Il 13 giugno sarà in libreria “Una mano da sola non applaude. La storia di Paolo Dall’Oglio letta nell’oggi”, per i tipi di Ancora editrice. Scritto da Riccardo Cristiano, il volume arriva a ridosso del decimo anniversario del sequestro del gesuita romano, inghiottito nel buio siriano il 29 luglio 2013 a Raqqa, quando si è recato nel comando dell’Isis, il sedicente Stato Islamico. Per gentile concessione dell’editore ne pubblichiamo alcuni stralci
Dalla prefazione di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica.
“Leggendo questo volume di Riccardo Cristiano emerge chiaramente l’intenzione di affermare un nesso, un rapporto, tra la Chiesa in uscita, l’ospedale da campo di papa Francesco e l’esperienza di vita e di fede del gesuita Paolo Dall’Oglio. La sua vita è stata l’incarnazione di quello che papa Francesco nella sua intervista a La Civiltà Cattolica del 2013 aveva definito il «pensiero incompleto» tipico del gesuita. «Il gesuita – proseguiva il Papa – pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro. Questa è la sua vera forza». In effetti il suo «decentramento» lo tiene in ricerca, lo rende creativo, generoso. Dunque, i gesuiti sono chiamati a essere uomini di «dialogo», di «frontiera», non cedendo alla «tentazione di addomesticare le frontiere», ma vivendo «in frontiera». Sembra di leggere in filigrana il ritratto di Paolo Dall’Oglio. […] Il tempo ci ha dimostrato che siamo in ritardo nel superamento di quegli schematismi «buoni/cattivi» che impediscono di vedere il pantano di cui ci parlava un decennio fa padre Dall’Oglio. E questo non può che portare a capire diversamente la duplicità, che non è doppiezza, che l’autore di questo libro ritrova nel suo parlare di collera ma anche di luce, di essere credente in Gesù ma anche innamorato dell’islam, nel suo essere mistico ma con l’urgenza dell’impegno sociale. La Chiesa di padre Dall’Oglio è quindi una Chiesa in cammino sui sentieri del Levante, in quel crocevia dove l’ha posta dal suo inizio Gesù e dove la testimonianza e la vita di padre Paolo hanno portato il messaggio di Charles de Foucauld e Christian de Chergé, alla luce del pensiero del suo maestro, Louis Massignon. Un’opera, quella di padre Paolo, che appare non solo attualissima, ma ancor più cruciale per il nostro domani”.
La lettera all’inviato dell’Onu, Kofi Annan, che portò all’espulsione di padre Dall’Oglio nel 2012 da parte del regime di Bashar al-Assad
“Ecc.mo Signor Kofi Annan, Segretario Generale emerito dell’Onu, Pace e bene.
Con questa pubblica comunicazione vorrei esprimerle innanzi tutto gratitudine per aver accettato questo incarico delicatissimo per la salvezza della Siria e per la pace regionale. Ci aggrappiamo alla sua iniziativa come dei naufraghi a una zattera! Lei è riuscito a superare lo scoglio dell’opposizione russa a qualunque proposta che comportasse un autentico cambiamento democratico. In prospettiva, la Siria può e deve costituire un elemento di bilanciamento delle problematiche regionali e non un cancro corrosivo. Mi sembra che una maggioranza di siriani ragioni in termini di equilibrio multipolare e non in quelli d’una nuova guerra fredda. Il popolo siriano è tradizionalmente antimperialista, ma molto di più è a favore della creazione d’un polo arabo che ne rappresenti il diffuso desiderio di emancipazione e autodeterminazione. Un sentimento questo che implica l’aspirazione a vera democrazia e riconosciuta dignità delle componenti culturali e religiose di questa società e degli individui umani che la compongono. La dinamica regionale è marcata oggi da una difficoltà reale di convivenza tra popolazioni sciite e sunnite e di concorrenza tra esse. Ciò provoca anche grave disagio alle altre minoranze, innanzitutto quelle cristiane. La primavera araba, caratterizzata inizialmente dalla richiesta, specie giovanile, dei diritti e delle libertà, rischia la deriva confessionale violenta specie quando l’irresponsabilità internazionale favorisce la radicalizzazione del conflitto.
Signor Annan, lei sa meglio di chiunque altro che il terrorismo internazionale islamista è uno dei mille rivoli dell’«illegalità-opacità» globale (mercato di droga, armi, organi, individui umani, finanza, materie prime…). La palude interconnessa dei diversi «servizi segreti» è contigua alla galassia della malavita anche caratterizzata ideologicamente e/o religiosamente. Meraviglia che pochissimi giorni siano bastati ad altissimi rappresentanti dell’Onu per accettare la tesi della matrice «qaedista» degli attentati «suicidi» in Siria. Una volta accettata mondialmente la tesi liberticida che in loco c’è solo un problema d’ordine pubblico, non rimane che aspettarsi il ritiro dei suoi caschi blu disarmati per lasciare alla repressione tutto lo spazio necessario a conseguire il «male minore». […] Tremila caschi blu e non trecento sono necessari a garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile dalla repressione per consentire una ripresa della vita sociale e economica. È urgente chiedere l’abolizione delle sanzioni non personalizzate che puniscono le parti più deboli e innocenti della popolazione.
C’è inoltre bisogno di trentamila «accompagnatori» nonviolenti della società civile globale che vengano ad aiutare sul terreno l’avvio capillare della vita democratica. Si tratta di favorire un’organizzazione statale basata sul principio di sussidiarietà e del consenso, eventualmente favorendo quella struttura federale più corrispondente alle principali particolarità geografiche (la federazione è l’esatto contrario della spartizione!).
