Anche scienza e conoscenza divise dalla guerra in Ucraina. Giuseppe De Tomaso rilegge, quasi un secolo dopo, l’opera del filosofo spagnolo e sul protagonismo extraprofessionale sempre più marcato da parte degli specialisti dice che…
Pochi libri meritano un posto speciale nell’hit parade bibliotecaria del secolo scorso come La ribellione delle masse (1930). Autore il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883-1955). Sono trascorsi quasi cento anni dalla sua pubblicazione, ma l’opera di Ortega sembra rinverdire di giorno in giorno, come si addice ai classicissimi, senza tempo, della saggistica e della narrativa. Il ricordo di Ortega e del suo capolavoro ci è rimbalzato nella mente dopo aver ascoltato le parole del notissimo professor Carlo Rovelli, astro della fisica, sulla posizione dell’Italia, dell’America e dell’Occidente a proposito della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina.
Il libro di Ortega andrebbe letto e riletto per diverse ragioni, non ultima la portata profetica delle sue riflessioni sul declino della civiltà occidentale. Ma se c’è un capitolo che intriga più di altri per icasticità argomentativa, cifra stilistica e per tensione iconoclastica, il suo titolo è La barbarie dello specialismo. Avete capito bene. Alla retrocessione dell’homo sapiens in uomo massa non sfuggono neppure i migliori specialisti, i sontuosi fuoriclasse della scienza sperimentale, i nipotini di Galileo Galilei (1564-1642) e Isaac Newton (1643-1727).
Scrive Ortega: “Lo specialista ‘conosce’ assai bene il suo minimo angolo di universo, ma ignora radicalmente tutto il resto… Lo specialista non è un sapiente perché ignora formalmente quanto non entra nella sua specializzazione, ma non è neppure un ignorante perché è ‘un uomo di scienza’ e conosce benissimo la sua particella di universo. Dovremo concludere che è un sapiente ignorante, cosa oltremodo grave, poiché significa che è un tipo il quale si comporterà, in tutte le questioni che ignora, non giò come un ignorante, bensì con tutta la petulanza di chi nei suoi problemi speciali è un sapiente. Questo è il comportamento dello specialista. In politica, in arte, negli usi sociali, nelle altre scienze, egli prenderà posizioni da primitivo, da ignorantissimo; ma le assumerà con energia e sufficienza senza ammettere – e questa è la cosa paradossale – ‘specialisti’ di queste questioni”.
Non sappiamo se un redivivo Ortega estenderebbe anche al professor Rovelli il ritratto dello specialista lacunoso in altre materie testé riportato, contenuto nella sua La ribellione delle masse. Sappiamo solo che la linea dell’illustre scienziato italiano, sulla vicenda Ucraina, è chiara come il sole: niente armi a Kiev, niente sudditanza verso gli Stati Uniti, il ministro Crosetto è in conflitto di interessi per gli incarichi pregressi, avanti tutta con il negoziato. Peccato che senza le armi a Kiev l’Ucraina si accascerebbe al suolo, in un nanosecondo, come un sacco di patate. Peccato che l’unica richiesta di pace andrebbe rivolta a Mosca, non alla Casa Bianca o a Palazzo Chigi. Peccato che le manifestazioni irenistiche si svolgano solo in Occidente e contro l’Occidente, giammai in Russia e contro la Russia, come pure ci si aspetterebbe in base alla cronistoria del conflitto. Quanto a Crosetto, se non ha avuto nulla da eccepire il Capo dello Stato che lo ha nominato, evidentemente la sua nomina non prestava il fianco a contestazioni.
Che dire? La verità è che più si allontana la memoria diretta sulla tragedia della Seconda guerra mondiale, più cala la gratitudine e l’affetto verso le democrazie liberali, anche nei circoli più evoluti dell’Occidente. Non c’è curriculum che tenga tra i protagonisti del circo mediatico di casa nel teleschermo. È sufficiente accendere la tv, sintonizzarsi su un talk show qualsiasi per avere modo di ascoltare, anche da parte di ospiti dal cursus honorum strabiliante, vulgate e narrazioni blasfeme per la verità dei fatti e irriguardose per la credibilità delle opinioni. E le bugie, si sa, sono come le ciliegie. Una tira l’altra. Alla fine della giostra serale la disinformazione e la confusione dominano a tal punto la scena da manipolare la testa di milioni di persone. Al Cremlino sono in molti a battere le mani.
