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Il vero merito di Berlusconi? Aver disinnescato la secessione

Senza la sua discesa in campo, la Lega Nord ostile a Roma e all’unità nazionale sarebbe risultata maggioritaria nelle regioni più ricche, creando le condizioni per la rottura del tessuto unitario. Più timori adesso per l’autonomia differenziata. Il commento di Giuseppe De Tomaso

Che l’Italia degli ultimi 30 anni sia stata l’Italia di Silvio Berlusconi, non ci piove. Che l’Italia si sia divisa – in parte lo è tuttora – tra berlusconiani e anti-berlusconiani è quasi un’ovvietà. Che Berlusconi, con le sue tv e il suo stile di vita, abbia inciso sul costume nazionale più di chiunque altro, è altrettanto notorio. Che la stessa Europa si sia spaccata sul Cavaliere, si è visto più volte. Per non parlare della conta dei meriti e demeriti del Cavaliere, quasi sempre al centro di controversie di ogni tipo e di scontri politici a oltranza. Non c’è un’iniziativa, un tema, un fatto, ascrivibili al fondatore di Forza Italia, su cui, per così dire, si sia formata un’interpretazione condivisa. In attesa, probabilmente, dei verdetti più ponderati che pronuncerà la Storia.

Eppure c’è un argomento su cui destra e sinistra, sostenitori e detrattori del Cav, dovrebbero convenire. Ed è un argomento di cui, incredibilmente, tuttora non vi è traccia nell’oceano di analisi scritte e di rievocazioni orali, lette ed ascoltate in questi giorni. Ecco. Se c’è un merito che andrebbe riconosciuto, pressoché all’unanimità, a Berlusconi, merito – ripetiamo – stranamente sottaciuto oggi e pure ieri, il suo titolo è “salvaguardia del tessuto nazionale”. Sì, può sembrare paradossale che uno tra gli uomini più divisivi della storia patria, si sia rivelato il più decisivo per la tenuta della coesione generale. Ma i fatti dicono questo. E i fatti, come si sa, lo diceva persino il capo della rivoluzione bolscevica, hanno la testa dura.

Agli inizi degli anni ’90, cioè più di 30 anni addietro, quando l’ipotesi di una discesa in campo dell’allora Sua Emittenza, era considerata una boutade o giù di lì o, nel migliore dei casi, un’ipotesi più inverosimile di una fuga d’amore tra Bill Clinton e Madre Teresa di Calcutta, la domanda più ricorrente sui giornali e nei convegni politici era la seguente: come farà l’Italia a restare unita se, alle politiche, il settentrione voterà in maggioranza per un movimento, la Lega Nord di Umberto Bossi, che si propone la rottura del Paese, dal momento che la sua parola d’ordine è secessione? E in subordine: come farà il Nord leghista a non squarciare la tela unitaria nazionale se l’Italia, a causa dell’arretratezza del Sud, non sarà ammessa al club della moneta unica europea? Le risposte a queste due domande erano improntate alla massima preoccupazione. Sì, si ripeteva, l’Italia rischia grosso, il Nord monopolizzato da Bossi non accetterà mai di restare al di fuori dell’euro, pur esprimendo una vitalità produttiva paragonabile, se non superiore, al fatturato industriale della Baviera. La disunità – si vaticinava – sarà un epilogo inevitabile, come in effetti già prevedevano illustri nomi della saggistica politico-economica. Una Lega Nord (separatista) attestata sul 40% dei voti al Nord – era questo il tam-tam prevalente – avrebbe costituito una forza d’urto inarrestabile, con tanti saluti ai custodi della coesione istituzionale della Penisola. Lo strappo dell’abito unitario, cucito dal Risorgimento, era solo una questione di tempo.

