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La rivoluzione del gemello digitale (e molto altro). Parla Di Franco (Lutech)

Con l’acquisizione di Atos Italia, Lutech diventa una delle prime aziende tecnologiche del nostro Paese. Il consigliere delegato Giuseppe Di Franco racconta i campi su cui stanno investendo, dai supercomputer al digital twin, sfruttando i benefici di una presenza decentrata e di un capitale umano di ottimo livello (in particolare al Sud). Perché il digitale non è più un fattore abilitante, ma il perno su cui costruire lo sviluppo e l’autonomia del Paese nei settori strategici

In questi giorni nasce in Italia una delle più grandi realtà nella trasformazione digitale. Lutech, società attiva dal 2001, ha infatti acquisito Atos Italia, divisione del colosso tecnologico francese, con il suo bagaglio di clienti, specializzazioni e professionisti. Tra questi, c’è anche Giuseppe Di Franco, che in questi anni ha guidato Atos Italia (“quadruplicando il fatturato”) e che oggi diventa consigliere delegato di Lutech – al fianco del presidente esecutivo Tullio Pirovano – e amministratore delegato di Lutech Advanced Solutions. Un modo per dire al mercato che si tratta di una operazione che entrambe le società hanno voluto e che la nuova realtà (quasi 5mila dipendenti) punta a crescere ancora.

Come siete arrivati a costruire questo nuovo gruppo?

Circa un anno fa abbiamo cominciato a interrogarci sulla dimensione di Atos Italia e del mercato digitale italiano in generale rispetto alle grandi sfide che stanno arrivando. Abbiamo vinto una gara da 200 milioni di euro con Enel per la digitalizzazione dei loro processi e siamo anche stati impegnati nella realizzazione di un supercalcolatore con Cineca, su cui sono stati investiti 250 milioni di euro. Abbiamo di fronte un’evoluzione del mercato, sia sul lato delle istituzioni che su quello delle imprese, che è senza precedenti; sono necessarie capacità di partnership che richiedono dimensioni aziendali più significative.

A quel punto avete preso contatto con Apax, il fondo che controlla Lutech dal 2021.

Un soggetto che aveva due caratteristiche fondamentali: il fatto di avere investimenti per 60 miliardi nel mondo orientati al settore digitale e tecnologico e quello di aver già investito in Italia con l’acquisizione di Lutech. Siamo dunque arrivati ad un closing con cui abbiamo realizzato un unico gruppo integrato, la nuova Lutech, che è sostanzialmente il terzo player nel mercato italiano. Con le attuali 5mila persone e l’obiettivo di raggiungere un miliardo di euro di fatturato in circa un anno e mezzo ci poniamo come punto di riferimento importante nella trasformazione digitale italiana. L’elemento di nazionalità nella tematica digitale ha una caratterizzazione sempre più importante, lo hanno riconosciuto anche von der Leyen e Breton: la trasformazione digitale non è più solo abilitante ma definisce il rapporto tra istituzioni e cittadino, diventa un elemento a supporto dell’autonomia politica di una nazione. Dunque, il fatto di aver creato un player nazionale di queste dimensioni è un aspetto di assoluta rilevanza.

Come vi integrate fra Lutech e Atos? Quali settori sono complementari e come pensate di ampliare la vostra offerta?

Lutech è presente in settori in cui noi di Atos eravamo più deboli e viceversa, sono due realtà fortemente complementari tra loro che non porteranno a un ridimensionamento della forza lavoro; anzi, al contrario, avere 5mila persone è il valore che consente all’azienda di affrontare le sfide di cui abbiamo parlato. Tullio Pirovano prende il ruolo di presidente Esecutivo del gruppo e io avrò il ruolo di consigliere delegato, abbiamo senza dubbio trovato un partner con un elevatissimo grado di complementarietà sia a livello di vertice che dentro l’organizzazione.

Uno dei temi più interessanti è il digital twin, cioè la creazione di un modello digitale di un sistema reale, che ne riproduce le caratteristiche esatte per ottimizzare i processi, ridurre gli sprechi, aumentare la produttività. In che modo state sviluppando questo tipo di soluzioni e in quali campi le applicherete?

Questa è per noi un’area importante di investimento e ricerca. A oggi stiamo investendo con le principali università del Paese e le start up – in particolare nel sud, a Bari – proprio su questi temi, con un piano di investimenti di circa 60 milioni di euro dedicato a questo ambito. Abbiamo l’ambizione di “riprodurre” una realtà fisica – un corpo umano, un sistema, una città, un’area industriale – e digitalizzarla, con l’obiettivo di misurarla e pianificarla. Il gemello digitale serve anche per chi produce, consentendo una progettazione evoluta prima di spostarsi sul piano fisico; per esempio, ne stiamo parlando con Leonardo per progettare aeroplani prima che vengano realizzati. Disporre di questo tipo di tecnologia permette al sistema paese di fare ricerca industriale, pianificazione di smart city, abbinamento delle esigenze di trasporto con quelle dei sistemi produttivi. Ma ancora, si può arrivare a settori diversi come la sanità, in cui si possono formare i medici e pianificare l’evoluzione dei farmaci.

In Italia siamo in grado di gestire questi nuovi processi?

