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Prompt, partenza, via. L’intelligenza artificiale alla prova del diritto

Di Cristina Bellomunno e Ilaria Carli

Diritto d’autore, privacy, rispetto della nostra “umanità” davanti all’evoluzione delle macchine. I vantaggi e i rischi che possono derivare dallo sviluppo dell’AI sono enormi. Il commento di Cristina Bellomunno e Ilaria Carli, Counsel di Legalitax studio legale e tributario

I sistemi di atificial intelligence (AI), partendo da miliardi di dati da cui imparano, sono in grado di trasformare e rielaborare le informazioni acquisite (quantitativamente neppure paragonabili a quelle che possono essere assorbite dal più capace degli esseri umani) per poi restituire un output creativo. L’AI genera così credibili paesaggi in stile Van Gogh o immagini nuove realizzate secondo specifche istruzioni (prompt) fornite – per ora – da un essere umano. E se l’essere umano avesse difficoltà a utilizzare il linguaggio giusto per istruire la macchina, nessun problema: si può sempre acquistare il servizio di consulenza per i suggerimenti da dare alla macchina fornito, ad esempio, dal sito PromptBase.

I vantaggi e i rischi che possono derivare dallo sviluppo dell’AI sono enormi. L’umanità ha di fronte una sfida epocale, probabilmente più grande di quella conseguente alla rivoluzione industriale. Non è un caso che di recente: Elon Musk, ceo di Tesla, e altri mille leader della Silicon Valley abbiano chiesto di sospendere per sei mesi lo sviluppo dei sistemi di AI e che Geoffrey Hinton, uno dei principali artefici dello sviluppo dei sistemi di AI di Google, si sia dimesso per potere mettere in guardia sui pericoli dell’AI. Non è un caso che il 4 maggio scorso Kamala Harris, vicepresidente degli Usa, abbia incontrato i vertici delle società più impegnate nello sviluppo dell’AI, tra cui Google e Microsoft, per discutere delle linee guida per uno sviluppo etico e sostenibile dell’AI.

La domanda (recte: una delle domande) su cui governi, istituzioni, comunità scientifica e civile si stanno seriamente interrogando è: l’AI può essere considerata (così come le persone fisiche e le persone giuridiche) soggetto titolare di diritti e, quindi, specularmente, possono essere attribuite all’AI delle responsabilità in caso di violazione del copyright altrui? Cosa dice la legge? Una legge ancora non c’è ma i preparativi fervono e l’Ue è in prima linea.

Già nell’aprile 2021 la Commissione europa ha avanzato una Proposta di Regolamento sui sistemi di AI (c.d. AI Act), primo regolamento al mondo sul tema, volto a regolare i sistemi di AI per gestirne opportunità e rischi. A fine aprile 2023 i membri del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico sull’AI Act e, sebbene il testo potrebbe subire ancora piccoli aggiustamenti, per metà giugno l’iter legislativo potrebbe essere completato.

L’AI Act prevede regole severe per le aziende che implementano strumenti di AI generativa, come ChatGPT e DALL-E, che dovranno rivelare se per sviluppare i loro sistemi hanno utilizzato materiale protetto da copyright. Nell’attesa di leggi chiare e possibilmente condivise vi sono già non pochi contenziosi che riguardano questi temi. Lo scorso 23 febbraio, l’Us Copyright Office (USCO) ha rifiutato di riconoscere a favore dell’artista Kristina Kashtanova la registrazione di un’opera (il fumetto Zarya of the Dawn) le cui immagini erano state create dal programma Midjourney AI, sia pure mediante istruzioni fornite dalla Kashtanova: in altri termini secondo l’Usco fornire prompt alla macchina non rende chi lo fa autore dell’opera risultante.

Ed infatti, sebbene il prompt condizioni l’immagine che viene generata, il processo generativo della macchina non è “controllabile” dall’essere umano. L’ufficio ha precisato che il software Midjourney AI riceve comandi che funzionano più come suggerimenti che come ordini. Si verifica cioè una situazione paragonabile a quella di un committente che chiede all’artista la realizzazione di un’immagine con indicazioni generali sui suoi contenuti: il committente non può dirsi autore di quell’immagine. Tale considerazione potrebbe quindi lasciare aperta la porta per una conclusione diversa in caso di un sistema di AI che lavori in modo differente.

Sul fronte nazionale principi simili sembra possano essere desunti dalla decisione del 16 gennaio 2023, n. 1107 della nostra Suprema Corte che ha trattato – sia pure in via incidentale – il tema delle opere generate da un’IA. La questione era relativa alla lamenta violazione del diritto d’autore da parte della RAI di un’opera usata come scenografia fissa per il Festival di Sanremo del 2016. Per ragioni di carattere processuale, la Cassazione non ha affrontato in profondità la questione della digital art ma ha comunque affermato che, nell’ipotesi in cui la questione avesse dovuto essere esaminata nel merito “si sarebbe reso necessario un accertamento di fatto per verificare se e in quale misura l’utilizzo dello strumento avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa”.

