Raccogliamo e pubblichiamo un intervento di Ghzal Afshar, dell’Associazione dei Giovani Iraniani. Esule iraniana e cittadina italiana, costretta a lasciare il proprio Paese per fuggire dalle persecuzioni di questo Regime teocratico. Afshar dipinge il contesto attuale della Repubblica islamica e le ambizioni dell’erede dello Shah Palavi
Con la rivolta nazionale scatenata dall’omicidio della giovane Mahsa Jina Amini il 16 settembre 2022 a Teheran, il mondo ha potuto aprire gli occhi sulla vera natura del regime teocratico e misogino che è al potere in Iran da oltre quattro decenni. La comunità internazionale ha finalmente colto il vero significato del profondo malcontento e della rabbia repressa del popolo iraniano nei confronti di questo liberticida regime medievale che, oltre a trascinare giorno dopo giorno il Paese nella povertà generalizzata e nella miseria nera, risponde con una feroce repressione che ha pro- vocato finora la morte di oltre 750 persone.
Nel solo mese di maggio sono stati giustiziati oltre 123 persone perlopiù con l’accusa di “mohareb” cioè di aver “posto in essere un’offesa contro lo Stato” prendendo parte alle recenti manifestazioni. Ogni 6 ore il Regime porta al patibo- lo un innocente. Oltre 30.000 sono invece i manifestanti arrestati e spesso torturati prima di essere imprigionati, secondo i rapporti delle ONG per i diritti umani. E 30.000 ricordo fu anche il numero dei prigionieri politici che nell’estate del 1988, durante quello che nella storia del nostro paese è conosciuto come il “Massacro dell’88”, sono stati portati al patibolo solo per aver coraggiosamente detto “No”, come oggi stanno facendo i nostri giovani e le nostre donne, ai soprusi di questo Regime. Massacro di cui, è utile ricordare, uno dei principali responsabili fu l’attuale presidente della Repubblica Islamica, Ibrahim Raissi, mem- bro dell’allora “Commissione di Morte” che, dietro a processi lampo e senza la presenza di alcun legale che difendesse gli imputati, aveva il compito di emanare le condanne a morte di migliaia di uomini, di giovanissimi e persino di donne incinte.
Un vero e proprio genocidio che come dichiara lo stesso Amnesty International è da considerarsi un “Crimine ancora in corso” dato che a distanza di 35 anni i familiari di queste vittime, che come me hanno perso un padre (fucilato) o una zia (impiccata), sono in attesa che i responsabili, tra cui lo stesso Raissi, vengano portati davanti a un tribunale per rispondere dei propri crimini.
Ma oggi, la recente ondata di rivolte a livello nazionale in Iran si è riverberata in tutto il mondo, segnalando un chiaro desiderio di cambio di regime. Il popolo iraniano cerca la fine dell’attuale teocrazia. E mentre si apre la questione di cosa verrà dopo – in altre parole, una valida alternativa – una dubbia e pericolosa figura è improvvisamente emersa nelle discussioni sul futuro dell’Iran: Reza Pahlavi, il figlio del già deposto e detestato Shah.
Il signor Pahlavi, che negli ultimi quattro decenni è stato più una figura mondana che una seria figura politica, sebbene affermi di essere un sostenitore della democrazia, le sue azioni e dichiarazioni suggeriscono esattamente il contrario. Il suo recente comportamento è in netto contrasto con le aspirazioni del popolo iraniano.
Questa rivolta continua ormai da oltre otto mesi sotto forma di manifestazioni di massa, grandi comizi, attacchi a sim- boli del potere politico, perpetrati dalle cosiddette “Unità di Resistenza” legate alla principale organizzazione di oppo- sizione Mojahedin-e Khalq, o MEK, che sostiene un Iran laico e democratico sin da prima della rivoluzione del 1979. E sono proprie queste “Unità”, composte da giovani militanti, a mantenere viva la fiamma delle proteste, sempre pronti a sacrificare la propria vita per abbattere il muro della tirannia e stabilire una vera repubblica laica basata su principi umanisti di democrazia e libertà.
