Tina era vera energia, un dono di Dio, una parte essenziale del Creato che ti fa dire: ecco, così è perfetto. La sua musica combaciava con la sua vita, che non è mai stata facile, e che ha raccontato dei suoi dolori con la sua voce blues e delle sue orgogliose rimonte
È impossibile levarsi di dosso i mattoncini della confort (se sei fortunato, naturalmente) zone su cui si costruisce la tua personalità. Dentro c’è la tua infanzia e la tua adolescenza, con crescente indoratura, proporzionale all’allontanamento da quell’età dell’oro. E allora per me attorno a Tina Turner luccica tutto: il rock, il rhythm and blues, la sua bellezza potente, negli anni degli esordi e la sua potente fisicità, negli anni ottanta e novanta, quelli della sua seconda vita, il suo protagonismo assoluto nella hall of fame del rock ad egemonia maschilista.
Che dire? Se esiste qualcuno, in età tra i quaranta e i settanta, che non ha sentito, ascoltando Proud Mary in versione turneriana, o River Deep Mountain High, le sue gambe muoversi dentro una frenesia irresistibile correndo nella musica e nella voce pastosa di Tina, beh, vuol dire che quel qualcuno aveva problemi di udito o di deambulazione. Perché Tina era vera energia, un dono di Dio, una parte essenziale del Creato che ti fa dire: ecco, così è perfetto. La sua musica combaciava con la sua vita, che non è mai stata facile, e che ha raccontato dei suoi dolori con la sua voce blues (che vuol dire malinconia), e delle sue orgogliose rimonte (il “proud” della celebre Proud Mary vuol dire, appunto “orgogliosa”).
Arrivò al rhythm and blues dal profondo sud (nacque a Brownsville, una cittadina di 10.000 abitanti nel Tennessee) facendo coppia con Ike, un marito manesco, alcolizzato e cocainomane, che la segnò profondamente e che tracciò le tappe di un viaggio verso l’inferno purtroppo non sconosciuto a migliaia di donne nel mondo. Tina ebbe la forza di uscirne e di risorgere. A 45 anni diventò la splendida rock star che la mia generazione imparò ad amare. Ripartendo da zero, dove l’aveva lasciata Ike, prosciugando anima e soldi con il divorzio del 1978. Dagli anni ottanta ai primi anni 2000 Tina riempì stadi, teatri, music hall, con concerti da solista e con collaborazioni storiche (indimenticabili i duetti con Mike Jagger tra cui spicca It’s only rock n roll, ma si consiglia un giro in rete per scoprire altre cose preziose come Honky Tonky Woman, con i Rolling), videoclip abbacinanti e qualche film diventato cult (Mad Max, con Mel Gibson).
I musicologi e i rockkologi la celebrano dappertutto oggi sui giornali. Che può dire di più e di meglio un suo fan? Niente. Solo consigliare a qualche giovane che non ha avuto la stessa fortuna della mia generazione di conoscere questa immensa interprete, di provare ad ascoltare la sua musica, di leggere della sua storia di donna e di musicista (c’è una versione italiana della sua autobiografia, “Io p, Tina” del 1993), di vedere qualche suo film. E, ascoltando, magari “Simple the Best”, provare a vedere come prudono le gambe, con quanta voglia (appunto), di sgambettare. Addio, grandissima Tina, nostra regina del rock n roll. Sarai sempre nei nostri cuori (e nelle nostre gambe).