Sembrerebbe, quindi, che anche nell’interpretazione giurisprudenziale, il diritto di autore (morale e patrimoniale), secondo la legislazione vigente, vada riconosciuto solo all’essere umano (e non alla macchina) e, nel caso di opere create anche con l’ausilio di un software, va riconosciuto solo quando l’attività dell’artista è prevalente su quella della macchina e quando l’output restituito dalla macchina sia prevedibile in ragione delle indicazioni date al software. La conseguenza di ciò dovrebbe essere che quello che non può essere tutelato dal diritto d’autore è di pubblico dominio e quindi riproducibile liberamente da chiunque.

Resta da stabilire, ovviamente, a chi spetta tale diritto: all’utilizzatore del sistema di intelligenza artificiale? Al programmatore? Al proprietario del software? Nel luglio 2022 il Dr. Stephen Thaler, scienziato e pioniere nell’area dell’IA, ha promosso un giudizio avanti il tribunale federale di Washington DC contro l’Usco, chiedendo di annullare la decisione con cui l’Ufficio rifiutava di concedere la protezione del copyright a un’opera dal titolo A Recent Entrance to Paradise creata da Dabus, un sistema di intelligenza artificiale (peraltro anche “inventore” di alcuni trovati che – tranne che in Australia e Sud Africa – non hanno ottenuto tutela come brevetti in ragione del fatto che l’inventore deve essere un essere umano).

Il motivo che ha condotto l’USCO a rifiutare la domanda di Thaler è che autore può essere riconosciuto solo un essere umano. Si attende ora la decisione del Tribunale. La risposta che dovrà essere trovata (auspicabilmente dal legislatore) dovrà essere, da un lato, tale da non essere disincentivante per il processo creativo umano e, dall’altro lato, neppure disincentivante per chi investe in AI.

Alcuni giuristi ipotizzano per la digital art una tutela diversa e più ridotta in termini temporali sul modello dei diritti connessi già previsti dalla nostra legge sul diritto d’autore, da concedersi a favore di chi, con la sua attività, interviene sull’opera stessa (ad. es.: l’autore di una canzone ha il diritto di autore sulla stessa e l’interprete della canzone è titolare di un diritto connesso).

Ma vi è poi un’altra questione che sta infiammando gli animi a causa delle conseguenze economiche che essa comporta per intere categorie: i sistemi di AI sono addestrati sulla base di miliardi di dati tra cui ad es. immagini e testi creati da esseri umani che su tali immagini e testi potrebbero vantare un diritto di autore. A quei fotografi, disegnatori, giornalisti, editori è mai stato chiesto il consenso o pagato un compenso? Per conciliare gli opposti interessi si potrebbe forse prevedere una sorta di “equo compenso” a favore dell’editore e degli autori di immagini e testi utilizzati dall’IA per imparare (magari traendo ispirazione dal d. lgs. 177 del 2021, che ha recepito la Direttiva Copyright).

Ma se le immagini e i testi vengono caricati solo per consentire che la macchina impari senza che venga realizzata alcuna copia delle precedenti immagini, ciò comporta davvero la violazione del copyright?

Premesso che già da tempo esiste un sito, www.haveibeentrained.com, che consente di ricercare tra le immagini utilizzate per addestrare l’AI se dette immagini siano libere o tutelate dal diritto d’autore, del fatto che l’addestramento su dati altrui comporti violazione del copyright è convinta la società di foto stock Getty Images che, di recente, ha citato in giudizio la britannica Stability AI, proprietaria del software generatore di immagini AI Stable Diffusion, affermando che essa avrebbe utilizzato milioni di Getty Photos per addestrare Stable Diffusion ma senza essere a ciò autorizzata e, quindi, in violazione del copyright. Il caso di Getty Images non è isolato, almeno negli Usa.

In definitiva, bisognerà trovare degli equilibri che permettano di gestire l’AI con responsabilità, in una cornice antropocentrica che induca ancora il pensiero e le emozioni umane a trovare espressione nell’arte. Induce all’ottimismo la considerazione che le tecnologie che si sono succedute nel corso del tempo – la pittura ad olio, la macchina fotografica, il cinema, la musica elettronica – non hanno mai distrutto l’arte. Piuttosto, nuova arte è stata creata. L’AI sta generando nuove problematiche legali che verranno risolte dalla giurisprudenza caso per caso o, forse, dal legislatore ma, e questo è anche un auspico, l’arte – e con essa l’uomo – non saranno uccisi dalla tecnologia.

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