Nell’ultimo periodo della sua vita è stato accusato di essere un simpatizzante filorusso. Purtroppo, la memoria spesso non permette di ricordare la sua strenua difesa del rapporto con gli Stati Uniti. Scrive Simone Crolla, consigliere delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy
La fine di un’epoca, l’inizio di una nuova era, la fine della Seconda Repubblica. Sono solo alcuni dei titoli che abbiamo letto in questi giorni a commento della scomparsa (fisica, perché il suo ricordo è e rimarrà indelebile) di Silvio Berlusconi.
Un uomo che nei suoi 86 anni di vita è stato tantissime persone: imprenditore immobiliare di successo nella Milano degli anni Settanta, costruendo Milano 2 quando nessuno avrebbe creduto fosse possibile; presidente dell’A.C. Milan nonché proprietario più vincente nella storia del gioco (o giuoco come amava dire) del calcio, superando un’assoluta leggenda come Santiago Bernabeu, presidente del grande Real Madrid.
Geniale imprenditore nel settore dei media e della comunicazione, ha letteralmente inventato la televisione commerciale, distruggendo il monopolio della Rai e costruendo un duopolio di fatto, con un indubbio vantaggio: ha reso la televisione un mezzo di comunicazione di massa, disegnandola a misura degli italiani con i suoi format, programmi, protagonisti. Oggi Mediaset è considerato, a ragione, un prezioso asset nazionale che da anni alletta i network internazionali.
Infine, il 27 gennaio 1994 ha iniziato il suo lungo cammino nel panorama politico non come uno degli attori principali, ma come l’indiscusso protagonista della scena politica italiana per quasi trent’anni. Ha inventato dal nulla un partito politico laddove nessuno vedeva spazio, ha vinto le elezioni nel 1994 (ripetendo l’impresa nel 2001 e nel 2008) mettendo assieme una coalizione che ha dato avvio all’attuale bipolarismo.
Un innovatore assoluto, ineguagliato e – con tutta probabilità – ineguagliabile.
Per quanto mi riguarda è stato un appassionato e abile negoziatore in politica estera.
Ho vissuto con lui diversi anni a Palazzo Chigi e ho potuto quotidianamente constatare la grande passione e dedizione che poneva nella gestione delle relazioni internazionali. Basandosi su una sua innata capacità di empatia, persuasione e simpatia, è stato in grado di costruire quel capolavoro politico che è stato Pratica di Mare. È entrato in sintonia con tutti i principali leader mondiali, in particolare con il presidente statunitense George W. Bush, con il quale si era stabilita un’amicizia sincera e duratura. Nel 2008, nell’ultima visita da Berlusconi negli Stati Uniti governati da Bush, il presidente statunitense lo accolse così: “Ho il piacere di dare il benvenuto a un ospite straordinario, un uomo di successo, uno statista di una grande nazione e un caloroso amico degli Stati Uniti”, un attestato di amicizia e stima.
La sua diplomazia del sorriso e della pacca sulla spalla non è stata improvvisazione o mania di protagonismo ma una studiata strategia diplomatica, partendo dallo studio dei dossier per arrivare a risolvere problemi e crisi basandosi soprattutto sulle relazioni personali e umane. Perché Silvio Berlusconi capiva che tutte le attività umane, dal business alla politica e alla televisione, passano dalle persone, dallo stabilire con loro una connessione emozionale e personale. Senza questo tratto di profonda umanità non si può capire il carattere sinceramente semplice del presidente.
Nell’ultimo periodo della sua vita, proprio per questa sua attenzione ai rapporti personali, è stato accusato di non essere più un autentico transatlantico ma un simpatizzante filorusso. Purtroppo, la memoria spesso non permette di ricordare la sua strenua difesa del rapporto con gli Stati Uniti, basti leggere l’intervista di Repubblica all’ambasciatore Mel Sembler, il suo ricordo dei caduti alleati sul nostro suolo per liberarci dalla dittatura nazifascista.
È stato il primo in Italia a riconoscere i rischi derivanti dall’avanzata cinese, proponendo la costruzione di un’alleanza occidentale e transatlantica in grado di contrastare pacificamente questo rischio (forse aveva immaginato un accordo stile Ttip molti anni prima che venisse presentato).
Le sue visite negli Stati Uniti sono state sempre estremamente positive, trattato come leader di un grande Paese occidentale, capace di giocare con astuzia e lealtà sullo scacchiere geopolitico. Questa sua leadership, dimostrata anche dall’essere stato il presidente del Consiglio più longevo nella storia d’Italia, è sancita dall’invito fattogli dal Congresso statunitense a pronunciare un discorso il 1 marzo 2006, il secondo presidente del Consiglio, dopo Bettino Craxi, a parlare a Camera dei rappresentanti e Senato.
Un discorso, a cui ho partecipato, che è stato la summa del suo essere politico e statista, apoteosi del suo amore per la libertà e gli Stati Uniti d’America. Il passaggio che lo rappresenta a pieno il suo spirito transatlantico: “La storia di un ragazzo che alla fine dei suoi studi liceali fu portato dal padre a visitare il cimitero in cui riposano molti giovani valorosi soldati, giovani che avevano attraversato l’Oceano per ridare dignità e libertà ad un popolo oppresso. Nel mostrargli quelle croci, quel padre fece giurare a quel ragazzo che non avrebbe mai dimenticato il supremo sacrificio con cui quei soldati americani avevano difeso la sua libertà. Gli fece giurare che avrebbe serbato per il loro Paese eterna gratitudine. Quel padre era mio padre, quel ragazzo ero io. Quel sacrificio e quel giuramento non li ho mai dimenticati e non li dimenticherò mai”.
Presidente Berlusconi, grazie di tutto.