un elemento strategico: ai portoghesi e spagnoli serviva per nutrire gli equipaggi delle navi nei sempre più frequenti viaggi di esplorazione nel globo, e serviva agli inglesi per sfamare i marinai e i soldati nelle varie guerre della Corona.
IL CONCILIO DI TRENTO
Il mercato del merluzzo ebbe poi un vero e proprio boom dopo che il Concilio di Trento nel 1563 stabilì una disciplina rigorosa dei digiuni proclamando giorni di astinenza dalle carni il mercoledì, il venerdì, la Quaresima e tutte le feste comandate. Da allora baccalà e stoccafisso furono richiestissimi in tutta Europa e divennero anche il simbolo della miseria, della privazione e della secchezza, al punto che la Quaresima viene spesso raffigurata come una vecchia magrissima che brandisce minacciosamente uno stoccafisso.
NORD AMERICA
Agli inizi del 1600 il nord della East Coast americana divenne un’importantissima area di pesca e lavorazione del merluzzo e sorsero molte comunità che fecero fortuna grazie a quest’attività, che in breve tempo divenne la merce più esportata del New England coloniale. A testimonianza di ciò molti nomi di queste località derivano proprio dal merluzzo come “Cape Cod”, letteralmente Capo Merluzzo, una penisola che si protende nell’Oceano Atlantico nello Stato del Massachusetts, a sud est di Boston; fino al 1602 si chiamava “Cabo de la Arenas”, poi Bartholomew Gosnold, uno dei fondatori della Virginia Company e della Colonia della Virginia, quando vi approdò nel maggio del 1602, lo chiamò con il suo nome attuale proprio perché vi riscontrò un’enorme abbondanza di pesci. Nel tempo il merluzzo divenne così importante per il New England che John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti d’America, si assicurò che gli inglesi consentissero ai pescatori statunitensi l’accesso ai Grand Banks e ad altre zona di pesca al largo di Terranova come parte del Trattato di Parigi del 1783; basti pensare che tra il 1768 e il 1772, il pesce rappresentava il 35% di tutto il denaro che il New England guadagnava all’estero. Inoltre, la pesca del merluzzo divenne il motore dell’economia ed ebbe un effetto moltiplicatore, generando reddito per le persone impegnate nel commercio estero, nel legname, nella costruzione navale, nel sartiame navale, nella fabbricazione di vele e in altre industrie sul lungomare.
LO SCHOONER
A incrementare la capacità commerciale del mercato del merluzzo contribuì, nel 1713 a Gloucester, il varo di una nuova imbarcazione da pesca più veloce ed agile: lo schooner. Il nome derivava da un termine settecentesco, proprio del New England, scoon, che significa “rasentare leggermente il filo dell’acqua”. Lo schooner rivoluzionò il sistema della navigazione e della pesca perché permise di accorciare i tempi di navigazione tra le zone di pesca dell’Atlantico e la costa dove si lavorava il pesce, permettendo così di incrementare la produzione e la qualità dei prodotti lavorati. Questa imbarcazione però era molto instabile con il mare mosso e fu responsabile di innumerevoli naufragi; non si conosce il numero esatto dei pescatori morti durante la pesca del merluzzo, ma secondo alcune statistiche americane il loro rischio di morte sul lavoro era circa 20 volte superiore alla media. Sulla vita dei pescatori sono stati scritti dei romanzi, inchieste giornalistiche e articoli come “Capitani coraggiosi” di Kipling, e “La tempesta perfetta” di Sebastian Junger, da cui poi sono stati tratti dei film di grande successo.
