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Tribunale dei brevetti, perché l’Italia rischia di perdere un’occasione storica

L’assegnazione a Milano di una sede centrale “vera” del Tribunale Unificato dei Brevetti, quindi con le competenze che già aveva Londra su tutti i brevetti farmaceutici e life science, sarebbe molto più che portare in Italia un’istituzione comunitaria: sarebbe un tassello importante di un progetto realistico di rilancio e riqualificazione dell’economia europea dopo l’emergenza Covid-19. L’appello del professore e avvocato Cesare Galli al governo italiano

Il 1° giugno è stata un’altra giornata storica dell’integrazione europea: non certo importante come quella della firma dei Trattati di Roma, ma comunque significativa, perché riguarda una componente importante del futuro di tutti noi come l’innovazione tecnologica. Sono diventati infatti operativi il brevetto europeo ad effetti unitari – per ora riferiti a 17 degli Stati dell’Unione, ma in prospettiva destinato ad estendersi a tutti – e il Tribunale Unificato europeo dei Brevetti: un Giudice sovrannazionale, comune agli ordinamenti dei Paesi aderenti e formato sempre da panel di Giudici di più Paesi.

Anche se si tende a dimenticarlo, è grazie ai brevetti, e all’incentivo alla ricerca che essi rappresentano, che i vaccini contro il Covid sono stati realizzati e sono divenuti disponibili in meno di un anno e che sempre più innovazioni vengono realizzate anche nel campo della sostenibilità ambientale: la tutela della proprietà intellettuale si traduce infatti in uno strumento che consente al mercato, e nello specifico agli imprenditori, di gestire le risorse disponibili e le esternalità (positive e negative) della loro azione economica in maniera efficiente e secondo un’impostazione pro-concorrenziale, consentendo così di dare risposte rapide e concrete anche all’esigenza di perseguire l’obiettivo della sostenibilità dello sviluppo.

Una vicenda durata quasi mezzo secolo

È dagli anni ’70 del secolo scorso che si lavora alla costruzione di un Brevetto Unitario per l’intero territorio dell’Unione Europea (l’attuale Brevetto Europeo è infatti solo un fascio di brevetti nazionali, concesso unitariamente ma poi “nazionalizzato” in ciascuno Stato a cui il titolare voglia estenderlo, previa traduzione nella lingua locale, ed anche le cause relative ad essi si devono svolgere separatamente per ogni Stato coperto dal brevetto) e di una Corte Europea dei brevetti (la Unified Patent Court o Tribunale Unificato dei Brevetti), che assicuri unità e coerenza nella protezione di essi.

I vantaggi dell’unificazione saranno tanto più forti per le piccole e medie imprese, che soffrono in modo proporzionalmente maggiore dei costi della brevettazione e della difesa giudiziaria contro la contraffazione: basti pensare che il solo costo delle traduzioni dei brevetti concessi nelle lingue nazionali, che il sistema del Brevetto Unitario consentirebbe di evitare, è stimato in 270 milioni di Euro l’anno, di cui si calcola che il 20% sia sostenuto dalle imprese italiane, le quali da questo risparmio di spesa libererebbero preziose risorse da destinare all’innovazione, che nel nostro Paese continua ad essere insufficiente. E a questo costo si deve aggiungere quello della difesa giudiziaria dei brevetti, che, come si diceva, fino ad oggi in Europa andava sempre gestita Stato per Stato, moltiplicando le cause e il rischio di giudicati contrastanti.

Purtroppo però quando questo progetto era stato finalmente varato, nel 2011, il Governo italiano non aveva ritenuto di aderirvi, essenzialmente in considerazione del fatto che prevede che tale brevetto sia rilasciato in una delle tre lingue di lavoro dell’Ufficio Brevetti Europeo (Inglese, Francese e Tedesco), pur prevedendo un regime di garanzia per gli altri Paesi e un regime transitorio in cui tutti i brevetti rilasciati saranno necessariamente tradotti in inglese. Proprio la pretesa dell’Italia e della Spagna di includere le loro lingue tra quelle di rilascio del brevetto – “ufficialmente” per ragioni di “pari dignità linguistica”, ma più prosaicamente per difendere il lucroso business delle traduzioni, che per i professionisti che se ne occupano è una rilevante fonte di guadagno, ma per le imprese è un costo pesantissimo – aveva rallentato per anni il progetto e alla fine aveva indotto gli altri Paesi dell’Unione Europea ad accettare il “compromesso” del brevetto a tre lingue (appunto inglese, francese e tedesco), anziché la soluzione “English Only”, più economica e vantaggiosa per tutti, cui l’Italia si era convertita solo in extremis, quando ormai era troppo tardi.