Gli ambiti di applicazione sono infiniti ma deve esistere alla base una grande capacità di calcolo e in questo stiamo facendo passi avanti, anche grazie al Pnrr; noi abbiamo realizzato, ad esempio, il supercomputer Leonardo a Bologna, che ha quasi raddoppiato la capacità elaborativa del paese e consente di fare simulazioni di intelligenza digitale e digital twin, con l’80% della capacità dedicato al network universitario e il 20% all’impresa. Questa è da considerarsi a tutti gli effetti una delle grandi infrastrutture del paese, magari più difficile da spiegare rispetto a un ponte o una strada ma darà grande respiro in termini di ricerca e sviluppo, diventando uno dei fattori differenzianti. Dobbiamo creare un paese in grado di competere sull’innovazione e per farlo servono strumenti volti a ricerca e sviluppo.

Al tema della ricerca “pura” era dedicato lo scorso numero della rivista Formiche. Inutile dire quanto sia fondamentale avere un percorso chiaro per studenti e giovani lavoratori in questo settore.

Abbiamo trovato una grande rispondenza dal sistema universitario, il che ci ha fatto decidere di estendere le nostre relazioni con le grandi università del sud. Stiamo quindi realizzando una nuova sede a Bari, che in sei mesi ha già raggiunto i 160 dipendenti, abbiamo aperto ad aprile una sede a Cosenza e ormai da due anni abbiamo un ufficio a Napoli in cui abbiamo superato le 400 persone, tutte realtà legate ai poli universitari locali. Bisogna saper coinvolgere l’intero paese e il secondo elemento riguarda le start up: abbiamo un piano di affiliazione con il gruppo Lutech che ci permette di portare nuovi elementi di piccola imprenditoria e dare loro la robustezza per proiettarsi su grandi sfide e investimenti. Penso che la chiave sia fare squadra a livello nazionale e portare in prima linea competenze molto distribuite territorialmente, un’impresa come la nostra ha il compito di fare un po’ una squadra nazionale che valorizzi il made in Italy nel digitale.

Investite anche in formazione?

Certo, cooperando con le università stiamo lavorando nella direzione delle cosiddette Academy, cercando neolaureati o anche persone con esperienza per riorientarli su tecnologie di particolare importanza nazionale. Tutto questo per gestire una risorsa scarsa e perché le università non siano più un collo di bottiglia: oggi selezionano solo all’ingresso e poi si stupisce che non ci siano medici o ingegneri, è chiaro che bisogna cercare di creare un accesso congruente alle esigenze del sistema industriale e produttivo. Sfido chiunque ad andare a Milano e assumere in 6 mesi 160 laureati, come noi abbiamo fatto a Bari: non ci sono. Bisogna dunque cercare di rispondere alle esigenze dell’impresa vedendo il sistema nel suo complesso.

Qual è il vostro approccio all’Intelligenza artificiale?

Al di là di giuste preoccupazioni etiche e di concorrenza industriale, noi oggi utilizziamo l’artificial intelligence in maniera pervasiva. Ad esempio, la stiamo usando per fare un’azione predittiva sulle reti elettriche, anticipando eventuali guasti. Queste cose si riescono a fare quando c’è la capacità di modellizzazione e di gestione dei dati, skill che richiedono progetti molto complessi ed elaborati e che non tutte le aziende possono fare. Con Enel abbiamo realizzato un data lake che gestisce i dati provenienti dai contatori elettronici, il che consente di modellizzare offerte commerciali o di gestione che danno il vero valore aggiunto al contatore elettronico.

Lo smart working è senza dubbio uno dei grandi temi nel mondo del lavoro, anche se dalla fine dell’emergenza pandemica in poi, c’è stato un notevole ripensamento. Come immaginate il lavoro del futuro: in funzione del ruolo, del dipartimento in cui si trova, dell’area geografica?

Io non vedo una contrapposizione tra lavoro internazionale ed essere ubicato localmente da qualche parte. Ad esempio, noi da Napoli gestiamo il ciclo attivo di Edf in Francia: un team napoletano sta svolgendo un ruolo determinante in un processo tutt’altro che marginale del principale operatore energetico francese. La tecnologia ci permette ormai di abbinare esigenze e competenze che non devono essere per forza fisicamente nello stesso posto e questo è un elemento molto importante nel sistema paese pensando al Mezzogiorno, dove abbiamo competenze difficilmente impiegabili nel resto d’Italia senza trasferimenti. Un’azienda moderna deve saper andare verso le competenze e le skill pregiate e non aspettare che queste vengano da lei. Per questo ha sicuramente senso creare micro-uffici in più parti del territorio e cercare persone che risiedono a Bari o Napoli e possano sviluppare una carriera internazionale senza dover andare lontano, ovviamente con tutte le conseguenze in termini di acquisizione di skill tecnologiche e linguistiche e rimanendo consapevoli dei diversi fenomeni per pianificare i percorsi formativi del paese.

Siete riusciti a creare una rete nazionale attiva anche sui territori. E a livello internazionale?

Ormai molte aziende hanno una dimensione geografica globale: lavorare con Enel, ad esempio, significa essere in grado di mobilitare risorse in tutto il mondo, e noi che per vocazione siamo partner di sviluppo delle imprese dobbiamo farci trovare pronti in questo senso. Anche per questo motivo abbiamo mantenuto un rapporto con il gruppo Atos e lo utilizziamo per progetti di respiro più ampio, cogliendo sia la dimensione nazionale che le esigenze globali dei player con cui abbiamo a che fare. Da non dimenticare poi l’aspetto della veicolazione della tecnologia, che noi stiamo mettendo in campo in Italia ad esempio con il Cineca; l’Unione Europea ha messo in campo 350 milioni di euro per la realizzazione di supercalcolatori che si vanno a sommare agli sforzi di Pnrr e realtà come Leonardo. Fare tutto questo con tecnologia europea è un elemento importante di sovranità politica.

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