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“Sponsor della guerra” di Putin. L’Ucraina contro le telecamere cinesi

Il governo di Kyiv ha definito Dahua e Hikvision, società di videosorveglianza controllate dal governo cinese, “sponsor internazionali della guerra”. La mossa non ha conseguenze legali ma solo reputazionali. Ecco le implicazioni (anche per l’Italia?)

Nei giorni scorsi Hikvision e Dahua, società di videosorveglianza controllate dal governo cinese, sono state bollate dall’Ucraina come “sponsor internazionali della guerra”. Secondo Kyiv, le due aziende fornirebbero alla Russia materiali dual use come droni e termocamere, armi anti-drone. Inoltre, contribuirebbero al bilancio russo avendo sfruttando l’uscita dei fornitori occidentali alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022. A riportato è il sito specializzato Ipvm.

L’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione dell’Ucraina “ha incluso due produttori e fornitori cinesi di apparecchiature di videosorveglianza nell’elenco degli sponsor internazionali della guerra”, si legge. “La decisione è stata presa perché entrambe le aziende lavorano attivamente nella Federazione Russa, contribuendo al bilancio russo e fornendo apparecchiature dual use che possono essere utilizzate per scopi militari”.

La lista contiene così 29 aziende, comprese quelle più note come Procter & Gamble e Mondelez. Con Hikvision e Dahua, sono ora sei le aziende cinesi della Repubblica popolare cinese. Le altre quattro sono il produttore di smartphone Xiaomi, l’azienda di radar Comnav, l’impresa di costruzioni Csec e Great Wall Motor. A differenza della maggior parte delle sanzioni, la designazione è “solo reputazionale” e non ha “alcuna conseguenza legale”, spiega il governo ucraino. “Name and shame”, per dirla in inglese. L’obiettivo e il compito dell’Agenzia, infatti, è mettere pressione sulla reputazione delle aziende affinché interrompano le loro operazioni in Russia. Le società nella lista possono chiedere di essere rimosse inviando la prova di aver cessato le attività commerciali in Russia, dice ancora l’esecutivo.

Per ragioni di sicurezza nazionale (le leggi cinesi che richiedono a cittadini e aziende di mettere i dati a disposizione dell’intelligence) e per il coinvolgimento nella sorveglianza di massa nei campi di “rieducazione” degli uiguri nello Xinjiang, sia Hikvision sia Dahua sono state sanzionate da diversi governi occidentali, a partire da quello statunitense. Nei giorni scorsi, il governo britannico ha annunciato la rimozione di strumenti di videosorveglianza “made in China” dalle strutture governative.

Diversi elementi rendono questo “name and shame” ucraino particolarmente interessante: la centralità della tecnologia in questo conflitto e più in generale nella competizione tra Stati Uniti e Cina; l’influenza che le posizioni di Kyiv possono avere sul resto dell’Occidente in un contesto internazionale contraddistinto da un sempre più forte confronto tra democrazie e autocrazie. Anche per questo, la decisione ucraina su Hikvision e Dahua potrebbe avere ripercussioni nei Paesi europei. A partire dall’Italia, dove basta passeggiare per il centro di Roma, nei pressi di palazzi delle istituzioni e del potere, per rendersi conto della forte presenza di apparecchiature di videosorveglienza cinese.

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