Breve parentesi: suscita forse stupore oggi ricordare che la Lega bossiana si riprometteva di spaccare l’Italia soprattutto se quest’ultima fosse stata respinta dall’Europa dell’euro. E pensare che anni dopo proprio la Lega, in nome del sovranismo, avrebbe capeggiato il fronte più scettico, se non più ostile, nei confronti dell’Unione Europea e dei suoi progetti di integrazione ulteriore. Ma i fatti, i maledetti fatti, stanno lì, a rinfrescare la memoria e a rammentarci che le astuzie della politica, le contraddizioni degli uomini e i capricci della Storia sono assai più numerosi dei pur continui trofei tennistici conquistati da Novak Djokovic.

Ritorniamo a Berlusconi. Fu lui, con la sua entrata in politica, a rompere il giocattolo indipendentistico confezionato da Bossi. Fu lui a sottrarre al Senatùr quei milioni di voti che avrebbero potuto indurre il popolo di Pontida ad assecondare o a pretendere il divorzio dall’Italia governata da Roma. Fu lui, Silvio, a costituzionalizzare e a neutralizzare la rivolta “padana”, allestendo una doppia coalizione, una al Nord con Bossi, una al Sud con la destra di Gianfranco Fini, una doppia coalizione che, in caso di vittoria elettorale, come avvenne, avrebbe dato vita al primo governo dichiaratamente di centrodestra dell’Italia repubblicana.

La Lega Nord del 1994, pur non sfigurando in cabina elettorale, si ritrovò spiazzata e semi-prosciugata dall’effetto Berlusconi. Bossi non perdonò mai a Re Silvio di avergli soffiato la corona del Nord e una caterva di voti che manco lui sapeva. Di qui, l’immediato risentimento che condusse l’allora timoniere leghista a rendere la navigazione governativa berlusconiana più tribolata della traversata di Ulisse tra Scilla e Cariddi. Infatti, il primo esecutivo guidato dal Magnate di Arcore durerà meno di sette mesi, infrangendosi contro gli scogli costruiti dal più vendicativo tra gli alleati.

Successivamente il clamoroso (e burrascoso) divorzio di Bossi da Berlusconi sfociò in un altrettanto clamoroso (e definitivo) ritorno di fiamma tra i due, ma nel frattempo era cambiato il mondo: la Lega aveva archiviato il suo repertorio più radicale e più anti-nazionale, Berlusconi aveva ripreso, e lo manterrà saldamente in mano, lo scettro della coalizione (per nove anni dell’intero Belpaese).

Resta agli atti, per così dire, che senza l’entrata di Berlusconi nell’agone politico, la Lega avrebbe potuto fare il pieno elettorale nell’Italia più ricca, con tutte le conseguenze che erano nell’aria. Non sappiamo se Berlusconi fosse consapevole di questo rischio, non sappiamo cioè se si sia deciso a scendere in capo anche per disinnescare la bomba secessionistica. Chissà forse le ripercussioni di quel suo atto essenziale nella recente storia italica potrebbero rientrare nella casistica, assai fiorente, dei fatti provocati dall’eterogenesi dei fini, ossia potrebbero rientrare nel novero delle ripercussioni inintezionali generate da scelte intenzionali di tutt’altro tenore, protese verso tutt’altri obiettivi. Chissà.

Rimane però il fatto che senza la metamorfosi politica del Cavaliere, senza la sua spericolata <discesa libera> tra gli slalom della politica, il Paese si sarebbe ritrovato diviso in due come una mela. E più lacerato che mai. Con buona pace di tutti coloro che avevano combattuto per un’Italia davvero unita.

Ps. La questione dell’autonomia differenziata delle Regioni è destinata ad arroventarsi con l’avvicinarsi delle scelte cruciali. Di sicuro la scomparsa di Berlusconi non giova alla causa di quanti hanno a cuore l’unità nazionale e temono gli effetti disgregatrici della riforma Calderoli. Speriamo che non si verifichi il contrario di quanto riuscì ad evitare il Cavaliere con il suo successo elettorale quasi 30 anni fa.

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