Anche con il varo del Governo Monti, l’Italia aderiva solo alla Unified Patent Court, ma non al Brevetto Unitario, mantenendo il ricorso alla Corte di Giustizia che aveva presentato, insieme alla Spagna, contro il Regolamento autorizzativo della cooperazione rafforzata che istituiva tale brevetto (e che è poi stato rigettato, come poi è avvenuto di altri due ricorsi proposti dalla sola Spagna). Il Governo italiano, inoltre, aveva presentato solo tardivamente la candidatura di Milano ad ospitare la sede centrale della Corte Europea dei Brevetti, una posizione non solo di prestigio, ma anche di concreto vantaggio per le nostre imprese, che avrebbero avuto modo di difendersi “in casa”. I ripetuti appelli del mondo produttivo e professionale a un ripensamento e la stessa costituzione di un Comitato, presieduto da Diana Bracco, a sostegno della rinuncia all’assurda autoesclusione dell’Italia dal sistema del Brevetto Unitario e della candidatura di Milano a sede della Corte centrale, cadevano nel vuoto e nel giugno 2012 questa sede centrale veniva così “spartita” tra gli altri tre candidati arrivati in tempo utile (Parigi, Londra e Monaco).

Solo nel maggio 2015, dopo il rigetto da parte della Corte di Giustizia UE dei due ricorsi della Spagna contro i regolamenti di attuazione della cooperazione rafforzata per l’istituzione di una tutela brevettuale unitaria, l’Italia aveva finalmente rotto gli indugi e il Sottosegretario agli Affari Europei del Governo Renzi, Sandro Gozi, dava finalmente via libera all’adesione alla cooperazione rafforzata, poi formalizzata nel luglio 2015, e insieme all’avvio dell’iter di ratifica dell’Accordo sull’istituzione della Unified Patent Court, conclusosi nel novembre 2016 con l’approvazione parlamentare.

Nel frattempo però il sistema subiva altre due battute d’arresto: la prima con la Brexit, che rendeva tra l’altro indisponibile la sede centrale di Londra (dedicata alla validità dei brevetti chimici e farmaceutici, mentre quella di Parigi si sarebbe occupata di quelli elettronici e quella di Monaco dei brevetti meccanici), aprendo la strada a Milano, candidata naturale a sostituirla, anche perché ospiterà la Sezione locale italiana della Corte; e la seconda con un ricorso alla Corte Costituzionale tedesca, poi respinto, ma che teneva bloccato il sistema per quasi due anni. Alla fine, però, tutti gli ostacoli – anche tecnici – venivano superati e ora il Brevetto Unitario e il Tribunale sono pronti a partire.

I vantaggi per le imprese e per la ricerca 

Per il mondo produttivo (le cui principali associazioni, non a caso, hanno tutte fortemente sostenuto il progetto) i vantaggi del nuovo brevetto e del nuovo Tribunale Unificato sono evidenti. Non è vero, del resto, come sostengono i detrattori del nuovo sistema, che esso obbligherebbe le nostre imprese a vedersi giudicate da “giudici stranieri”, diversamente da oggi: al contrario, mentre oggi le nostre imprese, se vendono i loro prodotti all’estero, possono essere attaccate in ciascuno dei Paesi dove i loro prodotti circolano, con questo sistema esse verrebbero giudicate da Corti multinazionali delle quali farebbero parte anche giudici italiani e in una causa sola per tutta l’Europa, con enorme risparmio di costi. In caso di contraffazione che riguardi solo l’Italia, anche quando il sistema andrà “a regime” (dopo sette anni di regime transitorio) resterà possibile agire davanti ai Giudici nazionali sula base del corrispondente brevetto italiano.

