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Xi non vuole Putin umiliato. Le parole del capo dei cyber 007 di Londra

Sir Fleming sta per passare il testimone a Keast-Butler, prima donna a capo dell’agenzia britannica di signals intelligence. Al Financial Times fa il punto sui suoi sei anni di direzione, culminati con la guerra in Ucraina. La Cina? “La più grande sfida per l’Occidente”

Sir Jeremy Fleming sta per lasciare la direzione del GCHQ a quella che diventerà la prima donna a capo dell’agenzia britannica di signals intelligence, Anne Keast-Butler, che come lui è stata capo delle operazioni di MI5 prima di raggiungere la “Ciambella”. Ha tracciato un bilancio dei sei anni alla guida della struttura in una conversazione con Roula Khalaf, direttrice del Financial Times, al Museo della scienza di Londra.

Sir Fleming è una figura centrale nel processo di “apertura” dell’intelligence che ha segnato il lavoro delle agenzie occidentali, di Stati Uniti e Regno Unito in particolare, sull’invasione russa dell’Ucraina già nelle settimane che hanno preceduto il 24 febbraio 2022 per contrastare la disinformazione di Mosca e provare a dissuadere il leader Vladimir Putin. Ma anche sulla tutela della privacy, tema sempre più sentito dai cittadini anche dopo alcuni scandali. In questi anni, spiega Khalaf, “Fleming ha cercato di alzare leggermente il velo sul GCHQ, parlando pubblicamente delle minacce e persino facendo da conduttore del programma radiofonico mattutino Today della Bbc l’anno scorso”.

Dopo sei anni alla guida dell’agenzia, ritenuta più grande di MI5 e MI6 per personale impiegato, dirigendola sotto quattro primi ministri e cinque ministri degli Esteri, Fleming vuole sottolineare che i sondaggi mostrano che le agenzie di intelligence britanniche godono costantemente di un alto livello di fiducia da parte dell’opinione pubblica. La definisce “una delle caratteristiche bizzarre del sistema britannico” se comparato con quanto accade in “molti” Paesi “nostri alleati”. Si tratta, almeno in parte, dell’effetto James Bond, dice. “Le spie britanniche sono avvolte da un carico di mitologia cinematografica e da tutte queste altre cose che a volte, per lo più nel bene e a volte nel male, si affollano nel nostro immaginario”.

Questi sono gli aspetti positivi. Quelli negativi sono stati riassunti nel 2016 da sir Alex Younger, allora capo di MI6. In un raro discorso pubblico si era detto “combattuto” su James Bond. “Ha creato un’immagine potente per MI6” che “molte delle nostre controparti invidiano”. Ma “se Bond chiedesse di entrare in MI6 ora, dovrebbe cambiare le sue abitudini”, ha aggiunto sottolineando gli eccessi del personaggio invitato da sir Ian Fleming (soltanto di recente sir Jeremy Fleming, che come l’autore di James Bond si è occupata prima di entrate nell’intelligence, ha rivelato di avere un secondo nome: Ian).

Gli anni di Fleming al GCHQ sono stati segnati dalla minaccia terroristica prima e da quella russa poi: l’attentato di Manchester, l’attacco ransomware WannaCry, il malware NotPetya, l’avvelenamento dell’ex spia sovietica Sergej Skripal e della figlia Julija Skripal a Salisbury, cittadina nel Wiltshire. Infine, la guerra in Ucraina. Il GCHQ non ha prove di sostegno cyber cinese alla Russia, ha spiegato Fleming. “Il rischio è, come accade per le munizioni più tradizionali e il supporto militare, che lo Stato cinese in alcune di quelle aree decida di voler sostenere la Russia del presidente Putin”, ha affermato. Il leader cinese Xi Jinping “è chiaro sulla sua amicizia senza limiti”, per questo “sono abbastanza sicuro che non voglia vedere il presidente Putin umiliato. Il pericolo per lui è che finisca dalla parte sbagliata della storia per quella parte dell’accordo”, ha aggiunto.

Con riferimento alla Cina, che definisce uno degli attori cyber più sofisticati assieme a Russia, Iran e Corea del Nord, Fleming identifica la Cina come la più grande sfida per l’Occidente. È stata iperattiva nello spionaggio informatico e ha rubato segreti occidentali tecnologici e scientifici, ha scritto Khalaf. Ma, a differenza di quanto accade in Occidente, è lo Stato, e non il settore privato, a controllare i dati, ha evidenziato Fleming. Ciò si traduce nella capacità di innovare più rapidamente in aree come l’intelligenza artificiale. Il capo del GCHQ che aveva messo in guardia da Pechino già nei mesi scorsi “è preoccupato che il dibattito sulla corsa alla tecnologia caratterizzi la Cina solo come un furto della strada verso il successo”, si legge. Lo ha fatto in passato e lo fa ancora ma “ha anche investito molto nel suo settore tecnologico e nelle competenze per supportarlo. Quindi sta strutturalmente traendo vantaggio dal suo sistema educativo e dai suoi investimenti nella ricerca”, ha spiegato il capo del GCHQ auspicando una cooperazione con la Cina “dove è nell’interesse di entrambi”.

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