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Le ragioni di una sfilata. La riflessione del gen. Cuzzelli

Di Giorgio Cuzzelli

La nostra costituzione, nata dalla resistenza, ha lo scopo di tutelare la libertà, individuali e collettive, evocando con chiarezza il dovere di difenderle. Ma a chi è affidato il compito istituzionale della difesa della libertà, dei cittadini e del Paese? Ieri ai partigiani, ai soldati oggi. La riflessione del generale Giorgio Cuzzelli, docente di sicurezza internazionale e studi strategici all’Orientale di Napoli e alla Lumsa di Roma

La sfilata del 2 giugno ai Fori imperiali è da un cinquantennio oggetto di discussione. Abitudine consolidata negli anni Cinquanta e Sessanta, dagli anni Settanta ha incontrato la sistematica contestazione da parte delle correnti pacifiste e antiatlantiche della politica e dell’opinione pubblica – fino a essere soppressa in epoca di austerità – per poi ritornare in auge dai primi anni 2000. Tuttora considerata da molti un inutile sfoggio di militarismo, la si vuole contraria sia allo spirito del popolo italiano sia ai principi fondanti della carta costituzionale. Ma è proprio così?

È un fatto assodato che dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e con l’avvio della Guerra fredda, in Italia come altrove sia prevalso nelle opinioni pubbliche un più che legittimo sentimento di insofferenza per la tragedia appena patita, accompagnato dal giustificato rifiuto del colpevole militarismo che l’aveva generata, e da una sensazione di inutilità per tutto ciò che aveva a che fare con la difesa convenzionale, considerata pleonastica di fronte all’inevitabile olocausto nucleare che avrebbe comportato un conflitto tra i due blocchi.

Di questo atteggiamento si faranno interpreti – con finalità opposte ma nel lungo termine coincidenti – da un lato le forze politiche ideologicamente vicine all’Unione Sovietica, per ragioni fin troppo comprensibili, e dall’altro correnti di pensiero estremo del cattolicesimo militante, che faranno della rinuncia all’uso della violenza in qualunque circostanza un credo assoluto. Convinte entrambe – ma su questo ritorneremo a breve – di interpretare così lo spirito più autentico dei padri costituenti.

Questo modo di pensare, condiviso da larghi settori dell’opinione pubblica, si andrà progressivamente modificando dopo la fine del confronto bipolare, quando l’esigenza di porre rimedio al disordine internazionale condurrà l’Occidente ad intervenire in numerose situazioni conflittuali. La finalità sostanzialmente umanitaria di tali azioni porterà infatti molti a riconsiderare positivamente la liceità dell’utilizzo dello strumento militare. Purché, se proprio bisogna sparare, siano altri a farlo. Con ciò creando il formidabile ossimoro – tutto italiano – del soldato che fa la pace e non la guerra.

Nondimeno, le recenti, manifeste violazioni del diritto internazionale hanno da un lato reso necessario il ritorno a forme di difesa convenzionale che si volevano ormai dimenticate, e dall’altro hanno messo in evidenza l’assoluta inconsistenza degli atteggiamenti sinora descritti. Nonostante ciò, appellandosi ad un presunto dettato costituzionale, taluni continuano ad invocare forme di assoluto rifiuto della guerra, con ciò confondendo due principi filosofici ben distinti tra loro, ovvero il pacifismo e l’unilateralismo.

Il pacifismo, infatti, è il rifiuto della violenza come mezzo per la risoluzione delle controversie. Che non pregiudica, tuttavia, il diritto – naturale e inalienabile, al di là di ogni credo – di difendersi in caso di aggressione, una volta esaurita ogni altra forma di ragionevole convincimento della controparte. L’unilateralismo, invece, è il rifiuto dell’uso della violenza a prescindere, senza se e senza ma. In questo senso, la costituzione italiana è assolutamente pacifista. Rifiuta la guerra, ma non esclude di farla per difendere il paese, nel quadro di un sistema internazionale basato su regole condivise. E vuole che tutti i cittadini vi concorrano, nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge.

Posizione di elementare buon senso, voluta e sottoscritta da tutti i costituenti – dei quali certamente non può essere messa in discussione la vocazione democratica – sulla quale ritorneremo tra breve. Ben diversa è invece la posizione unilateralista. Ancorché degna di rispetto come qualunque altra forma di pensiero, appare un atteggiamento sostanzialmente anticonservativo e alieno dal sentire dell’uomo comune. Un atteggiamento che consente al prepotente di farsi beffe delle regole e lascia la vittima alla mercé del suo aggressore, nell’illusione che la forza della ragione – o del sentimento – possa aprioristicamente prevalere sulla violenza. Un atteggiamento, infine, che non solo non ha nulla a che vedere con il dettato costituzionale ma che invece, in ultima analisi, ne inficia i caratteri fondativi.

È infatti evidente che tutto l’impianto della nostra costituzione, nata dalla resistenza, ha lo scopo di tutelare la libertà, sia in chiave individuale – proteggendo esplicitamente i diritti fondamentali del cittadino – sia in chiave collettiva, evocando con chiarezza il dovere della collettività di difendersi con ogni mezzo lecito qualora minacciata. Ciò perché all’epoca i costituenti avevano ben chiara la scelta di coloro che, in nome della libertà, avevano preso le armi ed erano andati in montagna a combattere perché non si poteva fare altrimenti. È dunque paradossale – per non dire incoerente o del tutto contraddittorio – l’atteggiamento di coloro che oggi sembrano ispirarsi in ogni manifestazione di pensiero alle gloriose giornate di aprile, ma che contemporaneamente rifiutano per principio quella lotta armata che sola ha potuto garantire al nostro popolo la libertà, e che oggi permette ad altri di resistere alla protervia dell’aggressore.

Ma a chi è affidato oggi il compito istituzionale di combattere? A chi è affidata la difesa della libertà dei cittadini e del Paese, in patria e, se necessario, all’estero? Chi esercita per legge il monopolio dell’uso della forza per tutelare i singoli e la collettività? Le forze armate, le forze di polizia, i corpi centrali e periferici dello stato. I partigiani di ieri, i soldati di oggi.

A loro, e al patto che li lega indissolubilmente alla collettività che difendono, è dedicata la sfilata del 2 giugno, così come fu intesa dal suo inventore, Randolfo Pacciardi. Pacciardi, combattente del primo conflitto mondiale e di Spagna, fervente antifascista, primo ministro della Difesa dell’Italia repubblicana, uomo ben consapevole dei rischi che correva la nostra fragile democrazia di fronte alle sirene totalitarie dell’epoca. Non certo un reazionario, non certo un militarista. Non certo uno che voleva mostrare i muscoli. Semplicemente un patriota che voleva ribadire un principio. Che la libertà riconquistata a caro prezzo andava difesa. Se necessario con le armi.

Riscopriamo dunque i nostri soldati, per riscoprire la forza della nostra libertà. Combattere la sfilata serve solo a dare voce a chi vuole togliercela.

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