Skip to main content

Memorie di un (anti) Divo, Giulio Andreotti visto da vicino

Cosa si è detto alla Sioi durante la presentazione dell’ultimo numero della rivista Formiche su Giulio Andreotti con Serena Andreotti, Barbara Palombelli, Paolo Cirino Pomicino, Giorgio Silli e Riccardo Sessa

L’intera comunità politica e l’opinione pubblica sono concentrate in questi giorni sulla scomparsa di Silvio Berlusconi. Ebbene, proprio come Silvio Berlusconi ha segnato la vita politica italiana della Seconda Repubblica, Giulio Andreotti ha tracciato il corso della Prima Repubblica.

La rivista Formiche ha dedicato un approfondimento all’(anti) Divo, uno dei protagonisti assoluti della politica italiana del ventesimo secolo, sette volte Presidente del Consiglio, trentaquattro volte Ministro della Repubblica, soffermandosi sulla sua passione per la politica estera e la scrittura, sul suo legame con la Santa sede, fino alla vita politica della Dc  in quel triangolo del centro storico di Roma da lui profondamente amato.

Questi i temi al centro dell’incontro di presentazione dell’ultimo numero di Formiche presentato presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, SIOI, alla presenza di Serena Andreotti, presidente del Comitato archivio Giulio Andreotti, Barbara Palombelli, giornalista e conduttrice televisiva, Giorgio Silli, sottosegretario di Stato al ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Paolo Cirino Pomicino, già ministro del Bilancio e della programmazione pubblica e Riccardo Sessa, ambasciatore e presidente della SIOI.  Ha moderato l’incontro Flavia Giacobbe, direttore della rivista Formiche.

Andreotti scrittore  

Uomo politico eclettico e unico nel suo genere, il senatore a vita collezionava numerose passioni, tra cui quella per la scrittura. Giulio Andreotti ha pubblicato più di quaranta libri, senza mai abbandonare il suo tono lieve , che, insieme ai suoi numerosissimi appunti, formano un archivio che oggi rappresenta l’eredità preziosa di un professionista della memoria.  

Il primo libro pubblicato risale al 1946 e l’ultimo al 2007, come ha raccontato Serena Andreotti, “sono  volumi che trattano argomenti vari, il nucleo principale riguarda la sua attività politica e una collezione di ritratti di personaggi italiani e internazionali, a partire da De Gasperi”.  

Ma i libri ai quali ha dedicato  più passione sono quelli storici, “hanno rappresentato un momento di evasione, dato che era necessario prepararli con una ricerca accurata di fonti e di archivio. L’epoca di cui si è occupato con più entusiasmo riguarda l’ultimo periodo dello Stato pontificio e in particolare la figura di Pio IX”, ha affermato Serena Andreotti.  

Andreotti e la politica  

Come ha raccontato Barbara Palombelli nel suo articolo per la rivista, negli uffici di Andreotti si susseguivano politica piccola e planetaria, con una naturalezza fuori dall’ordinario. Il sindaco del paesino laziale e l’ambasciatore degli Stati Uniti.   

Andreotti si trovava a casa sua in tutte le ambasciate italiane sparse per il mondo e ne conosceva ogni dettaglio. “La famiglia andreottiana – ha ricordato la giornalista – comprendeva il presidente degli Stati Uniti, il ministro degli Esteri russo, la casa reale inglese, i Savoia e poi tutti coloro che vivevano a Roma”.  

La grande forza del senatore a vita, come politico e uomo, era la sua profonda convinzione che la storia la fanno le persone, al di là degli schieramenti politici, ha sottolineato la Palombelli. “Tanto che aveva ottimi rapporti anche con esponenti del Pci, e negli anni durissimi della resistenza e dell’occupazione nazista a Roma lui è stato uno dei fili sotterranei”.  

