La necessità di rivendicare la vittoria del conflitto sta diventando l’unico interesse condiviso da entrambi gli schieramenti, allontanando sempre più l’orizzonte della pace. La questione allora ruota attorno alle concessioni territoriali su cui si giocherà la partita del negoziato
Riceviamo e pubblichiamo un estratto del libro di Greta Cristini, analista e reporter di guerra, dal titolo “Geopolitica. Capire il mondo in guerra” edito da Piemme.
Nell’indagare un conflitto fra attori geopolitici, siano essi tribù, Stati-nazione, potenze regionali o imperi, la geopolitica non si preoccupa di stabilire chi ha ragione o chi ha torto, ma prova a mettersi nella testa di una parte e dell’altra per comprendere la prospettiva di entrambi.
Pensare in termini geopolitici significa non solo spogliarsi delle proprie posizioni ideologiche, ma svestirsi dei propri codici antropologici per immedesimarsi nei panni della collettività da studiare. Si tratta di una prova inevitabilmente imperfetta, perché togliersi di dosso la propria forma mentis e il proprio modo di vivere e concepire la realtà per assumere quelli di un’altra comunità è materialmente e psicologicamente impraticabile. Eppure, qualsiasi analisi di tipo geopolitico deve iniziare così, con lo sforzo, mai pienamente riuscito e spesso fallibile, di calarsi nella verità altrui. Una volta rimossi i propri convincimenti e rinnegati i propri giudizi, bisogna fondersi nella cultura di un’altra comunità, perdersi nell’ethos straniero, guardare al mondo con gli occhi di quel popolo, accettare e appropriarsi delle ambizioni e delle paure, spesso tutte inconsce, di quella gente. Così si impara come un popolo è cambiato e si è evoluto nel tempo, nonché il suo rapporto coi vicini e coi nemici.
Quello ucraino rappresenta il caso di studio ottimale per scendere nelle viscere di altre nazioni, coglierne il recondito e il sentimento che ne guida l’incedere. L’Ucraina è il campo di battaglia del primo conflitto nel cuore dell’Europa del XXI secolo, il più rilevante dopo la Seconda guerra mondiale. Questo scontro si gioca su molteplici livelli perché convoca a sé altre potenze, sia pur non impegnate con i propri uomini sul terreno. Il primo è quello fra Russia e Ucraina. Il secondo è il duello fra Russia e Nato per il controllo dell’Europa. Il terzo riguarda l’assalto all’egemonia globale degli Stati Uniti da parte del mondo non occidentale.
Nessuno dei conflitti che si sono avvicendati dal 1945 in poi (Corea, Vietnam, ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Siria e Libia) ha visto un così stretto e contemporaneo coinvolgimento delle due massime potenze nucleari del globo, Stati Uniti e Russia, nonostante la forte asimmetria delle armi impiegate da entrambi sul campo e non. Tanto che fin da subito si è parlato di una guerra per procura fra Occidente e Russia.
Nella fattispecie, l’assenza di un dialogo sostanziale fra Stati Uniti e Russia in oltre un anno di guerra origina dall’arroccamento in due opposte visioni del mondo e dal mancato desiderio di mettersi l’uno nei panni dell’altro. Durante la Guerra Fredda, America e Unione Sovietica reggevano il globo attraverso due blocchi guidati da ideologie rivali, ma specularmente comunicanti. Questa intesa di codici permetteva a entrambe le potenze atomiche di capirsi vicendevolmente, nonché di cogliere le “linee rosse” proprie e altrui oltre cui non si sarebbero spinte per non finire nel caos di un’altra guerra mondiale.
Tale condivisione è mancata per gran parte dell’attuale conflitto. Statunitensi e russi non si capiscono oggi per barriere cultural-identitarie radicate e modi di vivere agli antipodi che si sono eretti progressivamente a partire dal collasso dell’Urss nel 1991. Eppure i tentativi, finora falliti, di intavolare un negoziato o perlomeno un dialogo palesano che entrambi vorrebbero quantomeno evitare un’escalation nucleare potenzialmente in grado di distruggere l’umanità. La storia però spesso non si scrive con le intenzioni e la difficoltà di capirsi o anche solo di riconoscersi aumenta il rischio di malintesi, fraintendimenti o incidenti catastrofici. Quanto può bastare per far saltare tutto in aria.
La necessità di rivendicare la vittoria del conflitto sta diventando l’unico interesse condiviso da entrambi gli schieramenti, allontanando sempre più l’orizzonte della pace. La questione allora ruota attorno alle concessioni territoriali su cui si giocherà la partita del negoziato. La Crimea per Mosca è fuori dalle trattative. Il Donbas e le due regioni ucraine di Kherson e Zaporižžja che il Cremlino ha formalmente annesso alla Federazione saranno al reale centro del dibattito. E se negoziato sarà, Putin non potrà tornare a casa a mani vuote. Per Kiev cedere le due regioni di Donec’k e Luhans’k dopo dieci anni di combattimenti sarebbe doloroso, ma quel territorio martoriato e spopolato assomiglia sempre di più a un fardello che a una risorsa. Anche di questo l’Ucraina terrà conto, quando gli Stati Uniti cominceranno a pressare seriamente per sedersi al tavolo.
Ma è davvero così? La retorica conflittuale alla quale stiamo assistendo da ambo i lati non fa ben sperare. E se e quando Usa e Russia si guarderanno di nuovo negli occhi, saranno veramente in grado di capirsi – e, soprattutto, saranno disposti a farlo – come durante la Guerra Fredda? Per mettersi nella testa del nemico bisogna prima volerlo fare.