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Il terrorista di Brescia e il proselitismo social fra i giovani. L’analisi di Dambruoso

La propaganda è diventata sempre più presente su strumenti come Instagram e TikTok. Lo dimostra un recente fatto di cronaca. Scrive il magistrato Stefano Dambruoso, con la collaborazione per la ricerca di Francesco Conti, esperto della materia già presso il Terrorism Prevention Branch dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine a Vienna

Negli scorsi giorni, l’arresto di un minorenne in provincia di Brescia ha riproposto il tema della minaccia del terrorismo jihadista nel nostro Paese. Il giovane arrestato sarebbe affiliato a una rete virtuale di sostenitori internazionali dello Stato Islamico, la maggior parte dei quali di giovanissima età. L’indagato si sarebbe radicalizzato online, arrivando fino alla progettazione di un attentato. Le accuse specifiche includono l’associazione con finalità di terrorismo internazionale (art. 270 bis c.p.) e il reato di addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270 quinquies c.p.). Nella prima fattispecie, la giurisprudenza fa rientrare i casi di coloro che, anche tramite internet o social media, confermano la propria volontà di far parte del gruppo criminale, senza la necessità di un incontro personale in presenza con un mentore dell’organizzazione terroristica. Molti sono stati sino a oggi i riscontri investigativi relativi al giuramento di fedeltà al califfo dello Stato Islamico (bay’ah) pronunciato tramite messaggio audio WhatsApp da alcuni foreign fighter e inviato a reclutatori dell’organizzazione terroristica. La seconda fattispecie, invece, dopo la modifica legislativa del 2015, consente di punire anche i soggetti che si auto-addestrano, molto spesso proprio grazie all’utilizzo di istruzioni presenti sul web.

Nel caso del minorenne di Brescia, sono stati infatti trovati anche documenti operativi per il maneggio di armi ed esplosivi, che il giovane era riuscito a reperire in rete, probabilmente sul dark web. Proprio nell’ottica di contrastare il fenomeno di coloro che riescono a ottenere abilità o conoscenze idonee a realizzare un attentato tramite materiale addestrativo presente online, l’ordinamento ha previsto una circostanza aggravante per i casi in cui le condotte siano “perpetrate attraverso strumenti informatici”.

Nonostante le norme repressive del codice penale siano in grado di punire efficacemente le condotte di sospetti terroristi, la gran mole di materiale jihadista propagandistico disponibile sul web rappresenta una sfida complessa. La radicalizzazione online del giovane residente nel bresciano è stata infatti possibile grazie alla gran quantità di propaganda jihadista presente nel web, nonostante il declino della organizzazione terroristica dello Stato Islamico, che da anni ormai non può più contare sul controllo territoriale e sugli spettacolari attentati in Occidente. Con i suoi esperti informatici Daesh era diventato il brand jihadista di punta, riuscendo nell’intento di eclissare al-Qaeda. Per riuscire a reclutare i più giovani, compresi i minori, la propaganda è diventata infatti sempre più presente su social network più usati quali Instagram e TikTok. Sui social è per esempio possibile rinvenire video di esecuzioni e di operazioni condotte da miliziani del Califfato, in Medio Oriente come nel Sahel, oltre a storici video di propaganda, ora non più disponibili su piattaforme come Facebook e Twitter, ma ripubblicati all’occorrenza. I video sono di solito brevi (data la natura dei social di riferimento), oltre a essere spesso “camuffati” con espedienti volti a bypassare i sistemi di intercettazione automatizzati di intelligenza artificiale preordinati a escludere e filtrare i video di natura violenta. In alcuni casi, i terroristi hanno semplicemente ritoccato o rimosso il logo dello Stato Islamico presente nel video, per rendere più difficile il lavoro dell’algoritmo di sicurezza.

Altra innovazione propagandistica destinata soprattutto ai più giovani è stata quella di utilizzare i videogiochi, sia come forma di incitazione sia come comunicazione intra-gruppo. Gli esperti della comunicazione del Califfato, oltre ad aver realizzato propri videogame sia in modo autonomo sia modificando giochi già esistenti come peraltro aveva già fatto Hezbollah, hanno usato anche l’iconografia di videogiochi molto popolari fra i giovani come Call of Duty e Grand Theft Auto per creare veri e propri meme di natura propagandistica, dove situazioni inneggianti al califfato erano unite alla famosa estetica dei videogiochi di riferimento. Proprio l’intrinseca interattività dei videogiochi è poi utilizzata per distribuire l’ideologia del gruppo terroristico. Essi possono infatti utilizzare i sistemi di comunicazione e messaggistica interni presenti nelle console, nelle piattaforme dedicate (come Stream o Discord) e presenti anche nei singoli videogiochi per mettere in contatto i propri membri o per cercare di attirare nuove reclute. Proprio su questo tema è intervenuto di recente anche il Counter-Terrorism Centre delle Nazioni Unite (UNCCT), che ha messo in guardia rispetto alla scarsa conoscenza del fenomeno da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali volte alla promozione della sicurezza.

