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Perché il papa non è solo. Scrive Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Cosa manca per non lasciare solo il papa e dare forza ad uno sguardo necessario a tutti, anche a chi è in guerra? Risponde Giancarlo Chiapello,  segreteria nazionale Popolari-Italia Popolare

Serve una premessa per comprendere l’azione diplomatica di Papa Francesco nella vicenda della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, che sta nel fatto che la Chiesa ha anche uno sguardo geopolitico perché questo le permette di agire nella storia anche se con un orizzonte diverso, spesso all’opposizione dello stato delle cose come ben riassunto da Benedetto XVI a Frascati nel 2012: “e questo rimane il mandato della Chiesa: non predica ciò che vogliono sentirsi dire i potenti.  Il suo criterio è la verità e la giustizia anche se sta contro gli applausi e contro il potere umano”.

Già Stalin negava e irrideva questo sguardo quando, richiamato a Yalta a considerare la visione dell’Europa espressa da quello straordinario diplomatico che era Papa Pio XII, domandava “quante divisioni avesse il Papa”. Questa negazione avviene anche all’interno di ambienti cattolici sessantotteschi ed intellettualoidi, ma servirebbe un ulteriore approfondimento, basti allora considerare che, alla fine è
quella logica che sorregge quella geopolitica, definibile “di Betlemme”, (che il cattolicismo progressista fa fatica a comprendere tanto quanto il cristianismo conservatore o, per dirla con Andrè Frossard, “progressista” è uno che fa la volontà di tutti, tranne che di Dio; “conservatore” è invece uno che fa sempre la volontà di Dio, che Dio lo voglia o no”), ben spiegata anche da un teologo luterano come Bonhoeffer in chiave anti-nazista, quindi necessariamente politica: “non è un idillio familiare, bensì l’inizio di una conversione totale, di un riordinamento di tutte le cose della terra … è lo stesso Bambino Gesù nella mangiatoia a compiere il giudizio e la redenzione del mondo: lui
respinge i grandi e i violenti, lui rovescia i potenti dai troni, lui umilia i superbi … innalza ciò che è umile e lo fa grande e glorioso nella sua misericordia”.

Dunque c’è una straordinaria linea di continuità nello sguardo geopolitico di Papa Francesco, come non potrebbe essere altrimenti, che
proprio negli interventi in Ungheria, come detto in altra occasione, ha trovato una interessante sistematicità, che non può slegarsi dalla ricerca della costruzione della pace, che quando sconvolta non può mai essere ridotta a questione di singolarità col rischio di risaltare indietro di duemila anni ai codici che definivano le vendette e non la fatica della giustizia, per capirci il modello “mezzogiorno di fuoco”, che è la negazione dello spazio laico, disconoscendo il valore della comunità internazionale, multilaterale, sconvolta in qualche modo essa stessa dalla guerra, anche quando sembra che tradizionali alleati di questa linea, come l’Italia, lo abbandonino presi da dogmatismi internazionali artefatti che portano alla costruzione di posizioni ideologiche: lo sguardo geopolitico, perché legato alla concretezza, all’umanità, è invece anti-ideologico e quindi può essere pienamente diplomatico!

La peculiarità del Santo Padre è il costante punto di partenza, l’Europa secondo la visione dei Padri fondatori democristiani e come riconosciuto anche nel saggio di Eugenio Mazzella, Europa. Cristianesimo, Geopolitica: “è di un’Europa che rinasca alle sue radici cristiane e tornando a nascere, generandosi le porti e le testimoni nel mondo, che ha bisogno l’annuncio cristiano come guida alla pace e dell’ecumene umana … Una profezia che è il terreno in cui si radica l’anima “politica” della pastorale urbi et orbi di Francesco sulla scena dell’ecumene umana quale è oggi, negli assetti geopolitici della globalizzazione.

Della “grande politica”, anche da parte della Chiesa di Roma, di cui il mondo globale ha bisogno. Una pastorale in “uscita” dalle mura della Chiesa istituzione per capire e per andare incontro all’uomo lì dove sta oggi, nelle inquietudini di una globalizzazione dove “tecnica ed economia” la fanno da padrone”. Una visione che il filosofo campano allarga e sottrae alle pulsioni ideologiche militanti che si infiltrano
nell’arcipelago cattolico come quelle ambientaliste refrattarie all’ecologia integrale perchè, in ultima analisi, odiatrici dell’umanità, prodotto necessario del mainstrem, settorializzate: “Se questo è lo scenario, nella sceltà “religiosa” dell’annuncio promossa non da un Francesco esterno, ma da un Francesco insediato nella Chiesa istituzione, non c’è nessun puro e semplice “ritiro cristiano-cattolico” dalla Grande Storia; piuttosto proprio l’individuazione dell’unico modo per tornare a giocarvi un ruolo da protagonisti. Un ritorno in campo all’altezza dei tempi, in cui da decenni la Chiesa Cattolica sta provando a coinvolgere per altro ortodossi e protestanti.

Niente di più “politico” in senso globale quindi di questo approccio, il cui manifesto – preparato dai viaggi di Wojtyla e dal dialogo con la modernità della teologia di Ratzinger – è nell’Enciclica Laudato Si di Francesco. Un documento politico globale, che ha pochi eguali e forse francamente nessuno, nel contrasto a una mondializzazione mercatoria agita dal capitalismo “individuale” occidentale o da quello su di esso modellato dei fondi sovrani arabi o della superpotenza cinese. Enciclica che ad oggi è l’unico punto di vista globale alternativo al mainstream dei processi in atto della globalizzazione agita dallo sviluppo tecnico e dalla finanziarizzazione – disuguagliante dei rapporti sociale – dell’economia. Un’alternativa che individua la vera sfida valoriale e politica del futuro e l’orizzonte geopolitico non domestico-occidentale in relazione al quale va misurato il pauperismo della Chiesa “in uscita” di Francesco. In uscita in un mondo in cui le periferie del disagio sono ormai insediate dappertutto, parlare ai “poveri” è parlare ad una possibilità spirituale o materiale, a una condizione umana, che può riguardare tutti”.

Cosa manca evidentemente per non lasciare solo il Papa e dare forza ad uno sguardo necessario a tutti, anche a chi è in guerra? La parte laica che si sottragga al servizio a destra e sinistra, dentro ormai la piccola storia, le colonizzazioni ideologiche, le sudditanze internazionali e alla riedizione di vecchia classe dirigente in cerca di formule politiciste, che ha però fallito: non manca un luogo, un centro, ma un processo che può essere innescato solo da un pensiero di cattolici come il popolarismo democratico cristiano. I vertici del Ppe devono chiedere un confronto col Papa!



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