Nelle pubbliche amministrazioni mancano i tecnici e i progetti. Bisognerebbe coinvolgere le migliori intelligenze ingegneristiche e giuridiche fornite dalle università e dai centri di ricerca. Il commento di Giuseppe De Tomaso
Se fosse possibile ripensare gli interventi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) la messa in sicurezza del territorio meriterebbe, insieme con la sanità, il primo posto nell’agenda progettuale. Già Luigi Einaudi (1874-1961), più di un secolo addietro, indicava (inascoltato) nelle opere pubbliche tese a ricostruire, risanare e tutelare la fragile Italia un obiettivo ineludibile per lo Stato centrale. Gli ultimi disastri provocati dalle calamità naturali e dal dissesto idrogeologico, aggravate anche dall’alterazione del clima, hanno reso oggi il tema della salvaguardia territoriale ancora più drammatico e urgente di quanto lo fosse in passato. Ma lo Stato possiederebbe tutti gli strumenti necessari per affrontare una sfida così impegnativa qualora decidesse di concentrare molti dei quattrini del Pnrr a beneficio della sicurezza territoriale? Bah. Qualche dubbio è lecito.
L’impressione è che l’abito normativo cucito addosso al Pnrr non abbia tenuto conto della palla al piede che frena l’Italia: la burocrazia. La Pubblica amministrazione nostrana è quella che è, ha la gobba ed è poco agile, funziona così così al Nord, funziona peggio al Sud. In ogni caso essa non sembra all’altezza del compito che è chiamata a svolgere. Figuriamoci se la burocrazia dovesse cimentarsi su un problema immane, tipo la tutela del territorio.
Il pianificatore ha varato, per l’attuazione del Pnrr, un pacchetto di regole, la cui filosofia sembra dare per scontato che, in Italia, tutto funzioni alla perfezione e che, gli enti locali, al Nord e a Sud, siano più efficienti della Nasa durante le missioni spaziali. Magari il Belpaese disponesse, a livello burocratico, di quel bagaglio di conoscenze e di professionalità, di quella cultura per il risultato (opposta all’ossessione per la procedura) date per acquisite nella programmazione degli interventi. Lo Stivale non avrebbe paura di nessuno nella competizione globale tra Stati nazionali e tra imprese private.
La verità è che pochi sanno rispondere alla domanda-chiave che incombe da mesi sul Pnrr: chi lo attua? O meglio: chi sarebbe capace di attuarlo? Intendiamoci: i cervelli giusti ci sarebbero e ci sono, ma non si trovano nei posti giusti, nei punti dove si prendono le decisioni. Ecco perché servirebbe una mobilitazione di esperti, una loro massiccia chiamata alle armi per rimediare alle insufficienze delle pubbliche amministrazioni, soprattutto di quelle locali. Il Sistema Italia dovrebbe coinvolgere le migliori università, i più moderni centri di ricerca, i più avanzati laboratori, per estrarre dai loro ranghi i più geniali progettisti, i più bravi amministrativisti, i più attenti conoscitori della macchina pubblica. Solo così si potrebbe formare una o più task force, uno o più nuclei di cervelli, in grado di assistere, come registi o come consulenti, tutti quegli enti (molti) sprovvisti di personale all’altezza.
Se negli enti locali, in particolare al Sud, latitano persino i funzionari capaci di predisporre un bando di gara per uno sgabuzzino, come si può immaginare che quegli stessi uffici siano in grado di presentarsi con le carte e i progetti in regola per attingere finanziamenti dal serbatoio del Pnrr? Non si tratta di commissariare la burocrazia dello Stivale, come in parte venne fatto, nelle Regioni, per l’attuazione del federalismo amministrativo concepito dal ministro Franco Bassanini. Ma servirebbe come il pane, sul territorio, l’insediamento, nelle Regioni o nelle Prefetture, di una struttura tecnica dotata di tutte le competenze indispensabili per sfornare un parco progetti degno di essere finanziato. Probabilmente, sul piano progettuale, le pubbliche amministrazioni del Nord stanno messe un po’ meglio, ma solo una rivoluzione tecnico-amministrativa, come quella testé abbozzata, potrebbe consentire all’Italia intera di utilizzare al meglio l’occasione irripetibile fornita dal Pnrr. Per intenderci: bisognerebbe creare una, dieci, venti Invitalia, questa volta solo in funzione di questa specie di Piano Marshall-bis, il Pnrr, concepito dall’Europa. Non se ne parla, forse perché l’attenzione è concentrata su una sola domanda, alquanto amletica: meglio accentrare o decentrare la regia delle iniziative per il Pnrr?
In un caso o nell’altro, qualunque dovesse essere la risposta, rimarrebbe irrisolta la questione centrale. Che succede quando arrivano i finanziamenti? Dobbiamo incredibilmente considerarli una iattura? Sì, perché i problemi esplodono o esploderebbero proprio di fronte ai fiumi di finanziamenti, che paradossalmente adesso risultano eccessivi, perché privi di esperti di qualità nell’utilizzarli. Ovviamente, per i soldi da impiegare, in caso di centralizzazione della regia e delle iniziative, lo Stato, da Roma, potrebbe decretare l’inadeguatezza dei soggetti territoriali inadempienti e, di conseguenza, provvedere ad esautorare quest’ultimi, a commissariarli. Ma torniamo al punto di partenza: dove troverebbe, lo Stato nazionale, i sostituti degli inadatti amministratori locali se non in una chiamata a raccolta di tutte le migliori intelligenze progettuali, giuridiche e ingegneristiche, della Penisola? Infatti.
L’Italia è il Paese dei Politecnici, invidiatici anche all’estero. Ecco: i Politecnici andrebbero tutti allertati e cooptati in questa mobilitazione generale per l’ammodernamento della nazione, che solo il pieno utilizzo delle risorse del Pnrr renderebbe possibile. La salvaguardia della salute e del territorio dovrebbe, anzi deve, avere la precedenza, si capisce, ma questo schema, questo metodo di lavoro, che in fondo consisterebbe nell’estensione del modello Genova, già adottato per la ricostruzione del Ponte Morandi precipitato qualche anno fa, dovrebbe essere applicato all’intero ventaglio delle opere pubbliche in cantiere. E insieme con i Politecnici, andrebbe ingaggiato, coinvolto il meglio delle intelligenze giuridiche sfornate dalle università e dai centri di ricerca. Insomma, servirebbe una corresponsabilizzazione corale, ma di natura meritocratica, per non lasciarcisi sfuggire l’opportunità del Pnrr, specie ora che (Schlein) lo si reclama come salvadanaio per salvare il territorio dal dissesto e dai continui disastri naturali.
Vasto programma? Forse. Ma prima o poi bisognerà pure iniziare a metterci mano.