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Quale contesto dietro alla ribellione di Prigozhin? Il commento del prof. Savino

Di Lorenzo Piccioli

Secondo l’accademico italiano, la ribellione portata avanti da Prigozhin è solo l’ultimo tassello di un più ampio processo di crisi interno alla Federazione Russa. Con delle conseguenze difficili da prevedere, sia sul lato della guerra in Ucraina che su quello del futuro di Mosca

Il video pubblicato il 23 Giugno in cui Yevgeny Prigozhin attaccava con toni durissimi, anche rispetto ai suoi alti standard, l’apparato della difesa russa si è rivelato essere una vera e propria dichiarazione di guerra. Nella notte, l’oligarca russo capo della Private Military Company Wagner si è messo alla guida dei suoi uomini per marciare sino a Mosca e per distruggere quelli che definisce come i nemici del Paese. In queste ore concitate, esperti di tutto il mondo seguono passo per passo l’evolversi degli eventi in Russia; tra questi c’è il professor Giovanni Savino, che sta seguendo e commentando in diretta la ribellione di Prigozhin sul suo canale Telegram. Ma che ha gentilmente acconsentito a rispondere ad alcuni degli interrogativi postigli da Formiche.net.

Professor Savino, può farci una panoramica di quello che sta accadendo all’interno dei confini della Federazione Russa in questo preciso momento?

Al momento abbiamo una serie di fatti accertati che dobbiamo utilizzare come punti di riferimento per orientarci in mezzo al caos. Vediamo la città di Rostov, capitale del circondario federale meridionale e sede del quartier generale del Distretto Militare Meridionale (cioè quello che gestisce le operazioni militari in Ucraina), occupata dagli uomini della Wagner senza che siano stati riportati scontri. Pare inoltre che le unità di questa compagnia privata stiano transitando nella regione di Voronezh, in un movimento di avvicinamento alla capitale. Si parla di velivoli dell’aviazione abbattuti dai combattenti ribelli. Una situazione inedita per la storia russa recente.

Sottolinea l’aggettivo recente. Vuol dire che, se andassimo più indietro nella storia russa potremmo trovare un termine di paragone?

Da quello che sappiamo, quanto sta accadendo in queste ore può essere paragonato agli eventi della guerra civile che divampò negli anni successivi alla rivoluzione del 1917, in quello che fu l’Impero Russo e divenne poi Unione Sovietica.

A guidare questa sollevazione c’è Yevgeny Prigozhin, noto anche come ‘lo chef di Putin’ per i suoi stretti legami con il Presidente russo. Qual è la posizione dell’establishment riguardo a questi eventi?

Totalmente in contrasto. Mentre quello militare, dichiarato come il nemico da Prigozhin stesso, è stato subito considerato come antagonista, l’establishment politico si è schierato in modo più graduale contro la rivolta di Wagner. Soprattutto in seguito al discorso di condanna enunciato da Putin stesso nei confronti del suo fidato collaboratore.

Pensa che la mossa di Prigozhin possa godere del supporto popolare?

Ancora è presto per dirlo. Al momento abbiamo una società civile russa che svolge il ruolo dello spettatore di uno scontro tra forze armate. Sicuramente Prigozhin e la sua narrativa fanno appello a sentimenti diffusi nella popolazione, come l’odio per l’élite e la rabbia verso la corruzione diffusa, che non hanno ancora trovato una forma compiuta nel mondo politico russo. E c’è anche la possibilità che la rivolta venga sostenuta da forze politiche che si oppongono a Putin. L’esempio di Michail Khodorkovsky ne è una dimostrazione plastica.

La rivolta della Wagner avviene all’interno di un contesto più ampio, ovvero quello del conflitto in Ucraina. Ripercussioni della prima sul secondo sono più che prevedibili. Ma in che scala?

Notiamo una cosa: la prima reazione di Mosca all’azione ribelle di Prigozhin è stata il bombardamento delle città ucraine. Così è stato trasmesso il messaggio che, al netto dei problemi interni, la guerra continua. Gli Ucraini ora hanno tutto l’interesse ad osservare e capire cosa stia succedendo, per strutturare la reazione più consona. Ma questo non li bloccherà da sfruttare i vantaggi tattici immediati causati dal dirottamento di risorse militari, sia in sostegno che in contrasto alla rivolta. Un ruolo fondamentale in questo senso sarà quello dei soldati russi afferenti alle forze regolari, che dovranno decidere se e con chi schierarsi.

Anche se al momento è difficile fare previsioni, come pensa che questo evento impatterà sul futuro della Federazione Russa?

Sicuramente siamo a un punto di svolta per il sistema di potere putiniano. Il presidente stesso nel suo discorso ha preannunciato grandi sconvolgimenti, parafrasando le parole dette dall’allora primo ministro Stolypin in occasione della rivoluzione del 1905. Un Paese in guerra da quasi 18 mesi con detenuti armati e mandati al fronte a combattere è facilmente propenso a profondi scossoni.

Alcuni evocano una possibile esplosione della Federazione Russa. Lo considera uno scenario realistico?

È uno scenario possibile, ma non probabile. Quello a cui stiamo assistendo oggi è soltanto l’ultimo episodio del processo di crisi politico-istituzionale della Federazione Russa, originatosi in Cecenia qualche decennio fa. Le conseguenze di tale processo sono molte, e sono difficili da prevedere per intero. Qualora si verificasse una frammentazione dello stato russo, non vedremmo nascere tanti piccoli stati democratici in pace tra loro, ma l’emergere di veri e propri signori della guerra che utilizzerebbero il loro potere coercitivo militare per esercitare il controllo su territori più o meno estesi.

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