I social media sono stati inondati di video provenienti da tutto l’Iran, che mostrano persone di ogni estrazione sociale cantare il principale slogan di “Abbasso l’oppressore sia esso lo Shah o il leader supremo!”. Ed è ironico che 44 anni dopo che il MEK ha contribuito a rovesciare il regime di suo padre, Reza Pahlavi stia tentando di rivendicare la visione democratica del MEK per il futuro dell’Iran. Il MEK è il componente principale del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), la più duratura coalizione di gruppi di opposizione democratica (non come la “Coalizione di George- town” fondata intorno a Reza Pahlavi il 10 febbraio scorso a Washington e svanita solo dopo due mesi per via delle decisioni e posizioni per nulla democratiche dello stesso Pahlavi!).
La presidente eletta del CNRI Maryam Rajavi ha presentato un piano in 10 punti per il futuro dell’Iran che chiede ele- zioni libere ed eque, la separazione della religione dallo stato e la protezione dei diritti delle donne e delle minoranze. Questo piano ha raccolto un forte sostegno da una vasta gamma di eminenti funzionari e politici occidentali eletti su entrambe le sponde dell’Atlantico.
I recenti sforzi del signor Pahlavi di presentarsi come un potenziale leader del futuro dell’Iran sono fuorvianti e falsi, data la storia di brutalità e illegittimità della sua famiglia durante il loro regno. Il regime dello Shah era famigerato per le sue gravi violazioni dei diritti umani, la corruzione e lo sfruttamento economico delle risorse iraniane.
Nel 1975, suo padre, Mohammad Reza Pahlavi, al quale Reza ha successivamente giurato fedeltà, bandì formalmente tutti i partiti politici diversi dal suo, provocando ulteriori repressioni contro il dissenso da parte della sua famigerata forza di polizia segreta, i SAVAK. Secondo alcuni resoconti, il numero di prigionieri politici nel paese è poi salito a oltre 100.000, molti dei quali sono stati sottoposti a tortura. Tra i perseguitati e messi a tacere c’erano dissidenti, artisti, scrittori e giornalisti.
Tuttavia, Reza Pahlavi, che afferma di voler svolgere un ruolo democratico di primo piano nell’Iran post-Mullah, non ha ancora riconosciuto i crimini commessi sotto il regno di suo padre. Si rifiuta di riferire in modo trasparente sulla sua proprietà acquisita tramite appropriazione indebita finanziaria da suo padre e suo nonno. Non è neanche riuscito, nei quattro decenni che ha vissuto in particolare negli Stati Uniti, a fondare un serio movimento di resistenza contro il re- gime di Khomeini-Khamenei.
Come può quindi oggi Reza Pahlavi rovesciare questa barbara teocrazia e le sue Guardie Rivoluzionarie, che intende tra l’altro “incaricare di mantenere l’ordine durante il periodo di transizione” (!), senza una struttura organizzata ed efficace, un progetto politico degno di questo nome e sostenuto solo da un pugno di monarchici ultranazionalisti che mostrano una lettura fascista dell’istituzione monarchica e che, durante le manifestazioni nei vari paesi occidentali, non si vergognano di alzare le foto del capo dei Savak, Parviz Sabeti o di attaccare e ferire i connazionali che si rifiuta- no di sostenere lo shah?
Come risponderà alle aspirazioni democratiche e alle richieste socio-economiche degli iraniani che hanno subito 44 anni di tirannia, repressione, privazioni e miseria? Chi lo prenderà sul serio? Di certo non le donne e i giovani iraniani che, come un fuoco sotto le fiamme, si riaccenderanno nel prossimo futuro.
Resta chiaro pertanto che nel 21° secolo, il popolo iraniano non ha alcun interesse a scambiare una dittatura con un’altra. Lo hanno reso abbondantemente chiaro durante le proteste riecheggiando lo slogan “Abbasso l’oppressore, sia esso lo Shah o il leader supremo”. Sia la corona che il turbante sono popolarmente disprezzati e storicamente re- spinti.
Il signor Pahlavi non ha alcun sostegno per le strade del paese e la comunità internazionale deve capirlo quanto prima poiché come il suo brutale padre, anch’egli non avrà alcun ruolo nel futuro dell’Iran, e qualsiasi azione per legittimarlo sulla scena mondiale finirà solo per minare le reali aspirazioni di un coraggioso popolo per la creazione di una vera re- pubblica democratica in Iran.