In assenza di un progetto forte della sua “classe dirigente”– i vescovi – basterà alla Chiesa cattolica la forza tranquilla che scaturisce da un dialogo vero tra le diverse componenti e uno stile sinodale permanente per affrontare tante sfide incalzanti? L’analisi di Agostino Giovagnoli
C’è chi prevede che il prossimo Sinodo dei vescovi sarà scoppiettante. Altri invece temono si riveli una grande delusione. Il documento preparatorio della prima sessione della XVI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (4-29 ottobre 2023) – l’Instrumentum laboris – autorizza entrambe le ipotesi. Tra gli estensori è prevalsa la scelta di raccogliere le indicazioni emerse dalle fasi continentali senza proporre un ordine del giorno stringente o scegliere le questioni chiave da discutere.
Tanta genericità contrasta con le intenzioni di Papa Francesco. Indire un Sinodo sulla sinodalità – che oltretutto si svolgerà in due anni – vuol dire in sostanza indire un Sinodo sulla “forma” della Chiesa: come deve essere, come deve articolarsi al suo interno, come deve proporsi all’esterno, che cosa deve fare… Tutti temi che rinviano a una questione di fondo – che cosa deve essere oggi la Chiesa? – in cui si intrecciano questioni teologiche di grandissimo rilievo e interrogativi storici di primaria importanza. Sono sostanzialmente i grandi temi del Vaticano II, non perché Papa Franceso voglia archiviare l’ultimo Concilio ma al contrario perché lo vuole attuare pienamente, in una situazione storica oltretutto decisamente cambiata rispetto agli anni Sessanta del XX secolo.
Questa convocazione sinodale contiene un messaggio forte: se Francesco vuole che si discuta di una questione tanto cruciale è perché vede premere sulla Chiesa una massa di problemi tale da esigere risposte complessive, coraggiose e rapide. È come se papa Francesco chiedesse un mandato per sé e per i suoi successori a dirigere la Chiesa in una direzione o in un’altra. Tale richiesta si radica nelle vicende dei primi dieci anni di pontificato: molte volte questo papa ha preso decisioni o indicato strade ma è stato fermato da resistenze e opposizioni incapaci di indicare un’alternativa. È il caso dei due sinodi sulla famiglia, che non ha potuto negare la validità della denuncia di Francesco circa l’improponibilità dell’insegnamento tradizionale della Chiesa sulla famiglia mentre è questa è sottoposta a uno sconvolgimento epocale, ma che hanno resistito anche a innovazioni relativamente modeste, come la comunione ai divorziati. In altri casi Francesco è stato addirittura ignorato, come in quello della Evangelii Gaudium che molti vescovi non hanno neanche letto.
Qualcuno ha usato l’immagine del sasso gettato in piccionaia: un modo per scuotere chi deve trovare queste risposte affinché si levi in volo, divenga capace di visioni ampie e compia scelte importanti. Sono anzitutto i vescovi coloro cui il Papa si rivolge. Gli estensori dell’Instrumentum Laboris, pur consapevoli dell’importanza della posta in gioco, hanno perciò pensato che non spettasse loro dare le risposte chieste da Francesco e hanno sostanzialmente rilanciato la palla ai partecipanti al prossimo al Sinodo (in cui per la prima volta parteciperanno con diritto di voto anche laici, tra cui diverse donne). Lasciandolo aperto a qualsiasi esito. Tra i temi indicati nell’Instrumentum Laboris, molti commentatori hanno messo l’accento sull’accoglienza a persone Lgtb, sul ruolo delle donne, sulla questione dei preti sposati… Che si trovino in questo documento mostra che nella Chiesa sono avvertiti con un’intensità ormai diffusa: è un dato interessante. Ma che non implica decisioni clamorose del prossimo Sinodo.
La fase preparatoria, tuttavia, qualche indicazione l’ha data. Sinodalità vuol dire camminare insieme (da sun=con e odos=strada) e, prima che un tema di cui discutere, è una pratica da realizzare. Nell’incontro conclusivo a livello continentale europeo, a Praga, vescovi, sacerdoti e laici si sono confrontati per più giorni su molti temi in un modo che molti partecipanti hanno giudicato fruttuoso. A Praga, la via tedesca alla sinodalità non ha trovato molti seguaci, non perché i temi discussi dalla Chiesa cattolica in Germania non siano sentiti anche da altri, ma perché il metodo delle decisioni radicali non è sembrato quello giusto. Nell’incontro continentale europeo, insomma, si è fatta un’esperienza di sinodalità in cui le diverse componenti della Chiesa si sono confrontate in modo aperto e, in un certo senso, alla pari, ma in uno spirito di comunione. Non era un risultato scontato. In assenza di un progetto forte della sua “classe dirigente”– i vescovi – basterà alla Chiesa cattolica la forza tranquilla che scaturisce da un dialogo vero tra le diverse componenti e uno stile sinodale permanente per affrontare tante sfide incalzanti?