Se la strada che i democratici dovranno percorrere in questa nuova competizione elettorale è solo apparentemente piana, da parte loro, i repubblicani, non hanno davvero margine di errore. L’opinione di Lucio Martino
Per quanto avvantaggiato dalla sua posizione di presidente in carica, Joe Biden non è il favorito per l’ormai imminente corsa per la Casa Bianca, cosa questa che però non vuol necessariamente dire che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà un repubblicano.
Di certo, Biden non sarà un candidato tradizionale. La sua nuova campagna non avverrà nel contempo di una pandemia, come quella che gli ha permesso di restare ben all’interno della sua abitazione durante l’intera stagione elettorale del 2020. Mentre un giorno dopo l’altro cresce il numero di quanti, anche all’interno del suo partito, si interrogano sulla sua età, come nel recente caso Hillary Clinton. Ne consegue che, per quanto Biden abbia sempre amato le luci della ribalta e per quanto abbia sempre amato il confronto con il pubblico, la sua nuova campagna elettorale sarà di basso profilo.
Un primo segnale a questo proposito Biden lo ha offerto annunciando la sua candidatura con un video, invece che con un più tradizionale comizio. Di certo sarà interessante vedere come spiegherà la sua lontananza dai riflettori, perché una sua partecipazione ad anche solo un dibattito televisivo potrebbe rivelarsi rischiosa. Forse la giustificherà dicendo d’essere troppo impegnato a fare il presidente in un momento nel quale la contingenza internazionale è particolarmente drammatica, ma un simile approccio potrà reggere solo in mancanza di una seria sfida interna al Partito democratico.
Sfida che Biden cerca di evitare sostenendo che nel correre contro di lui si otterrebbe solo il risultato d’indebolire il fronte democratico, visto che in questo suo primo mandato ha dato alle diverse anime del suo partito tutto quello che gli hanno chiesto. Ciononostante, un suo indisturbato percorso elettorale è tutt’altro che sicuro, come dimostrato dalla candidatura di un Robert Kennedy Jr. che ha subito riscosso un quindici per cento, pur avendo fatto poco o nulla, e come dimostrato dalle ricorrenti e mal celate ambizioni del governatore della California Gavin Newsom. In ogni caso, anche questa campagna elettorale, come quella del 2020, rappresenterà un qualcosa di veramente inedito.
Nel frattempo, la grande strategia con la quale i democratici sperano, nonostante Biden, di riuscire a mantenere il controllo della Casa Bianca, li porta ad aiutare Donald Trump a conseguire la nomina del Partito repubblicano prima di vederlo schiacciato sotto il peso dei tanti procedimenti legali che andranno a regime nel prossimo anno.
A ben guardare sta già accadendo. Non è un caso se la Cnn, solo pochi giorni fa, gli ha offerto una grande vetrina televisiva dalla quale brillare, mentre le narrative di tanti media locali e nazionali, da sempre schierati con i democratici, da ultimo descrivono un Trump che come presidente non era poi così male, al punto da presentarlo come ragionevole sui più tradizionali cavalli da battaglia dei democratici, quali l’aborto, il controllo delle armi da fuoco e la previdenza sociale. Trump diviene così l’alternativa di sinistra a un establishment repubblicano che si starebbe coagulando intorno a un candidato di gran lunga più a destra dell’ex presidente, vale a dire Ron DeSantis, il governatore della Florida. In altre parole, i democratici sembrano intenti a ripetere quanto fatto nel 2016: costruire Trump per poi, una volta ottenuta la nomina del suo partito, seppellirlo sotto una montagna di accuse e di denaro. Non per niente nel 2020 i democratici hanno raccolto diverse centinaia di milioni di dollari in più di quanti ne ha raccolto Trump e nel 2024 potrebbero facilmente raccoglierne una quantità ancora maggiore.
Tuttavia, per i democratici, aiutare Trump a ottenere la nomination potrebbe rivelarsi un errore. Sicuramente lo è stato nel 2016, quando i media che pure sostenevano la candidatura della democratica Hillary Clinton gli hanno concesso una copertura televisiva gratuita successivamente stimata in un miliardo di dollari. A questo proposito è interessante notare come non sono pochi i democratici convinti che da presidente Trump si sia dimostrato così caotico nel tentattivo di realizzare le sue politiche, che nell’eventuale impossibilità di riconquistare la Casa Bianca preferirebbero Trump a un DeSantis giudicato come molto più efficace nell’implementare la sua agenda e, quindi, nel cancellare quanto finora costruito da Biden.
Il quadro è reso poi ancora più complesso dal fatto che un’altra consistente fetta di democratici, ma anche di repubblicani, rifiuta nel modo più assoluto l’eventualità di un ritorno di Trump alla Casa Bianca e vuole solo distruggerlo, anche a costo di favorire l’ascesa di un DeSantis al quale Trump continua comunque a negare qualsiasi futuro appoggio anche nel caso in cui quest’ultimo riuscisse a vincere la candidatura per il Partito repubblicano. Posto quest’insieme di circostanze, sembra lecito concludere che se la strada che i democratici dovranno percorrere in questa nuova competizione elettorale è solo apparentemente piana, da parte loro, i repubblicani non hanno davvero margine di errore.