Il nuovo memorandum d’intesa tra Bruxelles e Tunisi vuole affrontare le questioni della migrazione irregolare, dello sviluppo economico e della transizione energetica congiuntamente – la cifra dell’approccio targato Meloni. Tuttavia, avverte Lorena Stella Martini dell’Ecfr, la strategia di breve termine sulla questione migratoria solleva diversi dubbi
Il Memorandum d’intesa firmato ieri tra l’Ue e la Tunisia viene segnalato come un’importante vittoria per il governo italiano. Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è recata a Tunisi tre volte nelle ultime settimane: la prima volta da sola, poi come rappresentante del cosiddetto “Team Europe” insieme alla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al Primo Ministro del Regno dei Paesi Bassi, Mark Rutte. In questo modo, la premier ha avanzato la volontà di essere in prima linea come interlocutore di Tunisi – come dimostra anche la Conferenza sulle migrazioni che si terrà a Roma il 23 luglio e che vedrà anche la partecipazione del Presidente Kais Saied – e di assumere la guida in Europa su un dossier fondamentale per l’Italia come quello delle migrazioni e della loro dimensione esterna, riuscendo a far salire le priorità dell’Italia nell’agenda di tutta l’Ue.
Per quanto riguarda l’accordo in sé – che è ancora un memorandum d’intesa che deve essere seguito da accordi vincolanti –, notiamo il tentativo di delineare un ampio quadro di cooperazione volto a strutturare un partenariato profondo e globale con la Tunisia in diversi ambiti. Il quadro dovrebbe finire per promuovere lo sviluppo sostenibile e liberare il potenziale della popolazione del Paese, contribuendo così, in ultima analisi, a frenare i flussi migratori verso l’Europa. Ciò che preoccupa, tuttavia, è che questa architettura, i cui risultati saranno raccolti nel medio termine, è abbinata a un tentativo molto più diretto e a breve termine di fermare i flussi migratori dalla Tunisia all’Europa (e in particolare verso l’Italia) lungo la rotta del Mediterraneo centrale.
A tal fine, l’Ue si è impegnata a stanziare 100 milioni di euro per assistere la Tunisia nella lotta contro il contrabbando e il traffico di esseri umani e per migliorare la gestione delle frontiere. Se da un lato il Memorandum d’intesa afferma che la Tunisia lavorerà solo per sorvegliare le proprie frontiere – durante la precedente visita di Team Europe in Tunisia, Saied aveva dichiarato che la Tunisia non diventerà un guardiano delle frontiere dell’UE – e non accoglierà i migranti illegali, dall’altro le parti si sono impegnate a cooperare per sostenere il ritorno in patria dei migranti irregolari in Tunisia.
Considerate le precedenti esperienze europee con questo modello di cooperazione e i precedenti della Tunisia in materia di trattamento dei migranti – come esemplificato da quanto accaduto a Sfax pochi giorni fa e dalle dichiarazioni ostili rilasciate dal presidente Saied nei confronti dei migranti subsahariani lo scorso febbraio – la compatibilità tra un simile quadro e il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti, sempre secondo quanto dichiarato nel MoU, rimane molto dubbia. Inoltre, la Tunisia si sta avviando verso il default – ed è per questo che l’Ue si è impegnata a fornire 150 milioni di euro di aiuti immediati al bilancio. Come si può pensare che un Paese in condizioni politiche ed economiche così disastrate possa portare a termine in modo efficace e trasparente questo delicato dossier?
In definitiva, nonostante la volontà di delineare un partenariato multidimensionale, il “pilastro” della migrazione all’interno di questo MoU rischia di far cadere nuovamente il tutto in una spirale di securizzazione e di weaponization dei flussi migratori. Dopo tutto, Saied ha dimostrato più volte la sua inaffidabilità.