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Intelligenza artificiale, che fine farà il lavoro umano

Di Gaetano Pellicano

I lavoratori non vedono di mal grado la possibilità di ricevere ordini da parte degli algoritmi. Mal sopportano, piuttosto, i supervisor che li trattano da sottoposti e magari li discriminano. Preferiscono l’assenza del fattore umano negli ordini impartiti dai sistemi automatici che appaiono meno “biased”, condizionati dai pregiudizi. Dalle “super-mind” alla creatività dei Large Language Model: come sostituire e potenziare la mano d’opera. L’analisi di Gaetano Pellicano

Chi l’intelligenza artificiale (Ai) la usa attraverso i navigatori degli smartphone può ipotizzare quante ore in macchina e quanto carburante risparmia, piuttosto che quanti milligrammi di monossido di carbonio evita di rilasciare nell’ambiente. Non poca cosa. Ma le aspettative dei esperti del campo e delle big tech vanno ben oltre. Non passa giorno senza leggere di mirabolanti innovazioni che promettono di semplificare la vita quotidiana con la domotica ovvero di rendere più efficiente la produzione di beni e servizi. Sistemi che scrivono software, automazione dei controlli di bilancio, traduzione istantanea in un numero prima impensabile di lingue e molto altro. Tante promesse e tante opportunità dovrebbero potrebbero miglioramento la produttività delle persone e delle organizzazioni. Aziende e pubbliche amministrazioni che fanno di più con meno risorse e individui che migliorano le loro performance. Gli economisti che guardano ai grandi numeri, però, non rilevano segni evidenti di una svolta.

Cambia tutto o non cambia niente?

Robert J. Gordon della Northwest University ha avvertito: “L’intelligenza artificiale è notevole ma non rivoluzionaria.” Alcuni colleghi hanno ricordato che il motore elettrico inventato nel 1880 ha impiegato 40 anni prima di migliorare la produzione in maniera significativa e anche il personal computer ha avuto bisogno di più di dieci anni dal suo lancio prima di diventare determinante per le aziende. Erik Brynjolfsson di Stanford University, dal canto suo, non ha dubbi: “Il cambiamento vero prodotto dall’Ai sta già avvenendo”. A leggere gli ultimi dati sugli investimenti di grandi aziende tecnologiche e venture capitalist in startup del settore c’è da credergli. La domanda di ciascuno, quindi, è: come cambierà la mia vita? Come sta cambiando il mondo del lavoro grazie ai sistemi di machine learning?

Per formulare qualche ipotesi conviene focalizzarsi sull’economia uscita più forte dalla pandemia e leader in quanto a innovazione, quella americana. Dagny Dukach ha condotto un’analisi dei primi dati disponibili. Prima sorpresa: i lavoratori non vedono di mal grado la possibilità di ricevere ordini da parte degli algoritmi. Mal sopportano, piuttosto, supervisor che li trattano da sottoposti e, magari, li discriminano rispetto ad altri colleghi. Preferiscono l’assenza del fattore umano negli ordini impartiti dai sistemi automatici che appaiono meno biased, vale a dire condizionati dai pregiudizi di varia natura. Questo atteggiamento di apertura, ovviamente, è più frequente nelle organizzazioni giovani e poco gerarchiche in cui lavoratori ben formati vedono l’Ai come alleato, autentico e non influenzabile. D’altro canto senza lavoratori qualificati gli investimenti in sistemi automatici non sono possibili. Cosa avviene con i lavoratori meno qualificati? Quelli che possono essere rimpiazzati dai robot o dal machine learning diminuiscono, mentre tendenzialmente aumentano la richiesta di lavoratori poco istruiti ma non sostituibili, ad esempio giardinieri e manutentori di impianti.

Un nuovo collega di lavoro: l’intelligenza artificiale

Un recente studio pubblicato dal think thank Brookings ha analizzato le interazioni tra lavoratori e Ai. Tra le conclusioni più scontate vi è quella secondo cui i sistemi automatici rendono possibile l’espansione degli ecosistemi professionali. Cioè abilitano un numero crescente di collaboratori interni ed esterni alle aziende a interagire all’interno di processi produttivi. Le piattaforme digitali abilitano una ridefinizione di ruoli e funzioni, in modo che le funzioni in capo a un singolo lavoratore vengono distinte e affidate a più collaboratori o ai sistemi automatici che propongono decisioni da assumere o le assumono e le implementano in proprio. Ad esempio, il responsabile commerciale di una azienda nel passato si occupava della gestione delle scorte, della ricezione degli ordini, del packaging e della spedizione delle merci ordinate. Oggi queste funzioni possono essere scomposte, affidate a diversi soggetti che collaborano attraverso una singola piattaforma e, in parte, possono essere automatizzati. Aumenta così l’estensione potenziale dei gruppi di lavoro man mano che aumenta la capacità di diffusione delle informazioni rilevanti e di interazione. Il lavoro degli uomini diventa modulare e più qualificato. L’Ai assume il ruolo di assistente per l’assunzione di personale e l’implementazione di decisioni, di collega di lavoro che svolge alcune funzioni del processo produttivo e anche di supervisore che verifica le performance, definisce funzioni e tempistiche e riconosce incentivi e ricompense sulla base di parametri imparziali.

