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Via della Seta, se Meloni preferisce la coerenza ai mandarini di Stato

La presidente del Consiglio ha voluto mettere la questione del memorandum al centro del dialogo con alleati e partner, a partire dagli Usa. G7 e visita alla Casa Bianca saranno occasioni per indicare la direzione scelta. Anche se c’è chi spinge per soluzioni diplomatiche che possano essere gradite a Pechino

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha una caratteristica che la rende “speciale” agli occhi degli elettori e degli italiani in genere: è coerente. Non manca di adeguarsi alla realtà che cambia ma la distanza fra le parole e i fatti è minima quando si tratta della leader di Fratelli d’Italia. Non è sempre facile e ora sono in tanti a sperare che si converta sulla Via della Seta. Il memorandum d’intesa firmato nel marzo 2019 dal governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte si rinnoverà automaticamente per altri cinque anni a meno di un passo indietro che va comunicato entro tre mesi da quell’automatismo, cioè entro fine anno. Questo è quanto prevede quel documento, che sembra scritto apposta per rendere un passo indietro più costoso e impegnativo – almeno all’apparenza – di un semplice rinnovo.

Già prima delle elezioni di settembre e dell’ingresso a Palazzo Chigi, Meloni aveva definito quell’intesa un “grosso errore”, aggiungendo che “se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”. Parole pronunciate in un’intervista all’agenzia di stampa taiwanese Cna, non un media come un altro data la situazione internazionale con le rivendicazioni di Pechino verso quella che ritiene una “provincia ribelle”. Da allora la sua posizione non sembra essere cambiata.

Diverso è, invece, l’approccio scelto dal governo Meloni rispetto a quello abbracciato dall’esecutivo Conte nel 2019. Allora era stato evidente il nervosismo americano. “L’Italia è un’importante economia globale e una grande destinazione per gli investimenti. Non c’è bisogno che il governo italiano dia legittimità al progetto di vanità cinese per le infrastrutture”, aveva scritto Garret Marquis, assistente speciale dell’allora presidente Donald Trump e portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, su Twitter. Meloni, invece, ha lavorato per far sì che il tema fosse sempre al centro del dialogo con gli Stati Uniti, l’Unione europea e il G7. Anche per questo, a fine febbraio Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e uno degli uomini più ascoltati del governo oltreché cognato della presidente del Consiglio, aveva sottolineato in un’intervista al Messaggero l’importanza di muoversi nei rapporti con la Cina “di concerto con gli Stati europei e anche con gli Stati Uniti, con i Paesi Nato, perché un’alleanza è un’alleanza, non solo militare”.

Come raccontato in questi giorni su Formiche.net, l’attenzione europea e americana verso la decisione di Roma cresce mentre si avvicina il G7 di Hiroshima. Se ne sono occupati media come Reuters, Politico, Euractiv, Bloomberg e CNBC. Mancano meno di tre settimane al summit dei leader in Giappone, e poco meno di otto mesi per la decisione italiana sul rinnovo (o meno) della Via della Seta. “Gli alti funzionari di entrambe le sponde dell’Atlantico si aspettano che Meloni segnali la direzione che Roma prenderà entro la sua partecipazione al vertice del G7 a Hiroshima con il presidente statunitense Joe Biden”, ha scritto Politico. “La decisione italiana è anche un test per la coesione del G7 verso la Cina”, ha osservato Alexander Alden, nonresident senior fellow dell’Atlantic Council, intervistato da Formiche.net. “Uno dei temi del summit è l’alternativa alla Via della Seta e in questo senso sarà importante valutare la coesione e la solidarietà verso l’Italia che potrebbe decidere di fare la cosa giusta uscendo dal progetto Via della Seta”, ha spiegato.

Un mese dopo il summit giapponese, Meloni potrebbe volare negli Stati Uniti per un faccia a faccia con Biden alla Casa Bianca, come raccontato dal Corriere della Sera. Potrebbe essere quella la sede per parlare approfonditamente con il principale alleato dal dossier Via della Seta. Intanto, però, i suoi incontri e viaggi all’estero – il memorandum d’intesa con il Regno Unito e i nuovi partenariati strategici con Giappone e India, tra gli altri – hanno già disegnato una mappa politica, commerciale e militare di sostanziale alternativa alla Via della Seta.

Sulla sponda opposta si trovano diversi burocrati. Mandarini è il termine più adatto vista la materia. Come raccontato su Formiche.net, in zona Farnesina circola l’ipotesi di o conservare l’accordo considerato ormai del tutto privo di contenuti ovvero di lasciar cadere il memorandum d’intesa e firmare un altro accordo commerciale che sia privo delle implicazioni politiche della Via della Seta ma che consenta all’Italia di dirsi impegnata a mantenere buone relazioni con la Cina e allo stesso tempo di evitare una dura reazione di Pechino. Una soluzione che “potrebbe lasciare tutti scontenti e sarebbe la riproposizione di una diplomazia italiana che già in passato ha praticato l’arte dell’equivoco”, ha commentato Alden. “Con un simile approccio diplomatico l’Italia rischierebbe di non essere presa seriamente”, ha aggiunto l’ex funzionario del dipartimento di Stato americano.

La decisione sulla Via della Seta, spiegavamo già qualche settimana fa, rappresenta per l’Italia e per la presidente Meloni l’opportunità di distinguersi nel rapporto transatlantico dopo le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron e le incertezze del cancelliere tedesco Olaf Scholz. I “mandarini” della burocrazia italiana vorrebbero tentare un ennesimo pasticcio all’italiana (in fondo, sono coerenti pure loro). Sulla loro strada, però, c’è Meloni. Per quanto cerchino di imbrigliarla con letture arzigogolate, la presidente del Consiglio ha fiuto politico e una certa dimestichezza ormai con la politica estera. I viaggi in India e nel Regno Unito, i vertici con l’omologo giapponese e gli altri leader mondiali le hanno offerto una visione chiara delle forze in campo e delle opportunità concrete che l’Italia avrebbe nel consolidarsi in un percorso alternativo alla Via della Seta. La sua conversione cinese può aspettare.

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