Il caso di Brescia è solo l’ultimo di una lunga serie dove la radicalizzazione terroristica ha raggiunto teenager, legati a doppio filo con le nuove tecnologie, e soprattutto con i software più social come luogo per essere indotti alla radicalizzazione, che in alcuni casi si sono sostituiti in toto ai luoghi di aggregazione in presenza. Gli analisti sono infatti concordi nel ritenere che il lockdown della pandemia da Covid abbia influito sia sull’aumento esponenziale dell’utilizzo dei social media durante il periodo e del conseguente isolamento sociale da parte dei più giovani, sia per il susseguente aumento della propaganda terroristica riscontrata in tale contesto. Nel solo Regno Unito ci sono stati una ventina di arresti di minorenni radicalizzati negli ultimi anni, con un numero sempre maggiore di propaganda estremista, presente all’interno di videogiochi o piattaforme online.

Pochi giorni fa, il 2 giugno, un diciannovenne britannico è stato condannato definitivamente con un minimo di sei anni di reclusione da scontare, per la pianificazione di un attentato contro obiettivi legati alla polizia o alle forze armate. Il profilo del giovane, convertito all’Islam e radicalizzato online durante il lockdown, è un esempio evidente della nuova problematica legata al mondo virtuale. Su un altro spazio frequentato da terroristi di altra ideologia, la radicalizzazione online verso il neo-nazismo ha colpito alcuni giovanissimi britannici, con l’ultimo caso che ha visto l’arresto di un quindicenne per possesso di materiale esplosivo. Così come aveva destato forti preoccupazioni un caso del 2019, che vide un ragazzino di soli 13 anni utilizzare un manuale per la realizzazione di ordigni scaricato online sotto indagine per aver costituito una vera e propria cellula terroristica. Anche gli stessi gruppi di estrema destra utilizzano quindi social media come Instagram e TikTok per diffondere la propria causa, così come le piattaforme di gaming per attrarre nuovi giovani adepti. Secondo dati forniti da Instagram stesso, nello scorso anno, il social avrebbe rimosso più di un milione di elementi inneggianti alla violenza e al terrorismo.

Ma i pericoli rinvenibili nel mondo social rischiano oggi di esser superati da nuovi strumenti di diffusione del pensiero jihadista. La nuova frontiera del contrasto al terrorismo potrebbe essere rappresentata dalla proliferazione dell’intelligenza artificiale e del machine learning, che, secondo gli esperti, potrebbero essere sfruttati da soggetti criminali per facilitare il loro operato. Per evitare che ciò accada, per esempio, l’ormai molto conosciuto ChatGPT è dotato di un sistema di protezione che impedisce al software di fornire risposte al suo interlocutore umano su temi riguardanti argomenti di carattere violento, sessuale e/o criminale. Nonostante ciò, l’Europol ha di recente messo in guardia sul fatto che tali blocchi possano essere bypassati se si posseggono abilità, anche non sofisticate, di prompt engineering, cioè le tecniche che consentono di influire, tramite input specifici, sul risultato che verrà messo a disposizione dall’intelligenza artificiale. Si teme che in tal modo ChatGPT o altri software simili, possano fornire utili descrizioni su come realizzare un ordigno esplosivo, fino ad arrivare alla pianificazione di un attentato, passo dopo passo o anche alla diffusione e creazione di vera e propria propaganda terroristica, di ogni ideologia. Si assisterebbe quindi alla realizzazione di materiale terroristico senza un vero e proprio contributo umano. Proprio i più giovani, compresi nella fascia demografica più avvicinabile dalle potenzialità diChatGPT, potrebbero quindi presentare una nuova vulnerabilità per l’inquietante fascino dell’estremismo violento.Un problema in più per le famiglie, i genitori e le istituzioni, queste ultime chiamate a monitorare tutti i risvolti di un uso ancora oggi incontrollabile dell’intelligenza artificiale.

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