Andreotti e l’atlantismo  

L’atlantismo ha sempre rappresentato la base di partenza della politica estera andreottiana. Eppure, come ha ricordato il sottosegretario Giorgio Silli, “l’atlantismo non era naturale nella Prima Repubblica, perché i partiti si differenziavano anche e soprattutto in politica estera”. 

I contenitori ideologici che un tempo caratterizzavano chi si candidava con un partito oggi sono molto cambiati, come sottolineato da Silli, “gli affari esteri così come la politica economica erano un tema molto dirimente soprattutto per quanto riguarda la visione di un mondo e della società, del futuro”.  

Per il sottosegretario Andreotti è stato un precursore di quella dottrina chiamata realpolitik, che va verso la garanzia degli interessi nazionali che, in politica estera, sono declinati all’interno di una cornice di interessi globali.  

“Quando si parla di Andreotti bisogna dire Andreotti è, non era, perché nessuno che governi questo Paese può non considerarlo attuale. La politica estera di Andreotti è attualissima, oggi più che mai” ha concluso Silli.  

Andreotti e la diplomazia  

È proprio in politica estera che Andreotti ha espresso il meglio di sé, ha ricordato l’ambasciatore Riccardo Sessa. Alla Farnesina, “ha portato innanzitutto il suo importante  bagaglio, che gli derivava dall’apprendistato vissuto al fianco di De Gasperi. Espressione di una classe politico-dirigente che aveva dovuto affrontare enormi divisioni, dopo la Seconda guerra mondiale e il Muro di Berlino”.  

La sua azione da diplomatico si è espletata nel coinvolgere l’Unione Sovietica per porre fine alla Guerra fredda. Ed è nell’inizio della Perestrojka e nel rapporto umano stabilito con Gorbačëv che Andreotti ha ritenuto di poter trovare un riferimento.  

“Tutta l’umanità che questo Belzebù sapeva sprigionare verso i protagonisti della politica  internazionale gli ha permesso di trovare la chiave più importante, quella umana, per stabilire contatti e rapporti importantissimi”, ha ricordato l’ambasciatore.  

L’allora ministro degli Esteri parlava con tutti e approcciava i conflitti con la logica dell’equivicinanza, e non dell’equidistanza come sottolineato da Sessa. Si trattava della “summa di un pensiero squisitamente democristiano”.

“Con gli alleati e con gli amici si parla sempre in atteggiamento di riposo e mai sull’attenti”. Questo è l’insegnamento che ha consegnato ai suoi collaboratori, che ha contrassegnato il suo atteggiamento nelle relazioni internazionali, ha affermato il presidente SIOI.  

Andreotti e la Democrazia cristiana  

L’(anti) Divo conosceva bene l’importanza del partito e gli era profondamente legato, eppure non si è mai candidato a uomo di partito, era piuttosto un uomo di governo. Come affermato da Paolo Cirino Pomicino, Andreotti aveva la speciale  capacità di considerare la gran parte di popolo che lo votava come la sostanza essenziale.  

“Il suo rapporto con la Chiesa cattolica era intenso. Le persone pensavano che lui spingesse la Dc a uniformarsi agli indirizzi della Chiesa cattolica, ma faceva l’esatto contrario”, ha spiegato Cirino Pomicino.  

Parlando del partito, l’ex diccì ricorda che fu “il guanto di velluto, la maliziosità benevola degli equilibri interni che lo fece innamorare di un partito che non aveva i muscoli o non li utilizzava in maniera pesante, ma era un partito in cui c’erano le pasque e le quaresime”.  

Cirino Pomicino ha raccontato come “Andreotti e la sua capacità di lavoro lo hanno portato a fare due vite in una. Era la nostra stella polare”. Come ha concluso l’ambasciatore Sessa “la storia, e anche quella di un Paese, la fanno le persone,  e Andreotti insieme a una classe politica grande come lo era lui, è entrato a pieno titolo nella storia del nostro Paese.  

×

Iscriviti alla newsletter