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Ucraina, terzo mandato e abuso d’ufficio. I tre scogli sulla navigazione di Schlein

Un anno pieno di insidie prima della verifica elettorale europea. Dallo scontro con l’ala riformista alla contrapposizione con il plotone degli amministratori locali. Le sfide del Pd secondo Giuseppe De Tomaso

Sosteneva Gianni Agnelli (1921-2003) che per attuare politiche di sinistra in Italia ci vogliono governi di destra e per attuare politiche di destra ci vogliono governi di sinistra. L’Avvocato, si sa, amava molto le battute paradossali, che quasi mai vanno prese alla lettera. Ma i paradossi hanno questo di speciale: o raccontano una mezza verità o raccontano una verità e mezzo. E la battuta agnelliana sulla destra che fa la sinistra, e viceversa, almeno una mezza verità la contiene, o la conteneva, come potrebbe confermare la storia politica del Belpaese. Adesso, però, dopo l’avvento di Elly Schlein alla guida del Pd, chissà se, da redivivo Signor Fiat, lui, l’Avvocato, se la sentirebbe di riproporre il suo spiritoso e corrosivo aforisma.

Altro che sinistra che fa la destra. Schlein è di sinistra, nemmeno di centrosinistra, e a sinistra intende collocare stabilmente il Pd. Il che rende complicata la coabitazione, sotto la medesima insegna, tra la segretaria del partito e l’ala riformista, quest’ultima in larga parte erede della tradizione democristiana. Oggi, forse, è l’Ucraina il principale pomo della discordia tra le due anime del Pd, ma domani potrebbero spuntare altre controversie, sia sui diritti civili sia sui diritti sociali. Solitamente la gestione del potere costituisce il più collaudato collante per scongiurare strappi tra punti di vista assai difformi. Ma quando il potere sfuma o s’indebolisce, inevitabilmente sale e si rafforza, nei singoli gruppi, il tasso di ideologismo, per sua natura carico di tensioni e conflittualità difficili da affievolire. Di solito le scissioni, nei partiti, sono figlie di un surriscaldamento ideologico interno, al cui confronto la contesa sul riscaldamento climatico somiglia a una pacata conversazione domenicale.

Sulla carta, ossia sul calendario, la prova del nove per l’attuale leadership del Pd è in programma tra un anno, in occasione delle prossime elezioni europee. Ma se, nel frattempo, dovessero allargarsi, soprattutto in politica estera, le diversità di vedute tra maggioranza e minoranza interne, il rischio di una resa dei conti ravvicinata, suscettibile di spaccature irreparabili, potrebbe diventare più probabile del solleone in agosto.

Né giova alla pace piddina la questione del terzo mandato per sindaci e presidenti di Regione: apparentemente un’inezia, un problema minore, ma nei fatti una miscela esplosiva in grado di far saltare anche i più solidi equilibri. Il <peccato originale>, o meglio il malessere, viene da lontano, ossia dalla riduzione del numero dei parlamentari, riforma voluta dai Cinque Stelle e accettata malvolentieri dal Pd. Partito di governo per vocazione, il Pd si è ritrovato, più di altri, a subire le conseguenze di un provvedimento che ha frenato, se non fermato, quella “circolazione delle élite”, quelle canoniche esperienze romane che avevano segnato l’ultimo mezzo secolo di vita politica nazionale. In soldoni: il taglio di 330 parlamentari (tra deputati e senatori) ha compromesso o addirittura stroncato le aspirazioni parlamentari di molti presidenti regionali e sindaci, che, fino a poco tempo addietro, dopo i due mandati ai vertici degli enti decentrati, puntavano, secondo tradizione, al classico traguardo finale: Palazzo Madama o Montecitorio. La soppressione di 330 posti, che ha già scompaginato molte carriere, unita al limite dei due mandati, ha sùbito mandato in soffitta numerosi progetti carrieristici, contribuendo a rendere sempre più litigioso il rapporto tra classi dirigenti nazionali e classi dirigenti territoriali.

Ora. Il via libera al terzo mandato per presidenti regionali e sindaci potrebbe costituire una specie di salvagente, o di camera di compensazione, per gli amministratori locali eletti due volte, ma costretti a rinunciare al salto nazionale dalla sfrondatura degli alberi parlamentari (un terzo in meno rispetto al passato). E però non è detto che la misura possa andare in porto, anche se, per certi versi, converrebbe, per ragioni di coesistenza pacifica, soprattutto ai senatori e ai deputati in carica, assediati come sono dalle ambizioni dei dirigenti periferici. La stessa riapertura all’elezione diretta dei presidenti delle Province rientra in questa logica: creare nuovi sbocchi per il personale politico locale stoppato nell’avanzamento verso la meta centrale, a Roma. Ma non è detto – dicevamo – che il via libera al terzo (e forse anche al quarto) mandato per presidenti regionali e sindaci possa andare in porto, sia perché la misura cozzerebbe contro il principio liberale della delimitazione temporale del comando sia perché è assai diffusa nei partiti, anche a livello centrale, l’insofferenza per il protagonismo degli amministratori periferici, spesso elevati, nella pubblicistica corrente, al rango di governatori e viceré. Il caso De Luca in Campania è il più eclatante, visto che è già sfociato in un duello a tutto campo tra il presidente regionale più imitato da Maurizio Crozza e la segretaria piddina insofferente nei confronti dei cacicchi più sfrontati e autonomi. E chissà come finirà la dissonanza tra il Pd di Schlein (e dei parlamentari) e il Pd degli amministratori territoriali, anche alla luce della profonda divergenza, tra i due schieramenti dem, sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio proposta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Conclusione. Sono, dunque, tre gli scogli più insidiosi che si trovano sulla navigazione di Elly Schlein. Il primo si chiama politica estera e trascina con sé il rapporto con il M5S, che sull’Ucraina ragiona come sappiamo. Il secondo si chiama terzo mandato per i vertici di Regioni e Comuni e trascina con sé il rapporto con parte del ceto dirigente e amministrativo locale. Il terzo si chiama riforma della giustizia, in particolare abolizione del reato di abuso d’ufficio, e trascina con sé il rapporto con l’intera ossatura periferica, ma, ad un tempo, più profonda e più attiva, del partito.

Tre scogli in grado di affondare anche i nuotatori più allenati. Staremo a vedere come nuoterà, come se la caverà la giovane portabandiera del Pd.



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