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Occhio al 5G cinese. Cos’ha detto l’amb. americano Fick a Formiche

Si stanno “accumulando prove” che ci suggeriscono di essere “molto cauti”, ha spiegato Nathaniel Fick rispondendo a una domanda di Formiche.net. “Assisteremo a una crescente adozione di politiche da parte dei governi in Europa, negli Stati Uniti e in altri partner like-minded in tutto il mondo che riconosceranno questo aspetto”

“Credo che si stiano accumulando prove che suggeriscono che dovremmo essere molto cauti nei confronti di Huawei e Zte, e di qualsiasi altro fornitore di telecomunicazioni cinese”, ha detto Nathaniel Fick, ambasciatore straordinario per il cyber-spazio e la politica digitale del dipartimento di Stato americano, rispondendo a una domanda di Formiche.net nel corso di un ristretto Transatlantic Thought Leaders Forum.

La scorsa settimana il Financial Times ha rivelato che la Commissione europea starebbe valutando l’introduzione di un divieto obbligatorio per i Paesi membri di utilizzare le tecnologie offerte da Huawei per lo sviluppo e il lancio delle proprie reti 5G. Le raccomandazioni formulate da Bruxelles nel 2020 per tutelare le infrastrutture critiche dai fornitori considerati “ad alto rischio” come il colosso cinese sono state recepite solo da un terzo dei ventisette Stati membri. Ciò ha spinto Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, a ricordare ai governi “l’urgenza di agire per non creare gravi vulnerabilità” alla “sicurezza collettiva”.

“Da funzionario governativo in una società democratica, tratto le parole ‘divieto obbligatorio’ con grande serietà, come credo farebbe chiunque si trovi in una posizione simile”, ha premesso Fick. “Nel caso di Huawei e della Repubblica popolare cinese, tuttavia, ritengo che in tutto il mondo abbiamo avuto ampie prove del fatto che il rapporto del governo della Repubblica popolare cinese con Huawei è tale che Huawei si impegna a condividere con il governo le qualsiasi informazione che fluisce attraverso le reti Huawei quando richiesto”, ha continuato. “Non è così per il governo svedese e per Ericsson. Non è così per il governo finlandese e Nokia. Non è così per il governo sudcoreano e Samsung. E non è così per il governo americano e per la costellazione di aziende Open Ran che stanno crescendo negli Stati Uniti”.

Citando ragioni di sicurezza nazionale, innovazione e diritti umani, il funzionario statunitense ha concluso dicendo: “Credo che si stiano accumulando prove che suggeriscono che dovremmo essere molto cauti nei confronti di Huawei e Zte, e di qualsiasi altro fornitore di telecomunicazioni cinese. E credo che assisteremo a una crescente adozione di politiche da parte dei governi in Europa, negli Stati Uniti e in altri partner like-minded in tutto il mondo che riconosceranno questo aspetto”.

Ormai oltre tre anni fa, il Copasir aveva invitato il governo italiano a escludere le aziende cinesi “dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G”. Ecco la motivazione: “È stato posto in rilievo che in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative”. Lo prevede in particolare una legge del 2017, la National Security Law, che “obbliga, in via generale, cittadini e organizzazioni a fornire supporto e assistenza alle autorità di pubblica sicurezza militari e alle agenzie di intelligence”. A questa si aggiunge la Cyber Security Law, che impone agli operatori di rete di “fornire supporto agli organi di polizia e alle agenzie di intelligence nella salvaguardia della sicurezza e degli interessi nazionali”. Sono cambiati tre governi (Conte 2, Draghi, Meloni) senza che questa raccomandazione venisse accolta dall’esecutivo, che però ha rafforzato sia lo strumento sia l’utilizzo della normativa Golden power.


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