La guerra in Ucraina ha dimostrato che il legame tra Stati Uniti ed Europa è forte, ai massimi dagli ultimi trent’anni. C’è convergenza, più graduale, anche sulla Cina, e Biden ha ottimi rapporti con Meloni e Scholz. Ma gli occhi sono puntati sulle primarie repubblicane, che preoccupano gli alleati. Conversazione con Jörn Fleck, senior director allo European Center dell’Atlantic Council
Jörn Fleck è senior director allo Europe Center dell’Atlantic Council, e per il think tank americano si occupa del rapporto tra Usa e Ue, in particolare sotto il profilo commerciale e tecnologico. Nato in Germania, ha studiato nel Regno Unito e negli Stati Uniti e ha lavorato nelle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. A Roma ha incontrato il ministro Raffaele Fitto e ha parlato con noi di Formiche.net in questa intervista registrata agli Utopia Studios.
All’indomani del G7 di Hiroshima e a 400 giorni dallo scoppio del conflitto in Ucraina, qual è lo stato delle relazioni transatlantiche?
Il legame transatlantico è più forte di quanto sia stato per molti, molti anni. Da più di un anno e mezzo Unione Europea e Stati Uniti costituiscono un fronte compatto sia per gli aiuti militari all’Ucraina, che per le sanzioni economiche istituite contro la Russia. Questi risultati non sarebbero stati possibili senza uno sforzo di profonda coordinazione e di cooperazione su base quotidiana.
Pensa che questo stato delle cose sia legato all’emergenza o sia destinato a durare?
La situazione è alquanto complessa. Gli Stati Uniti sono al momento guidati dall’amministrazione più marcatamente atlantista dai tempi di George H.W. Bush, con un presidente che ha strutturato la sua intera carriera all’insegna dell’atlantismo. Sin dal suo insediamento, il governo Biden ha lavorato per ricompattare i legami con i suoi alleati europei (pur con qualche momento di tensione, come la ritirata dall’Afghanistan o la firma dell’accordo Aukus), e lo scoppio della crisi in Ucraina ha certamente favorito questo riavvicinamento. Ma allo stesso tempo ha evidenziato come l’Europa continui a essere dipendente dagli Stati Uniti dal punto di vista della sicurezza, suscitando non poche preoccupazioni nella leadership europea…
Perché c’è questa preoccupazione?
Gli occhi dei leader e dei policymaker del vecchio continente sono puntati alle primarie repubblicane. L’esito di queste, ancor prima delle consultazioni elettorali, potrebbe influenzare fortemente il comportamento americano nei confronti dell’Europa. Specialmente nel caso di un ritorno di Trump. E l’Europa deve farsi trovare pronta all’eventualità di un ridimensionamento degli impegni di Washington nei suoi confronti.
Vede altrettanto in buona salute le relazioni bilaterali tra i principali paesi europei e Washington?
Dipende. Nel caso dell’Italia, assolutamente sì. L’approccio del governo Meloni è stato di totale sostegno alla posizione europeista e atlantista dell’Italia, molto più di quanto alcuni si aspettassero. E sono convinto che la rinnovata attenzione mostrata da Roma non solo verso il bacino mediterraneo, ma verso l’intero Fianco Sud dell’Alleanza Atlantica abbia contribuito al rafforzamento del legame tra Italia e Stati Uniti. Anche i rapporti con la Germania sono ottimi, e probabilmente destinati a rimanere tali, con la Casa Bianca ben conscia dell’influenza politico-economica del paese teutonico e del suo ruolo all’interno del contesto europeo. Con la Francia invece la situazione è diversa: per quanto sul piano militare i due paesi collaborino in modo molto efficace, a livello politico Parigi ha una visione direi “unica” non solo sul ruolo della Francia stessa, ma anche dell’intera Europa.
La risposta all’invasione russa dell’Ucraina è stata forte e comune. Anche nei rapporti con la Cina gli Usa vorrebbero una maggior coesione da parte degli alleati europei. La otterranno?
Credo che ci sia una convergenza di visioni tra gli Stati Uniti e i suoi alleati riguardo alla Repubblica Popolare Cinese, come evidenziato anche dalla dichiarazione finale del G7 appena conclusosi, ed è frutto di un trend di medio periodo. Negli ultimi anni in Europa abbiamo cominciato a sentire voci sempre più critiche nei confronti di Pechino, ma allo stesso tempo persiste la paura di trovarsi “intrappolati” in mezzo allo scontro tra due superpotenze. Le parole di Macron al suo ritorno da Pechino, per quanto assolutamente sbagliate nei tempi e nei modi, danno voce a questi timori. A Washington sanno che l’Europa ha già fatto tanto in questa direzione, e che ha bisogno di tempo per poter riaggiustare gradualmente la sua posizione verso la Cina. Serve un certo grado di pazienza.
Uno dei fronti caldi nella competizione tra Stati Unti e Cina è quello tecnologico. E il Trade and Technology Council che si terrà in Svezia il 30 e 31 maggio sarà uno dei tavoli in cui si parlerà di alleanze su green tech, materiali critici e tecnologie emergenti. Quali temi domineranno l’agenda?
Il Ttc rappresenterà un’occasione ottima per dimostrare come Stati Uniti ed Europa cooperino costantemente sulle più rilevanti questioni legate alla tecnologia. In questo momento entrambe le sponde dell’oceano sono concentrate sulla questione dell’Intelligenza Artificiale, soprattutto da un punto di vista normativo. La questione è estremamente spinosa, e l’Europa ha già dimostrato in passato di non considerare questo forum come il luogo migliore in cui discutere la regolamentazione del settore tecnologico. Ma non escludo che, a latere della conferenza principale, ambo le parti siano interessate a portare avanti un dibattito sulla questione.