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Bombe a grappolo, tra necessità e doppiopesismi. Scrive il gen. Tricarico

Esistono reali condizioni sul campo che rendono la fornitura di bombe a grappolo all’Ucraina, le cosiddette cluster bomb, commisurata alla necessità del Paese di resistere all’invasore russo, a cominciare dal fatto che le regioni dove si combatte sono principalmente attraversate da soli soldati, fattore che riduce drasticamente l’eventuale coinvolgimento di civili. Il punto del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare

Confidai proprio a Formiche nell’ottobre 2015 l’incredulità nel constatare come i russi facessero ricorso, senza battere ciglio, alle cluster bomb in Siria, all’avvio delle operazioni militari a sostegno del regime di Assad.

Le immagini televisive che mi capitò di vedere sul Tg5, inequivoche nel mostrare l’impatto di bombe a grappolo, e che a un riscontro si confermarono autentiche perché messe in circolazione proprio dai media russi, non suscitarono però allarme e disapprovazione. L’onda di sdegno di oggi di tutti i Paesi che hanno bandito l’uso delle cluster bomb, nel caso siriano (e in tutte le altre circostanze meno note) non diede alcun cenno di vita, sostanziando un doppiopesismo che pare ormai la regola imperante in ogni valutazione.

Eppure nel caso di Zelensky vi sono numerose ragioni, non solo tecniche, che dovrebbero far chiudere un occhio a chi grida, più o meno forte, allo scandalo e si adopera affinché gli ucraini non abbiano un sistema d’arma quanto mai necessario in questo momento.

Innanzitutto sul terreno si sono verosimilmente create le condizioni perché non si metta a rischio la vita di non combattenti, di civili innocenti.
Infatti i territori contesi paiono in larga parte popolati da soli soldati, separati da una linea di confronto lungo la quale, per profondità contenute, i reparti russi tentano di resistere alla pressione Ucraina. Con i loro armamenti più o meno pesanti, acquartieramenti, comandi, depositi di munizioni, carburante, mezzi di traporto e altro. Il tutto contenuto in ben identificabili e perimetrabili aree geografiche.

Pare insomma lo scenario ideale per l’impiego delle bombe a grappolo, l’esatto scenario per cui queste furono pensate; come scenario ideale era ad esempio quello delle chilometriche carovane di mezzi militari russi in marcia verso Kiev, quando si pensava che questa potesse cadere in pochi giorni.

Poi, per far dormire sonni tranquilli – se questo è il problema – a chi oggi cerca di intralciare la fornitura agli ucraini di bombe a grappolo, sarebbe sufficiente pretendere la garanzia – facilmente verificabile – di una pianificazione oculata delle missioni di volo o di artiglieria, in modo che le aree ad alta densità di reparti russi sia delimitata geograficamente con adeguato margine di sicurezza. Con una Intelligence da fonte satellitare o anche da piccoli droni, indispensabile a disegnare con esattezza l’area da saturare, e i più appropriati parametri dei sistemi d’arma, primo tra tutti lo spolettamento della quota di apertura dei contenitori delle bombette.

Si eviterebbe così con sufficiente accuratezza che le cluster bomb provochino significativi e indesiderati danni collaterali.

C’è però il concreto problema delle bombe inesplose, un problema per il quale sono circolate informazioni artefatte, soprattutto nelle cifre, nelle dimensioni del pericolo derivante dall’incappare in una bomba ancora attiva. Si è parlato addirittura del 40% sul totale dell’armamento lanciato, una cifra che francamente non trova riscontro nelle percentuali medie osservate sul campo.

Gli Stati Uniti pare si siano impegnati nel fornire Cluster il cui tasso di mancata attivazione sia contenuto al 3% o qualcosa di simile e credo che attorno a tale cifra si aggiri di norma il tasso di inefficienza degli armamenti in circolazione.

In ogni caso andrebbe attivata, a ostilità concluse, una opera di bonifica, che sarebbe però certamente meno ardua di quella comunque da attuare e volta a disattivare le ben più insidiose mine antiuomo delle quali i russi hanno disseminato i territori occupati.

Il problema pertanto non esiste, considerato che siamo in guerra; o comunque non è nei termini in cui è stato rappresentato dai media.

Esso inoltre andrebbe inquadrato in un’ottica complessiva in cui un Paese, aggredito, ridotto in una sua cospicua parte a un cumulo di macerie da un avversario che non ha risparmiato barbarie e crudeltà, che ha usato ogni arma propria ed impropria in maniera indiscriminata, ecco si vorrebbe che questo paese, già costretto da una serie di bizzarre limitazioni come quella di non poter usare la forza fuori dai propri confini, non potesse venire dotato di un tipo di armamento tutto sommato meno letale di ogni altro osservato in questa guerra e che più di ogni altro ora gli sarebbe necessario per liberare i propri territori da un invasore, tra l’altro aduso ad impiegare senza restrizioni, anche e soprattutto morali, proprio quel tipo di armi.


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