Non è neppure vero, infatti, che il sistema cancellerebbe i brevetti nazionali, che al contrario vengono mantenuti e potranno convivere con quello unitario, così come con quello Brevetto Europeo non unitario. Anzi, proprio l’introduzione del titolo unitario, basato sulla stessa procedura di concessione dell’attuale brevetto europeo, fornirà una vantaggiosa alternativa per le nostre imprese innovative che operano sul mercato europeo, con una copertura unica sul territorio dell’UE – nella prospettiva, del tutto realistica, che al sistema finiscano per aderire tutti i Paesi dell’Unione –, che sarebbe idonea anche a fungere da barriera alle importazioni di prodotti-copia dai Paesi extra-UE, rendendo possibile valersi contro di essi delle misure di sequestro alle frontiere comunitarie, di fatto impraticabili quando invece il brevetto copre solo pochi Paesi.

Dunque, il Brevetto Unitario e il ricorso al Tribunale Unificato dei Brevetti rappresentano due possibilità in più, più favorevoli sotto molteplici aspetti, perché questo regime è più favorevole per il titolare in termini di costi, anche perché non richiede validazioni e pagamenti annuali nazionali; di efficacia, perché costituisce un titolo unico; ed anche di certezza del diritto, proprio perché in relazione ad esso è possibile solo un “attacco centrale”, scongiurando, nei Paesi cui l’effetto unitario si estende, il rischio di disporre di titoli aventi ambito di protezione diverso (e anche di nessun titolo) nei singoli Paesi, con problemi pratici rilevanti anche in termini di libera circolazione delle merci.

Allo stesso modo, il ricorso alla giurisdizione del Tribunale Unificato dei Brevetti riduce i costi rispetto all’attuale necessità di agire Paese per Paese, almeno in tutti i casi in cui sia contestata in modo non manifestamente pretestuoso la validità del brevetto; accresce l’efficacia delle pronunce, che sarà sempre cross-border, cioè estesa a tutti i Paesi dell’Unione Europea coperti dal Brevetto Unitario ed accresce la certezza del diritto, perché davanti alla Corte Unificato si applicheranno le stesse regole non solo riguardo alla validità (che già oggi per i brevetti europei dev’essere valutata solo in base alle norme della Convenzione sul Brevetto Europeo), ma anche per l’accertamento della contraffazione e, soprattutto, si formerà una case law unica nell’applicazione di esse, rendendo più prevedibile l’esito delle cause e quindi disincentivando le violazioni, ma anche depositi e azioni “strumentali”, diretti solo a ostacolare i concorrenti.

A Milano solo una “mini sede”?

Questo nuovo Tribunale europeo dei brevetti, che darà certezza e semplicità alla tutela dei brevetti in Europa, è dunque una grande occasione di rilanciare la ricerca e innescare una nuova ripresa economica virtuosa, e ciò soprattutto per l’Italia. L’Italia, infatti, è il secondo Paese manifatturiero UE, nel quale si produce il 52% dei farmaci venduti nel continente. Milano, infatti, doveva affiancarsi a Parigi e Monaco come terza sede centrale di questo Tribunale al posto di Londra, uscita di scena con la Brexit ed ereditandone le competenze in materia di brevetti farmaceutici, mentre quelli elettronici vanno a Parigi e quelli meccanici a Monaco. Invece, proprio in questi giorni, alla vigilia dell’entrata in vigore, si è deciso che il Tribunale partirà il 1° giugno con sole due sedi centrali, Parigi e Monaco, che si spartiranno anche le competenze di Londra e alle quali Milano si affiancherà solo in un secondo tempo e, soprattutto, con competenze drasticamente ridotte rispetto a quelle di Londra, “cedendo” a Parigi i brevetti chimico-farmaceutici che abbiano portano a un farmaco sul mercato (cioè i più importanti) e tutto il resto della chimica a Monaco.

