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Perché fiere e festival letterari sono così importanti. Scrive Cappello

Di Angelo Piero Cappello

L’Italia è ricchissima di fiere e rassegne del libro, ma queste funzionano solo quando mettono al centro della loro stessa esistenza la formulazione intelligente (e intellegibile) di un alfabeto iconico immaginario nel quale riconoscersi e al quale appartenere. Il commento di Angelo Piero Cappello, direttore del Centro per il libro e la lettura del ministero della Cultura

Il ritorno ai riti pubblici e sociali, dopo la pandemia con il suo seguito di crisi diffusa, ha riproposto la questione dell’utilità – commerciale, prima ancora che culturale – delle fiere e dei festival del libro. E molti, tra amministratori locali, intellettuali e politici nazionali, si sono trovati a sottolineare la scarsa utilità e la ridotta pervasività di queste occasioni di promozione della lettura, quasi denunciando la sostanziale inefficacia di quegli eventi pubblici rispetto alla necessità di promuovere, più che il libro, la lettura.

Ma il problema eluso da parte di costoro è invece il valore ‘immaginario’ che i festival e le fiere recano con sé: se commercialmente una fiera non sempre costituisce occasione di lucro per chi vende, e se non sempre i festival giungono a segno nello stimolare curiosità e letture, è però vero che quasi sempre (sia nelle fiere o rassegne di più ridotte dimensioni, sia nelle kermesse di grande prestigio e valore) le manifestazioni che celebrano il libro come oggetto e la lettura come progetto costituiscono una straordinaria occasione di identificazione collettiva con i riti e i miti, le immagini e i simboli che il libro – in tutte le sue declinazioni e le sue variazioni sul tema – propone all’immaginario collettivo.

Il ruolo dei festival, come di ogni altra manifestazione collettiva che riguardi i libri o la lettura (premi, rassegne, presentazioni, reading ecc.), è infatti fondamentale nel processo di crescita identitaria e consapevolezza immaginaria di una comunità: come dire, al Salone del libro di Torino non ci si reca solo per acquisti e letture ma anche (e in taluni casi soprattutto) per partecipare al rito collettivo della esposizione del libro, per sentirsi parte integrante (e integrata) di una comunità che, nel suo immaginario, propone il libro e la lettura come fatti in sé di valore.

È un po’ il momento liturgico più alto della celebrazione laica del libro: quello che, generalmente, è percepito come uno strumento d’uso in solitaria, durante i festival o le rassegne si trasforma in una occasione di partecipazione e di condivisione di una intera comunità (quella dei lettori) capace di attrarre a sé anche l’interesse e la curiosità degli altri (i non lettori), magari passando attraverso la canonizzazione di immagini-simbolo (libri, slogan, personaggi, vip) che contribuiscono alla creazione dell’immaginario nel quale ci si riconosce.

In questo senso, i festival non sono tanto importanti per la ‘diffusione’ del libro e della lettura, quanto per la loro celebrazione: che significa il veder celebrato, in un unico momento, il valore del libro socialmente riconosciuto insieme alla identità della comunità che intorno alla celebrazione del libro si riunisce e si riconosce e che, per questo, ‘attira’ nuove adesioni. Insomma, i festival – che siano occasione mondana o fiere commerciali – sono i momenti in cui i libri escono dagli scaffali (e dalle sfere solipsistiche di consumo di lettura) e si fanno presenza importante tra le persone, rappresentando l’elemento di connessione vera e profonda, la possibilità del radicamento nell’immaginario di ognuno e di tutti, l’opportunità di un approfondimento verticale dell’appartenenza e dell’identità.

Proprio per la natura ‘celebrativa’ che i vari festival del libro rappresentano, essi costituiscono anche un momento topico della vita di una comunità: momento in cui ci si riconosce, socialmente ed economicamente, all’interno della stessa rete di conoscenza, di parametri culturali, di tradizioni, credi e interessi. Certamente, come tutte le occasioni di socialità e condivisione questo porta con sé l’opportunità della crescita economica sia perché ogni evento di condivisione sociale comporta produzione e consumo sia perché genera il riconoscimento di nuovi bisogni e di nuove percezioni.

Bisogni e percezioni che si riconoscono come tratti comuni ad una collettività sociale, che inducono aggregazione e solidarietà, che profilano e definiscono identità personali e collettive, che garantiscono l’adesione totale dell’elemento personale all’elemento dell’immaginario collettivo (anche e soprattutto culturale), che permettono di approfondire e rinnovare le radici profonde dell’appartenenza comunitaria: a questo servono le occasioni collettive di celebrazione del libro e della lettura che lì vi si celebrano, non solo alla vendita e alla promozione del libro. L’Italia è ricchissima di fiere e rassegne del libro, ma queste funzionano solo quando mettono al centro della loro stessa esistenza la formulazione intelligente (e intellegibile) di un alfabeto iconico immaginario nel quale riconoscersi e al quale appartenere.

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