Il canadese responsabile del settore comunicazione fugge a Tokyo e accusa il Partito comunista cinese di volere esercitare pressioni intollerabili. Ma questa è solo l’ultima di una lunga scia di controversie che vedono coinvolto l’Aiib, ente multilaterale con sede a Pechino
“Ho rassegnato le mie dimissioni da global communication director della Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (Aiib, ndr). Come patriota canadese questa era la mia unica possibilità. La Banca è dominata da membri del Partito comunista [cinese], e ha anche una delle culture più tossiche che si possano immaginare. Non credo che l’adesione all’Aiib sia utile agli interessi del mio Paese”.
Con queste parole il canadese Bob Pickard ha commentato su Twitter le sue dimissioni dall’istituzione, a poco più di un anno dall’ingresso. Ha annunciato anche di aver lasciato il territorio cinese e di essersi recato a Tokyo per tutelare la propria incolumità. L’Aiib ha rilasciato una risposta ufficiale, dove prende atto delle dimissioni di Pickard e definisce “infondate” le accuse mosse dal suo oramai ex direttore del dipartimento comunicazione.
Le dimissioni di Pickard, assieme alle forte critiche di controllo politico scagliate contro l’istituzione dove era finora impiegato, non sono un caso isolato: già l’anno scorso un’inchiesta del Financial Times aveva rivelato come il Partito comunista cinese stesse provando a esercitare una certa influenza all’interno della sussidiaria cinese del colosso finanziario Hsbc, installando all’interno del suo organigramma un comitato di rappresentanza del Partito.
L’Aiib è stata fondata nel 2016 come istituzione finanziaria multilaterale con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo infrastrutturale sostenibile in Asia, proponendosi come un prestatore “apolitico”. Ma a causa della sua natura, dei suoi scopi e delle sue dinamiche di funzionamento, sin dalla sua creazione essa è stata considerata (nonostante le numerose adesioni di paesi occidentali) come una “rivale” della Banca mondiale, manovrata da Pechino come un tassello del suo piano di proiezione geopolitico. L’anno precedente, stando a quanto riportato da Reuters, gli Stati Uniti avevano avvertito il governo cinese di “riflettere bene prima di costituire l’Aiib”, chiedendosi se essa avesse “standard di governance sufficientemente alti, assieme alle necessarie garanzie ambientali e sociali”.
Il fatto che l’Aiib giochi un ruolo di primo piano all’interno dei piani del governo guidato da Xi Jinping è difficilmente contestabile: essa è una degli intermediari principali coinvolti nella realizzazione dei numerosi progetti, infrastrutturali e non, su cui si articola la Belt and Road Initiative, altresì nota come la Nuova Via Della Seta. Uno dei progetti cinesi maggiormente attenzionati dal mondo occidentale, e in primis da Washington, per la sua presunta pericolosità. Secondo alcuni analisti, tramite la Belt and Road Initiative Pechino attrarrebbe nella sua orbita i Paesi che accettano di ricevere i finanziamenti cinesi, incatenandoli a sé attraverso il meccanismo della “trappola del debito”.
In accordo con quanto riporta l’agenzia di rating Standard and Poors, fino a novembre 2022 l’Aiib ha finanziato un totale di 194 progetti, garantendo investimenti per un totale di 37 miliardi di dollari. Le operazioni dell’Aiib si concentrano principalmente in Asia (tra i Paesi coinvolti spiccano India, Uzbekistan, Kazakistan e Filippine), ma essa si muove anche altrove. In Africa, ma anche in Europa: è infatti questo istituto che erogherebbe i prestiti previsti dal memorandum of understanding firmato tra Roma e Pechino nel 2019, lo stesso memorandum da cui l’attuale governo sembra fortemente intenzionato a ritirarsi. All’interno di quello che appare un generale distacco dell’Occidente da Pechino, sia in termini finanziari sia in termini politici, come dimostrano gli ultimi eventi.