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Perché Orbán può fare il gioco di Huawei e Zte contro l’Ue

La Commissione europea ha chiesto agli Stati membri di escludere le aziende cinesi dalle reti 5G. Ma soltanto un mese fa il ministro degli Esteri ungherese era a Pechino per…

Sarà l’Ungheria di Viktor Orbán a far deragliare il piano della Commissione europea per escludere i fornitori “ad alto rischio” – a partire dalle aziende cinesi Huawei e Zte – dalle infrastrutture 5G di istituzioni e Stati membri dell’Unione europea?

Ieri la Commissione europea ha diffuso una nota definendo “giustificate e conformi” alla toolbox 5G pubblicato a fine 2020 le decisioni assunte dai Paesi che hanno l’obiettivo di limitare o escludere Huawei e Zte dalle reti 5G. E ha invitato gli altri a fare lo stesso. Infatti, dei 27 soltanto dieci hanno imposto restrizioni. “Data l’importanza dell’infrastruttura di connettività per l’economia digitale e la dipendenza di molti servizi critici dalle reti 5G, gli Stati membri dovrebbero attuare la toolbox senza indugio”, si legge.

Davanti a queste “gravi vulnerabilità” serve agire “il prima possibile”, ha dichiarato Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, in conferenza stampa. L’Unione europea “non può permettersi di mantenere dipendenze critiche che potrebbero diventare un’arma contro i nostri interessi”, ha aggiunto citando materie prime critiche e 5G.

Uno studio della società Strand Consult, con sede in Danimarca ha stimato che Austria, Bulgaria, Germania, Paesi Bassi, Ungheria e Italia si affidino ad aziende cinesi per oltre la metà delle loro reti 5G. Cipro addirittura per la totalità.

Lo Stato membro che più preoccupa i funzionari della Commissione europea oggi è l’Ungheria (e non soltanto sul 5G). Un mese fa, infatti, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó è stato a Pechino per firmare un accordo tra Huawei e la National University of Public Service.“L’Ungheria continua a sviluppare la sua rete con l’aiuto di Huawei”, ha spiegato il ministro. Ha sottolineato che il suo governo auspica che “le relazioni economiche con la Cina” rimangano “un aspetto essenziale della strategia economica estera dell’Ungheria”. Inoltre, che “crede nella competizione giusta a prescindere dal Paese di origine”.

Parole chiare che suonano come musica alle orecchie di Huawei e Zte, che (proprio come TikTok) hanno sempre bollato come discriminazione qualsiasi restrizione imposta dai Paesi occidentali per ragioni di sicurezza nazionale. Ma alla base di queste decisioni – e della raccomandazione di oltre tre anni fa del Copasir al governo italiano – ci sono due leggi cinesi (National Security Law e Cyber Security Law) che impongono la collaborazione di cittadini e imprese con l’intelligence.

Su questo punto ha insistito lunedì Nathaniel Fick, ambasciatore straordinario per il cyber-spazio e la politica digitale del dipartimento di Stato americano, rispondendo così a una domanda di Formiche.net: “Abbiamo avuto ampie prove del fatto che il rapporto del governo della Repubblica popolare cinese con Huawei è tale che Huawei si impegna a condividere con il governo le qualsiasi informazione che fluisce attraverso le reti Huawei quando richiesto”. E ancora: “Non è così per il governo svedese e per Ericsson. Non è così per il governo finlandese e Nokia. Non è così per il governo sudcoreano e Samsung. E non è così per il governo americano e per la costellazione di aziende Open Ran che stanno crescendo negli Stati Uniti”.

Le dichiarazioni nette di Fick sono in forte contrasto con le aperture alla Cina dell’Ungheria del mito dei sovranisti Orbán. Che, non per caso, non è stata invitata neppure al secondo Summit per la democrazia tenutosi a fine marzo dopo aver saltato il primo appuntamento di fine 2021.



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