LA COMPANHIA PORTUGUESA DE PESCA
Agli inizi del ‘900 arrivò la rivincita dei portoghesi nel mercato del merluzzo quando, precisamente il 9 luglio 1920, quattro piccoli armatori di pesca a strascico, ognuno di loro proprietario di un peschereccio, fondarono la Companhia Portuguesa de Pesca. Fino ad allora il Portogallo importava la maggior parte del baccalà che consumava perché le compagnie di pesca nazionali funzionavano male e non erano capaci di sopperire alla richiesta. Per ridurre la dipendenza dall’estero e garantire il rifornimento alimentare del paese, il dittatore Salazar centralizzò nello Stato l’organizzazione della pesca del baccalà attraverso la nascita di cooperative. I pescherecci portoghesi per la pesca del baccalà erano i luggers, barche a vela e velieri semi motorizzati, che trasportavano le doris, piccole barche in legno utilizzate per la pesca a traina, e potevano caricare tra le 900 e le 950 tonnellate di baccalà. Storicamente il processo di conservazione del baccalà iniziava sui pescherecci, dove il pesce veniva immediatamente salato; all’arrivo a terra poi veniva lavato per rimuovere il sale e fatto essiccare per essere poi disidratato. Il processo di essiccazione avveniva all’aperto nelle zone dell’Algarve, della Margem Sul del Tago, di Setúbal, Figueira da Foz, Aveiro e Viana do Castelo ed era un lavoro svolto principalmente da donne. Dopo la Seconda guerra mondiale, la pesca del baccalà diventò un emblema del sistema corporativo, tanto che nel 1957 il Portogallo fu il primo produttore mondiale di baccalà. Il 1974 rappresentò l’ultimo anno in cui una flotta di pescherecci per la pesca di baccalà partì in direzione di Terranova, anno che coincise con la caduta della dittatura in Portogallo e con il declino della produzione interna. Ancora oggi in Portogallo il baccalà, considerato dai portoghesi il “pane dei mari” e come il “fedele amico”, è ancora ampiamente diffuso e si dice che ci siano 1001 diverse ricette per cucinarlo.
VENEZIA
E in Italia? Molto probabilmente il merluzzo fece la sua comparsa nell’XI secolo quando arrivarono i Normanni nelle regioni meridionali della penisola: discendenti dei vichinghi, lo utilizzavano come merce di scambio e cibo durante le loro lunghissime navigazioni sui mari. Successivamente lo stoccafisso fu introdotto nel nord Italia, in particolare nella Repubblica di Venezia, dal mercante Messer Piero Querini; nel 1431 partì da Candia (isola di Creta), allora dominio veneziano, con una nave carica di malvasia, legni aromatici, spezie e cotone con l’intento di raggiungere le Fiandre. La nave fu investita da ripetute tempeste che la spinsero fuori rotta sempre più a ovest verso l’Irlanda, inoltre si ruppe il timone e la nave restò disalberata, andando alla deriva per diverse settimane, trasportata dalla Corrente del Golfo. I superstiti, capitanati ancora da Messer Querini, approdarono sull’isola di Sandøy, vicino a Røst nell’arcipelago norvegese delle Lofoten. Furono salvati dai pescatori dell’isola di Røst, la più vicina, che li soccorsero e li ospitarono nelle loro case. Questa gente aveva un modo particolare di conservare il proprio alimento principale, il merluzzo. Mondato, salato e seccato all’aria per mesi, così duro da poter essere accatastato come la legna, che doveva essere “battuto” al momento di venire mangiato: la gente dell’isola lo chiamava “Stockfiss”, lo stoccafisso. Il mercante veneziano tornò a casa dopo un lungo viaggio per mare e per terra e portò con sé il nuovo curioso alimento, scambiandolo lungo il tragitto fino a Venezia, con vitto, alloggio e trasporti di vario genere. Questo divenne poi un alimento importantissimo nell’alimentazione e la base della famosissima ricetta del “bacalà alla vicentina”. Da allora è diventato un piatto fondamentale della cucina italiana presente in tutte le regioni in moltissime ricette.
CURIOSITÀ
Oltre ad essere un cibo fondamentale durante i lunghi giorni di navigazione, il baccalà veniva utilizzato anche come barometro: veniva appeso con delle corde agli alberi della nave e se il sale di cui era ricoperto iniziava a sciogliersi significava che l’umidità stava aumentando e che una tempesta era in arrivo.
APPROFONDIMENTI
Per chi volesse approfondire il tema si consiglia la lettura di “Merluzzo. Storia del pesce che ha cambiato il mondo”, di Mark Kurlansky, “Storia del Baccalà” di Giovanni Sole e “Il naufragio della Querina. Veneziani nel circolo polare artico”, quest’ultimo scritto proprio dai protagonisti del naufragio Pietro Querini e Nicolò De Michiele.
FONTI:
Merluzzo. Storia del pesce che ha cambiato il mondo, di Mark Kurlansky
Storia del Baccalà di Giovanni Sole
Il naufragio della Querina. Veneziani nel circolo polare artico, di Pietro Querini
Percorso del Baccalà, Visit Lisbon