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Bando o requisiti di trasparenza? L’Ue cerca una soluzione sul 5G cinese

Secondo Politico la Commissione non starebbe valutando un divieto totale ma un “requisito di trasparenza” che obbligherebbe i governi a comunicare la presenza di Huawei nelle reti

La Commissione europea non sta valutando un divieto totale di Huawei ma potrebbe approfittare dell’occasione per spingere i governi nazionali che non hanno applicato i principi di sicurezza 5G ai fornitori “ad alto rischio” (oltre a Huawei, anche l’altra cinese Zte) ad allinearsi e imporre restrizioni. È quanto scrive Politico, citando un alto funzionario.

CHE COS’HA SCRITTO IL FINANCIAL TIMES

La scorsa settimana il Financial Times aveva rivelato che la Commissione europea starebbe valutando l’introduzione di un divieto obbligatorio per i Paesi membri di utilizzare le tecnologie offerte da Huawei per lo sviluppo e il lancio delle proprie reti 5G. Le raccomandazioni formulate da Bruxelles nel 2020 per tutelare le infrastrutture critiche dai fornitori considerati “ad alto rischio” come il colosso cinese sono state recepite solo da un terzo dei ventisette Stati membri. Ciò avrebbe spinto Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, a ricordare ai governi “l’urgenza di agire per non creare gravi vulnerabilità” alla “sicurezza collettiva”.

LA VERSIONE DI POLITICO

Ma, secondo Politico, Bruxelles starebbe in realtà pensando a un “requisito di trasparenza” che obbligherebbe i governi a comunicare alla Commissione e ai cittadini quanto Huawei sia presente nelle loro infrastrutture. Potrebbe essere una soluzione più accettabile per gli Stati membri che non vogliono rischiare di peggiorare le relazioni con la Cina visto che si tratterebbe di una direttiva della Commissione, piuttosto che di un particolare governo nazionale. Un requisito di trasparenza simile è già previsto dal Cyber Resilience Act per i produttori.

LA SITUAZIONE NEI PAESI UE

Sono diversi i Paesi che hanno imposto restrizioni in Europa sui fornitori cinesi: Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Lettonia, Lituania, Romania, Svezia (e Regno Unito). Bruxelles, evidenzia Politico, ha fatto notare la Germania ha approvato una legge per limitare i “fornitori ad alto rischio” ma non l’ha ancora applicata. Uno studio della società Strand Consult, con sede in Danimarca ha stimato che Germania, Italia e Paesi Bassi si affidino ad aziende cinesi per oltre la metà delle loro reti 5G.

LA POSIZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE BIDEN

“Credo che si stiano accumulando prove che suggeriscono che dovremmo essere molto cauti nei confronti di Huawei e Zte, e di qualsiasi altro fornitore di telecomunicazioni cinese”, ha detto ieri Nathaniel Fick, ambasciatore straordinario per il cyber-spazio e la politica digitale del dipartimento di Stato americano, rispondendo a una domanda di Formiche.net nel corso di un ristretto Transatlantic Thought Leaders Forum.

GLI INVITI DEL COPASIR AL GOVERNO

Ormai oltre tre anni fa, il Copasir aveva invitato il governo italiano a escludere le aziende cinesi “dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G” per via di due leggi cinesi – la National Security Law e la Cyber Security Law – che impone a cittadini, organizzazioni e operatori di rete di fornire supporto agli organi di polizia e alle agenzie di intelligence nella salvaguardia della sicurezza e degli interessi nazionali. Sono cambiati tre governi (Conte 2, Draghi, Meloni) senza che questa raccomandazione venisse accolta dall’esecutivo, che però ha rafforzato sia lo strumento sia l’utilizzo della normativa Golden power.



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