Umana e artificiale, una mente super

L’evoluzione tumultuosa delle applicazioni di Ai ha portato a formulare scenari futuri che oscillano tra il pessimismo di chi prevede grandi masse di lavoratori rimpiazzati dai sistemi automatici e chi invece si aspetta una transizione verso impieghi maggiormente qualificati e meglio retribuiti. Secondo Thomas Malone, direttore del Center for Collective Intelligence del Mit, nel 2020 si stava affermando un modello di integrazione e complementarità da cui emergono le cosiddette super-mind, intelligenze collettive di uomini e macchine in grado di svolgere nuove funzioni fisiche e cognitive. In particolare, all’Ai sono affidati le funzioni sensing – analisi di immagini, suoni, movimenti e altri dati -, deciding – assunzione di decisioni codificando input e risultati -, creating – individuazione pattern e utilizzo di dati codificati per ottenere documenti, immagini e video di varia natura.

Agli uomini, invece, sono attribuite in esclusiva le capacità sensoriali ed emotive identificate nel concetto di intelligenza emotiva, la capacità di affrontare scenari imprevisti, di esercitare il buon senso e di realizzare contestualmente tutte le funzioni di analisi e di azione definite general intelligence. Gli operatori definiscono i livelli di astrazione più appropriati attraverso la categorizzazione degli oggetti e dei concetti astratti e svolgono le funzioni non di routine, in particolare l’innovazione radicale che richiede un salto di paradigma.

I Large Language Model rubano i dati?

Le ultime sperimentazioni dei nostri giorni rivelano potenzialità ancora più ambiziose. Gli esperimenti sui Large Language Models (Llm) testimoniano che l’Ai potrebbe essere in grado di svolgere anche funzioni che inizialmente sembravano fuori dal suo campo di azione. Un ricercatore di Open Ai, Jason Wei, ha scoperto, ad esempio, 137 abilità “emergenti” in diversi sistemi di Llm che non si registrano in modelli di dimensioni più limitate. Altre potrebbero emergere nei mesi a venire, come?

Gli Llm usano un particolare tipo di algoritmi, i transformer, introdotto nel 2017 per le traduzioni e le sintesi di testi. Il T9, software che usiamo sui nostri smartphone per digitare testi, utilizza un dizionario integrato che associa sequenze a possibili singole parole che sono quelle statisticamente più utilizzate nelle sequenze stesse. I transformer, invece, processano in parallelo tutte le parole o i token – insiemi di lettere o congiunzioni – di una sequenza, rendendo i sistemi computazionali più efficienti. Nel 2020 il transformer di GPT-3 (Generative Pre-Trained Transformer) è stato allenato su 175 miliardi di parametri – valori o pesi che il modello può variare in proprio sulla base del training con i dati. Di recente, GPT-4 è stato realizzato a partire da un trilione di parametri. Per farlo si è adottato il sistema del federated learning che invia mini-modelli da sviluppare presso server e terminali dove risiedono i dati senza che questi siano stati accentrati in un unico database. I mini-modelli aggregano parametri ricavati dai dati originali e vengono a loro volta aggregati per ottenere un singolo modello che funziona come se fosse stato sviluppato su un unico set di dati.

I Large Language Model sostituiscono gli uomini?

Sistemi di machine learning così sofisticati hanno un impatto maggiore di quello che si stimava soltanto qualche anno fa. A fine marzo, un primo studio su più di mille occupazioni rilevate nel mercato del lavoro statunitense di Eloundou, Manning, Mishkin e Rock stimava che per quasi un quinto dei lavoratori metà delle funzioni svolte verranno impattate dai Llm. La buona notizia è che il 15% di tutte le funzioni rilevate potrebbero migliorare grazie a questi modelli. Si arriva a ipotizzare, inoltre, che più del 50% delle funzioni svolte dal 49% della forza lavoro verrà impattato dall’introduzione di ulteriori applicazioni che si stanno sviluppando a partire dei Llm. Le professioni più esposte non sono quelle basate sul lavoro manuale ma quelle meglio retribuite e per le quali è necessario un alto livello di formazione. Programmatori, giornalisti, matematici, esperti di finanza, webmaster. Settori quali il manifatturiero, l’agricoltura e le miniere sono invece i meno esposti. Il quadro, comunque, resta complesso e talvolta contraddittorio. I ricercatori, infatti, hanno evidenziato che le professioni basate su competenze in campo scientifico e sul pensiero critico sono tendenzialmente meno esposte alle innovazioni degli Llm.

In quanto tecnologie general purpose, gli Llm promettono di poter migliorare nel prossimo futuro, di avere un alto grado di pervasività e di avere un ulteriore potenziale di innovatività in quanto abilitano l’adozione di ulteriori piattaforme complementari. Ovviamente, queste prospettive di miglioramento dei sistemi produttivi vanno integrati nei sistemi in uso nelle aziende e pubbliche amministrazioni, ma incontrano ostacoli significativi. Mancanza di fiducia da parte di manager e operatori, di formazione e di attribuzione di responsabilità. Molto limitanti sono anche la carenza di dati disponibili, l’ambiente regolatorio, la scarsa capacità di supervisione umana e l’onnipresente resistenza culturale al cambiamento.

La rivoluzione è ancora soltanto annunciata, ma promette di alterare in maniera radicale la sfera professionale oltre che la vita personale di ciascuno. Gli ottimisti aspettano il copilota digitale che svolgerà le funzioni più noiose facendo aumentare il tempo libero di molti. I pessimisti, invece, temono l’effetto spiazzamento non solo per i contabili, ma anche per gli ingegneri software, ad esempio, che oggi hanno una delle professionalità meglio retribuite. Tutti concordano che l’unica assicurazione sulla vita disponibile consiste nel migliorare per tutti il background scientifico e le capacità di pensiero critico. Come per le grandi esplorazioni in terre sconosciute, equipaggiarsi bene è una garanzia per la sopravvivenza e per il successo.

*Le dichiarazioni e le opinioni contenute in questo articolo sono espresse a titolo personale.

(Photo by Gabriella Clare Marino on Unsplash)


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