Secondo il Governo, che ne ha dato l’annuncio, questa sarebbe una vittoria: in realtà, è una sconfitta per l’Italia, che poteva davvero diventare l’hub europeo dell’innovazione in questo campo, con grandi ricadute positive sulla ripresa economica e sulla creazione di posti di lavoro qualificati, diventando un polo di attrazione anche per i giovani ricercatori: e l’immagine del Paese ne avrebbe tratto grande giovamento, dimostrando che “Italia, qualità della vita” non è uno slogan che riguarda solo arte, food, moda e design, ma anche ricerca e produzioni innovative. Non sarà così e questa “spartizione” sarà di pregiudizio non solo all’Italia, ma all’intero sistema, anche perché darà luogo a contestazioni (fondate) nelle cause chimiche e farmaceutiche che fossero proposte alle sedi centrali di Parigi e di Monaco, rallentandole o persino bloccandole, con gravi danni soprattutto alle PMI e più in generale per il futuro dell’Europa.

L’Italia in tutto il mondo è infatti un simbolo proprio della qualità della vita: per il suo stile di vita eccezionale, la sua cultura enogastronomica, la sua tradizione di moda e design, ma anche per i suoi settori più innovativi, come anzitutto il biomedicale, la meccatronica e l’intelligenza artificiale applicati in primo luogo proprio ai settori che hanno a che fare con la vita, e con tutti gli spin-off che queste attività creano. E ciò vale a più forte ragione per Milano, che è la città italiana più europea, situata al centro di un’area che, nonostante le devastazioni cagionate dalla tragedia del Covid-19, rimane una delle più forti d’Europa, soprattutto in termini di imprese innovative e di ricerca, anche universitaria, con centri di assoluta eccellenza come il Politecnico di Milano, l’Università San Raffaele e l’Ospedale Humanitas, non a caso tutti attivi nel settore farmaceutico e della Life Science. Questa meritata reputazione è quindi un asset che può aiutare l’intera Europa a competere nel mondo globale, e la scelta di Milano come sede dell’UPC contribuirebbe quindi a migliorare la reputazione mondiale dell’Europa stessa.

L’Europa post-Covid, infatti, dovrà puntare a realizzare progetti e programmi che consentano la reciproca valorizzazione di tutte le imprese comunitarie più innovative, insieme ai territori in cui operano e quindi all’UE nel suo complesso, al fine di acquisire un fattore competitivo sui mercati mondiali. Il sistema economico europeo va sostenuto non con l’assistenza, ma con aiuti mirati a costruire le condizioni per una ripresa dello sviluppo, tenendo conto delle nuove esigenze del mercato di domani, visto che non si possono dimenticare i cambiamenti nel modo di lavorare, e anche le nuove professioni, che la “guerra al Coronavirus” sta inevitabilmente introducendo, anche perché per molti versi hanno impatti positivi sulla vita e sulla sostenibilità ambientale e per questo almeno in parte non saranno abbandonati insieme alle mascherine e al distanziamento, quando l’emergenza sarà finita.

In altre parole, la “nuova crescita felice” dell’Europa di cui il Recovery Fund deve gettare le basi dovrà rispondere essenzialmente al bisogno di qualità della vita che questa crisi ha evidenziato, e che significa – prima di tutto – salute, insieme alla protezione dell’ambiente, alla vita domestica, al benessere, alla sicurezza (anche delle comunicazioni), al comfort, alla possibilità di conciliare il lavoro con le esigenze personali e familiari. L’assegnazione a Milano di una sede centrale “vera” del Tribunale Unificato dei Brevetti, quindi con le competenze che già aveva Londra su tutti i brevetti farmaceutici e life science, sarebbe quindi molto più che portare in Italia un’istituzione comunitaria: sarebbe un tassello importante di un progetto realistico di rilancio e riqualificazione dell’economia europea dopo l’emergenza Covid-19, partendo da una chiara visione del futuro basata sui punti di forza delle varie regioni d’Europa e sui modi concreti per valorizzarli.

Per questo Indicam, la principale Associazione italiana contro la contraffazione ha lanciato un appello direttamente alla Presidente del Consiglio, affinché proponga sul tema un incontro al vertice tra i capi di governo. Un appello di contenuto analogo era stato inviato nei mesi scorsi da trenta accademici, studi legali e think tank italiani. Prima che sia troppo tardi e ci ritroviamo tutti a dover lamentare un’altra occasione perduta.

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