Solo dando fiducia all’autodeterminazione delle popolazioni sul piano locale si potrà riportare l’ordine e combattere ogni forma di terrorismo senza ricadere nella repressione generalizzata e settaria. È opportuno e urgente creare delle commissioni locali di riconciliazione, protette dai caschi blu e in coordinazione con le agenzie Onu specializzate, anche in vista della ricerca dei detenuti, rapiti e scomparsi delle diverse parti in conflitto. Sarà anche necessario porre al più presto la questione della riabilitazione civile dei giovani coinvolti in organizzazioni terroriste e malavitose. Lei ha ripetuto che per riappacificare occorre un processo politico negoziale. Ma si può immaginare questo senza un vero cambia- mento nella struttura del potere, specie in una situazione come questa dove il governo è una facciata e anche il regime al potere obbedisce a un oscuro gruppo di supergerarchi? Bisogna salvare lo Stato, certo. Esso è di proprietà del popolo. Ma prima è necessario liberarlo.
[…] La presenza disarmata dell’Onu oggi in Siria è una profezia gandhiana che vale ben oltre la crisi puntuale che si vuole così risolvere. La priorità sia allora quella di proteggere la libertà d’opinione e d’espressione della società civile siriana senza la quale è impossibile perseguire gli altri obiettivi essenziali alla pacificazione nazionale”.
Il Dall’Oglio teologo, secondo l’autore
“Il fiume spirituale alimentato da Louis Massignon, Charles de Foucauld e Christian de Chergé è nell’opera di Paolo Dall’Oglio. Innamorato dell’islam, credente in Gesù ci spoglia dai preconcetti, unendo tutte le visioni ostili alla fraternità. «Il fondamentalista crede che fuori dalla vera fede esistano solo false credenze e quindi una falsa umanità», e così, con un colpo solo, chi è legato a questa visione butta fuori un miliardo e ottocento milioni di musulmani o un numero non dissimile di cristiani dal novero della «umanità». Ma ragionando in questo modo non ci si distanzia soltanto dai fondamentalismi religiosi. Anche altre visioni, che disprezzano ogni religiosità, riducendole a forme superstiziose, sanno ridurre a falsa umanità diversi miliardi di esseri umani.
Sull’islam però il discorso fa emergere una priorità decisiva per alcuni di noi: dover convergere nell’indicare l’islam come falsa religione. Non è una sfida soltanto all’islam, ma l’antefatto necessario per una religione civile alla quale «etnicamente» apparterremmo anche senza credere e alla quale chiedere di sacralizzare il nuovo potere. Così il cristianesimo diverrebbe una religione secolare, chiamata a salvarci etnicamente, non con Dio, ma contro gli altri, in primis gli arabo-musulmani. La falsità della profezia di Muhammad è motivo di convergenza cruciale per collocarci nell’ipotetico scontro di civiltà, facendo dell’Europa il bastione «cristiano», si creda o non si creda. Così non potrebbero esserci aree grigie, zone di mescolanza, come è da sempre il Levante.
Il Levante, dove è nata la Chiesa, non è più la delicata cerniera che unisce, incrocia, accavalla Oriente e Occidente? Nel febbraio 2015 la rivista dell’Isis, Dabiq, invocava la sparizione di qualsiasi area di convivenza tra musulmani e non musulmani, scrivendo: «Bush aveva ragione quando diceva “o siete con noi o siete con i terroristi”, cioè o siete con la crociata o siete con l’islam». La difesa delle aree grigie prevede esattamente il contrario, non l’odio ma l’accettazione dell’altro. E per vivere insieme una semplice sopportazione porta ai separati in casa: meglio la stima, o l’amore. Se così diventa più chiara la biforcazione «amore o negazione», c’è ancora qualcosa di importante da evidenziare sull’importanza di amare l’islam e quindi contrastare chi definisce una falsa profezia quella muhammadica. Muhammad sarebbe il primo profeta del Dio di Abramo che non appartiene al popolo eletto. A questa osservazione padre Paolo ha dato una spiegazione strabiliante: ci sono due elezioni e la seconda deriva dall’esclusione, il cui protagonista è il capostipite degli arabi, Ismaele, il primogenito di Abramo ma concepito con Agar, la schiava di sua moglie Rachele, che la offrì al marito quando lei soffriva per la sua sterilità.
Poi Rachele concepì Isacco, e Agar e Ismaele furono scacciati nel deserto, trattati da esseri umani solo dall’angelo. Si spiega così la promessa di Dio nella Genesi: «Io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole». Un altro motivo, dozzinale ma essenziale, è che Muhammad è nato dopo Gesù. Sembra quasi che Gesù non possa che essere estraneo a quanto lo segue, e che lo stesso possa valere per lo Spirito Santo… Trovo all’opposto molto calzante una frase di padre Antonio Spadaro per capire la prospettiva aperta e cristiana di padre Paolo: «La creatività dello Spirito è all’opera ovunque, in tutte le dimensioni della crescita del mondo, nella diversità delle sue culture e nella varietà delle sue esperienze spirituali».
Questa dunque è stata l’urgenza di dichiararsi innamorato dell’islam, per me un’enormità cristiana, come rende evidente il testamento spirituale del priore trappista di Tibhirine, Christian de Chergé, ucciso in Algeria dopo il sequestro da parte jihadista, che della sua morte imminente scrisse: «Potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze». Non ci ricorda così che, nella Bibbia, Isacco, capostipite del popolo eletto, e Ismaele, capostipite degli arabi e poi dei musulmani, giocavano insieme?