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Parola d’ordine reshoring. Così Berlino riapre le miniere

Si parte dai giacimenti di fluorite e litio per assicurarsi i materiali per le batterie per auto elettriche. E la spinta a riattivare estrazione e raffinazione è dettata da considerazioni strategiche, per non lasciare l’economia tedesca alla mercé della Cina. Anche al netto dell’amore tra Scholz e Xi

La transizione ecologica (e la sicurezza nazionale) passano dall’approvvigionamento delle materie prime per le tecnologie verdi. Un settore in cui i Paesi europei partono svantaggiati e pericolosamente esposti alle volontà di Paesi terzi, dopo trent’anni di outsourcing, chiusura delle miniere e cessazione delle attività di raffinazione. Sull’onda dell’impulso europeo per rivitalizzare questi processi, l’Italia sta lavorando per mappare le proprie risorse (qui il punto di Gianclaudio Torlizzi sulla necessità di un piano minerario italiano). Intanto, altri Paesi si stanno muovendo con molta più urgenza.

È il caso della Germania, che si sta già dedicando a riaprire le miniere per estrarre le materie prime critiche necessarie. Si parte dalla miniera di Käfersteige, ai margini della Foresta Nera, che secondo gli esperti racchiude il più grande giacimento europeo di fluorite. Il materiale serve per costruire pannelli solari e batterie per auto (un suv Volkswagen elettrico ne richiede circa 10 chili). Oggi la Germania importa fluorite in grandi quantità, ma sfruttando il giacimento di Käfersteige – circa 2 milioni di tonnellate di fluorite grezza secondo le stime – potrebbe produrre 100.000 tonnellate all’anno entro il 2030, soddisfacendo il 40% della domanda tedesca e il 13% di quella europea.

Questi sono numeri dati al Financial Times da Simon Bodensteiner, ad della startup tedesca Deutsche Flussspat che lavora per riattivare la miniera di Käfersteige. Il sito era stato aperto da Bayer nel 1935 ed è rimasto in funzione fino agli anni Novanta, quando la flourite a basso prezzo importata dalla Cina ha invaso il mercato e abbattuto il prezzo sotto l’equivalente di 100 euro alla tonnellata. Oggi, però, la corsa alle tecnologie verdi ha risollevato il prezzo di una tonnellata di flourite: la scorsa estate ha sfiorato i 700 euro, per poi assestarsi attorno ai 560. E Deutsche Flussspat scommette che l’adozione della flourite come componente dei prodotti greentech sosterrà la domanda europea nel lungo termine.

Non si tratta dell’unico nuovo progetto minerario in Germania. Zinnwald Lithium intende sfruttare un gigantesco giacimento di litio in Sassonia, spiega FT, mentre Vulcan Energy Resources mira a produrlo a partire dall’acqua termale nel sud-ovest della Germania. Rimane irrealistico pensare che la Germania possa diventare autosufficiente, ha sottolineato Matthias Wachter, analista della BDI, la principale associazione industriale tedesca, “ma alcune delle materie prime di cui abbiamo bisogno possono essere prodotte qui. E questo ci dà un grande vantaggio”.

OLTRE AL MERCANTILISMO

Più dei potenziali ritorni economici (che spesso in Europa non bastano per convincere gli investitori ad affrontare il gravoso processo di permitting) ci sono considerazioni di tipo strategiche. A farle è il governo tedesco, che al pari degli altri Paesi europei sta lavorando per accelerare drasticamente i tempi di approvazione e offrire garanzie per ravvivare l’industria estrattiva locale. “Dovremmo sfruttare il potenziale di cui disponiamo e dimostrare che l’estrazione mineraria verde e sostenibile è possibile”, ha detto Franziska Brantner, sottosegretaria di Stato al ministero dell’Economia e responsabile degli sforzi del governo per rendere le sue catene di approvvigionamento più resilienti.

All’apparenza la linea di Brantner sembrerebbe cozzare con la condotta del cancelliere Olaf Scholz, che a novembre è stato il primo capo di governo di un Paese occidentale a far visita al presidente cinese Xi Jinping dopo che questi ha ottenuto il suo terzo mandato. In quella e altre occasioni il suo governo si è attirato le critiche degli alleati europei impegnati nel processo di de-risking dalla Cina, delineato a gennaio dalla presidente della Commissione europea, e già ministra tedesca della difesa, Ursula von der Leyen. Scholz, dal canto suo, spesso ha dato indicazione di prediligere gli interessi economici tedeschi alla posizione dell’Ue: a febbraio ha dichiarato “che la Germania svilupperà con decisione le relazioni economiche e commerciali con la Cina e si opporrà a qualsiasi forma di disaccoppiamento”, secondo la testata cinese statale Xinhua.

Dietro alla volontà tedesca di conservare buoni rapporti con Pechino ci sono anche le ragioni industriali dei produttori di auto tedeschi, che dipendono (e dipenderanno per anni) dall’importazione delle batterie cinesi per la conversione verso l’auto elettrica – industria fondamentale per il tessuto economico del Paese. Tuttavia, ciò non significa che Berlino non abbia imparato la lezione del gas di Vladimir Putin. “Siamo già più dipendenti dalla Cina per alcuni metalli di quanto non lo fossimo dalla Russia per il gas, ha detto Wachter a FT, “e questo è un rischio enorme”.

Come indicano l’attenzione della Germania verso l’apertura delle miniere, le recenti voci di controlli alle esportazioni-chiave verso la Cina e la linea dura della ministra degli esteri tedesca, Annalena Baerbock, il governo Scholz sembra intenzionato a bilanciare il mercantilismo con una dose crescente di pragmatismo strategico. La posizione tedesca si dovrebbe riflettere nella nuova strategia sulla Cina, prevista per fine anno: una prima bozza trapelata includeva un significativo irrigidimento della posizione tedesca nei confronti di Pechino.

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