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I paletti dell’occidente (che Pechino non mette)

Di Alessandro Gili

Nel 2019 fu la definizione di Pechino come rivale sistemico ad aprire la strada a un maggiore attivismo europeo sul tema delle infrastrutture, vero terreno di gioco globale. L’attenzione posta da Bruxelles sui propri valori indica però come i progetti finanziati all’interno della nuova cornice Global gateway dovranno sottostare a rigidi standard, a differenza di quelli della Via della Seta. Gli scenari di Alessandro Gili, research fellow di Geoeconomia delle infrastrutture, Ispi

Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 l’Unione europea ha schiacciato l’acceleratore per il piano di sviluppo infrastrutturale internazionale Global gateway, che mira ad aumentare la connettività dell’Europa con il resto del mondo, in particolare con i Paesi in via di sviluppo e del vicinato europeo. Lanciato a dicembre 2021, è parte di un più ampio disegno per garantire all’Unione europea un’autonomia strategica nelle sue relazioni economiche e politiche con il resto del mondo, compresi il settore industriale, della difesa, dello spazio, dell’approvvigionamento di materie prime e, infine, le infrastrutture.

Il Global gateway è lo sviluppo più recente di un lungo percorso di crescente attenzione alle infrastrutture e alla connettività da parte europea, nonché ai rischi geopolitici derivanti da progetti di altre potenze, come nel caso della Belt and road initiative cinese, Bri. Fu proprio la definizione di Pechino come “rivale sistemico” nel marzo 2019 a segnalare un cambio di passo della strategia europea e ad aprire la strada a un maggiore attivismo dell’Unione sul tema delle infrastrutture, vero terreno di gioco globale della transizione verde. L’attenzione posta dall’Ue sui propri valori indica però come i progetti finanziati all’interno di questa nuova cornice dovranno sottostare a rigidi standard per quanto riguarda la sostenibilità sia finanziaria sia ambientale, la trasparenza nelle procedure di affidamento, le condizioni sociali nei Paesi di destinazione nonché il rispetto dei diritti umani fondamentali e della rule of law.

Un approccio strutturale nuovo che, pur senza alcuna netta rottura con il passato, vuole presentare una cornice più semplice e coerente per gli investimenti esterni dell’Unione nelle infrastrutture, creando una vera alternativa sostenibile alla Bri. L’Ue, in definitiva, si candida a diventare player globale degli investimenti infrastrutturali aumentando la sua connettività con il resto del mondo. Il piano Global gateway intende mobilitare fino a 300 miliardi di euro al 2027: è il tentativo europeo di dare un contributo alla riduzione del gap infrastrutturale mondiale e offrire un modello alternativo di investimenti a quello proposto da Pechino e altri Paesi. I settori individuati come centrali nella strategia europea sono digitale, clima ed energia, trasporti, salute, educazione e ricerca. Le partnership che l’Ue istituirà saranno basate su alcuni principi fondamentali come l’alta qualità dei progetti, degli standard e il rispetto dei valori democratici; buona governance dei progetti e trasparenza; partnership paritarie; investimenti verdi; approccio basato sulla sicurezza; infine, attrazione degli investimenti privati.

Quest’ultimo punto è centrale nella strategia europea. I fondi europei sono intesi a catalizzare gli investimenti privati, determinando un effetto moltiplicatore per le risorse messe in campo. La Commissione intende lavorare in stretto coordinamento con la Banca europea per gli investimenti, Bei, e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Bers, catalizzando gli strumenti già esistenti e indirizzando la loro “potenza di fuoco” verso gli obiettivi di Global gateway. Dopo le esitazioni iniziali si inizia quindi a finanziare i progetti, così da moltiplicare l’ammontare degli investimenti privati attratti.

Quello che cambia è l’assunto di competizione strategica con altri modelli, esplicitando e introiettando una dinamica sulla quale l’Unione era sempre stata piuttosto cauta nel passato. Un cambiamento che si accompagna, del resto, alla rinnovata insistenza dell’Ue sull’autonomia strategica, oggetto di un’importante discussione tra gli Stati membri e tema centrale anche del lancio dell’Eu Green deal industrial plan e del conseguente Net zero industry act. In un’era caratterizzata dall’iper-competitività tra potenze, per usare le stesse parole di Ursula von der Leyen, qualsiasi ambizione di autonomia strategica non può prescindere da una solida azione esterna che miri a rafforzare i legami con i Paesi partner e a ridurre le dipendenze strategiche dell’Unione.

Le caratteristiche stesse dell’iniziativa Global gateway dimostrano, tuttavia, come l’Unione europea voglia andare ben oltre un semplice meccanismo per i futuri investimenti infrastrutturali nel mondo. Bruxelles, infatti, si trova a compiere proprio una delle azioni che tanto ha criticato del sistema Bri, ovvero quella di voler proporre un modello economico e di sviluppo ai Paesi destinatari, senza fermarsi al semplice finanziamento di infrastrutture. Un modello però alternativo e basato sulla sostenibilità, anche economica, dei progetti finanziati. Le incognite principali riguardano l’accoglienza che questa iniziativa riceverà nei Paesi destinatari e la sua attrattività rispetto alla Bri. Un’altra possibile debolezza risiede nei tassi applicati ai prestiti: di solito, le condizioni finanziarie proposte da Pechino risultano mediamente più vantaggiose rispetto ai prestiti concessi dai Paesi occidentali.

Poi, proprio la forte dimensione geoeconomica dell’iniziativa europea lascia intendere come inevitabilmente Global gateway diventerà anche strumento di proiezione di influenza politica da parte di Bruxelles. Infine vi sono i pochi investimenti previsti per l’area del Mediterraneo. Si tratta di un’area cruciale per l’Unione europea, soprattutto oggi che si stanno riconfigurando e regionalizzando le catene globali del valore, con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo che si candidano a naturali destinatari di processi di nearshoring. Al vertice di febbraio 2022 tra Unione africana e Unione europea è infatti risultata subito chiara la forte intenzione dell’Ue di avviare un piano regionale di investimenti per l’Africa, nel contesto del più ampio Global gateway.

Un piano di investimenti pubblici e privati con l’obiettivo di aumentare il contributo del settore privato alla crescita dell’Africa e alla trasformazione del continente. Le infrastrutture di interconnessione digitale tra Europa e Africa e l’energia, che sarà centrale per gli impegni del Global gateway per l’Africa, avranno un ruolo di primo piano con investimenti previsti fino a quindici miliardi di euro. Il finanziamento di infrastrutture all’estero, in definitiva, favorirà la diffusione degli standard e valori europei nel mondo, rafforzerà gli obiettivi della politica industriale e la capacità di penetrazione di mercato delle imprese europee e, infine, renderà più facile conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione nel mondo, principi cardine della strategia verde dell’Unione.

L’ambizione di andare oltre il semplice finanziamento di investimenti e infrastrutture è infatti confermata, oltre che dalla Commissione, anche dal coinvolgimento nella gestione del progetto dell’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa comune, Josep Borrell, oltre ai commissari per il Vicinato e l’allargamento e per le Partnership internazionali. Global gateway si candida quindi a diventare uno degli strumenti principali dell’azione esterna dell’Unione europea nell’immediato futuro e uno dei cardini della sua politica industriale. Lo European gateway rappresenta un tassello fondamentale per realizzare gli obiettivi economici e geopolitici dell’Unione, nonché per rafforzare la sua competitività e resilienza in uno scenario di crescenti tensioni. A patto che i fondi e i meccanismi di erogazione necessari per la realizzarlo siano efficaci e all’altezza della competizione internazionale.

*Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Formiche di maggio 2023

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