Sfugge al professor Rovelli il susseguirsi di una serie di fenomeni (politici, ovviamente) sempre più allarmanti. Uno: le democrazie battono in ritirata in parecchi angoli del pianeta, il che richiederebbe perlomeno un’attenzione raddoppiata, da parte del mondo libero. Due: a dispetto della rivoluzione tecnologica permanente, la natura umana tende a regredire anziché a progredire, il che facilita la rimonta delle tirannidi. Tre: malgrado gli interventi di regolazione e di repressione, la corruzione dilaga come uno tsunami. E quando la corruzione materialistica dei portafogli combacia con l’intossicazione ideologica dei cervelli, il pasticcio è doppiamente indigesto. E insidioso.
Quelli che, in Occidente e in Italia in particolare, ripetono che aggressori e aggrediti pari sono, tendono a trascurare un elemento fondamentale, e cioè che, indipendentemente dalla guerra Russia-Ucraina, l’Occidente democratico è già un miracolo della storia, un’eccezione, dal momento che oggi in gran parte del globo sta prevalendo la mentalità dispotica, non la voglia di democrazia. E anche se tutto il mondo attorno sta correndo alla velocità della luce, i suoi record attengono al sapere tecnologico, non già alla maturazione umanistica. Anzi la natura umana non solo non cammina, ma addirittura arretra, sedotta dalle sirene tribali sempre più seduttive, e resa insensibile alle ragioni di chi lotta fino alla morte per la libertà.
Le discussioni televisive, soprattutto in Italia, costituiscono la cartina di tornasole del sovvertimento della verità. Le democrazie sono democrazie proprio perché offrono le migliori tribune mediatiche anche ai loro nemici. Ma in alcuni casi, in alcune trasmissioni tv, salta qualsiasi equilibrio. Le tesi e i testimonial di Mosca spesso prendono il sopravvento, a conferma di un’asimmetria informativa (vantaggiosa per la Russia) che rischia di diventare il fattore decisivo per l’esito del conflitto. E anche sui giornali la causa Ucraina da tempo non sembra più riscuotere una solidarietà e un sostegno al di sopra di ogni sospetto.
Idem tra le forze politiche. Un anno addietro quasi tutti, in Occidente, riadattavano (“Io sono ucraino”) la coraggiosa frase (“Io sono berlinese”) pronunciata da John Kennedy (1917-1963) davanti al Muro di Berlino. Ora, un anno dopo, i distinguo si moltiplicano come conigli, nonostante le ininterrotte e inequivocabili parole filo-atlantiche e filo-ucraine di Sergio Mattarella e di una sopravvissuta all’Olocausto, come la senatrice a vita Liliana Segre.
Enrico Letta era forse il leader europeo più convinto dell’appoggio occidentale a Kiev. Oggi il Pd oscilla tra realismo geopolitico e pacifismo senza condizioni. Per non dire dell’equidistanza ipocrita di altre formazioni, volutamente e callidamente ignare della posta in gioco.
Ritorniamo a Ortega y Gasset. “Per la prima volta dalla notte dei tempi – avvertiva quasi un secolo fa il pensatore iberico – la storia d’Europa appare affidata alla decisione dell’uomo volgare. O, per la prima volta, l’uomo volgare che in passato si lasciava dirigere, ora ha deciso di governare il mondo”. Ma il bello, cioè il brutto, è che Ortega racchiudeva nel recinto degli uomini-massa anche il fior fiore degli specialisti, i sapienti-ignoranti, il cui elevato livello professionale evidentemente non corrispondeva al livello culturale (decisamente più basso). Poveri noi, povera Ucraina, povero Occidente se saranno gli uomini-massa, compresi i sapienti-ignoranti, i barbari specialisti resi più autorevoli dai loro camici bianchi, a condizionare le decisioni epocali o a plasmarle con il proprio scibile parziale.