Kissinger è un filosofo che ha vergato la sua teoria non in libri soltanto ma nella prassi, non in pagine ma in eventi. La sua analisi sull’Ucraina appare attualmente l’unica risolutiva, mentre altri inneggiano agli imperi. Il commento di Federico Leonardi
In occasione dei cento anni di Henry Kissinger, Formiche dedica uno speciale all’ex segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, raccogliendo contributi e riflessioni su una delle personalità più influenti del Novecento. Qui ospitiamo il contributo di Federico Leonardi, filosofo e docente
Pare che dal 1950 la direzione dell’Università di Harvard, vistasi recapitare una tesi dalla mole senza precedenti, da allora in poi abbia istituito una lunghezza massima. Ben oltre 400 pagine erano troppe: bisognava scoraggiare titanismi di questo genere in futuro.
Responsabile fu Henry Kissinger che per la sua laurea in Scienze Politiche aveva voluto presentare una tesi di filosofia: Spengler, Toynbee, Kant e il senso della storia. Rimane tutt’oggi l’unico suo testo mai pubblicato. Egli stesso ha lasciato calare il silenzio su quell’inizio e gli studiosi convengono che le sue radici affondino nella sua tesi di dottorato sull’Europa del Congresso di Vienna, in cui l’equilibrio generale dipendeva non da qualche ideale ma dal mantenimento di un equilibrio di potenza tra tutti gli agenti.
Capire Kissinger significherebbe capire il sistema europeo dell’Ottocento, sua bussola dall’inizio alla fine: evitare gli squilibri voleva dire evitare scontri tra imperi e due guerre mondiali ne davano ampia prova. Quando fu politico cercò appunto la distensione con l’Urss, non la guerra; riaffermò con ogni mezzo, anche appoggiando dittature spietate e disumane, le sfere d’influenza degli Usa in America Latina.
Ancora oggi la sua voce si è levata ad ammonire Usa e Russia a ritrovare la misura e a lasciare l’Ucraina equidistante: i due imperi trovino l’equilibrio di potenza, l’Ucraina è il loro confine e banco di prova. I suoi ultimi libri sulla Cina e sul nuovo ordine mondiale vanno nella stessa direzione di trovare una misura al mondo a partire dall’aurea sapienza europea, ovvero preferire la spartizione realistica di sfera di influenza all’illusoria guerra tra imperi.
Eppure, senza quella tesi di laurea non si capisce il vero Kissinger.
È un filosofo? Lo è. Infatti, su quella via lo avevano condotto due suoi maestri, William Handel Elliot, suo tutor durante gli studi e supervisore della tesi, e soprattutto Caspar Joachim Friedrich. Quest’ultimo, come Kissinger tedesco trapiantato negli Usa, si era già distinto per aver collaborato col governo statunitense alla denazificazione della Germania fino a essere coinvolto nella stesura della costituzione democratica della Germania dell’Ovest.
Arendt, Popper, Schmitt, Strauss, Adorno, Horkheimer, Löwith costituiscono una schiera di nomi che la fama ha consegnato a noi perché per primi cercarono il discrimine tra democrazia e totalitarismo e tra storia e politica. Perché dalle democrazie erano venute dittature? Perché filosofie della storia come quelle di Marx, Darwin o Nietzsche avevano ispirato la politica fino a renderla totalitaria? Friedrich era sulla stessa strada e studiava gli stessi autori: Kant e Hegel soprattutto, di cui curò traduzioni e commentari. La fama non gli arrise ma l’influenza sul governo Usa o tedesco fu profonda.
Ecco, Kissinger è della stessa pasta: un filosofo che ha vergato la sua teoria non in libri soltanto ma nella prassi, non in pagine ma in eventi. Ricollegare Hegel a Kant vuol dire distinguere storia e politica senza intrecciarle: nessuna visione della storia salverà il mondo, né la politica ha un ruolo salvifico. E Marx aveva tratto da Hegel il suo metodo. Questo è il senso profondo della sua tesi di laurea. Ma perché anche Spengler e Toynbee? Il primo nel Tramonto dell’Occidente mostrava che la nostra civiltà era sulla strada del tramonto già dalla prima guerra mondiale: le guerre successive sarebbero state come quelle di chi ormai ha soltanto la forza da mostrare perché ha perso carisma e influenza. Il secondo compiva un passo oltre: il suo libro sulla storia universale (in 12 volumi!) mostrava che la globalizzazione è la grande illusione occidentale, in essa si nasconde la reazione delle altre civiltà al colonialismo.
Kissinger dunque capì grazie alla tesi che il mondo unico non potrà mai esistere, né che nessun impero, nemmeno quello americano, sarà eterno. Allora ne usò il potere per dare portata globale alla sua visione filosofica: non il politologo dell’equilibrio di potenza ma il filosofo del mondo multipolare. Egli infatti si prodigò per cercare di trascinare l’intero mondo nelle relazioni internazionali senza lasciarlo soltanto a Usa e Urss aprendo alla Cina, all’India e spingendo gli Stati europei a farsi soggetto politico forte. Perché dire equilibrio di potenza è un ossimoro, la potenza si equilibra con un’altra con la guerra: questo il Novecento l’aveva insegnato all’Ottocento. E bisognava evitare ieri come oggi la terza guerra mondiale: per questo l’analisi del filosofo Kissinger sull’Ucraina appare attualmente l’unica risolutiva, mentre altri inneggiano agli imperi.