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Così il capo cinese della Fao ha piegato l’agenzia Onu ai voleri di Pechino

Il secondo mandato per Qu Dongyu è cosa certa visto che tutti i rivali si sono già ritirati da mesi. Ma alla viglia della conferenza che si apre oggi un’inchiesta tedesca getta ombre sulla direzione tra pesticidi vietati e funzionari-spie

Si è aperta la 43ª sessione Conferenza della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura che ha sede a Roma, chiamata a eleggere il direttore generale per il periodo 2023-2027. L’uscente, il cinese Qu Dongyu, si è ricandidato ed è certo del suo mandato, come raccontato nelle scorse settimane su Formiche.net. Tutti i suoi rivali, infatti, hanno fatto un passo indietro: a marzo la diplomazia irachena ha comunicato di aver ritirato la candidatura di Hamid Khalaf Ahmed e il mese dopo quella tagika ha fatto lo stesso con Dilshod Sharifi.

Ma alla viglia dell’apertura dei lavori un’inchiesta delle emittenti radiotelevisive tedesche “Ard” e “Rbb” rivela che l’ex viceministro cinese dell’Agricoltura ha piegato la Fao agli interessi di Pechino. Si tratta di consegne di pesticidi vietati in Europa, per la maggior parte provenienti da un’azienda agrochimica cinese, iniziative delle Nazioni Unite in linea con la Via della Seta e piani di investimento “discutibili”. Tutto è stato denunciato agli autori dell’inchiesta da funzionari della Fao, secondo cui “l’organizzazione è cambiata in maniera radicale” da quando il suo direttore generale Qu è entrato in carica nell’agosto di quattro anni fa. Dal suo insediamento, ha legato più strettamente l’organizzazione alla Cina. Per esempio, ha disposto lo sviluppo di un nuovo sito web dell’istituzione che dirige, con spese ingenti di cui “oltre 400.000 dollari sono andati a Pechino”. Inoltre, ha assegnato importanti incarichi a funzionari del suo Paese di origine, che ha visto la propria quota di direttori della Fao aumentare da due a sei. Vi sono poi gli “ufficiali” cinesi della Fao, che vengono “rigorosamente” selezionati da Pechino per la loro “ideologia politica”. Questi funzionari devono riferire periodicamente sul loro operato all’ambasciata cinese a Roma. Secondo fonti nella Fao, si tratterebbe di “spie”, scrivono gli autori dell’inchiesta.

E ancora: sotto la sua direzione la Fao ha autorizzato spedizioni in Africa, Asia e Oceania di pesticidi, molti dei quali contengono principi attivi vietati nell’Ue a causa della loro tossicità. In particolare, ha concesso la quota più alta di autorizzazione alla fornitura ai pesticidi del gruppo agrochimico Syngenta, di proprietà di una società statale cinese dal 2017 e stretto un partenariato con CropLife, gruppo di interesse del settore agrochimico tra i cui membri vi è Syngenta. Dalle indagini di “Ard” e “Rbb” è poi emerso che Qu avrebbe sfruttato il suo incarico di direttore generale della Fao per promuovere la Via della Seta, il progetto infrastrutturale su scala globale della Cina, in particolare a Sao Tomé e Principe e a Panama.

E tornano le ombre sul 2019. Prima del voto, Pechino annullò un debito di 80 miliardi di dollari al Camerun, che ritirò il proprio candidato alla direzione generale della Fao (Médi Moungui). All’elezione culminata con la vittoria del rappresentante cinese, prese parte anche Julia Kloeckner, ministra delle Politiche alimentari e dell’Agricoltura tedesca dal 2018 al 2021, che ha raccontato il voto: “Prima che si svolgessero le votazioni, è emerso che gli Stati africani avrebbero dovuto scattare una foto della loro scheda nella cabina”. Si potrebbe trattare di una prova di voto di scambio della Cina per far eleggere Qu, spiegano gli autori dell’inchiesta.

Non mancarono, però, colpe occidentali. Infatti, Qu si impose sfruttando le divergenze transatlantiche: l’Unione europea aveva sostenuto la francese Catherine Geslain-Lanéelle, fermatasi a 71 voti; gli Stati Uniti il georgiano Davit Kirvalidze, a 12. E l’Italia? Il voto è segreto. Ma all’epoca erano circolate insistentemente voci secondo cui il governo guidato da Giuseppe Conte (il primo, quello gialloverde) avesse deciso di non allinearsi agli altri Stati membri dell’Unione europea appoggiando il candidato cinese. Ecco cosa scrivevamo su queste pagine un mese fa.

L’ambiguità di Roma lasciò almeno una delle due superpotenze insoddisfatta. O la Cina, con cui soltanto pochi mesi prima il governo aveva siglata il memorandum d’intesa sulla Via della Seta rendendo l’Italia il primo e ancora oggi unico Paese del G7 ad aderire al programma infrastrutturale lanciato dal leader Xi Jinping. O gli Stati Uniti, dove soltanto pochi giorni prima del voto Matteo Salvini, allora vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, era volato per assicurare alla Casa Bianca che l’Italia era il miglior alleato europeo.

Alla fine del suo secondo mandato quadriennale Qu avrà diretto l’organismo dal 2019 al 2027, otto anni decisivi in un decennio cruciale. Basti pensare che le Nazioni Unite hanno l’obiettivo di sconfiggere entro il 2030 fame, insicurezza alimentare e malnutrizione in tutte le sue forme. Un obiettivo che però si sta allontanando anno dopo anno. Infatti, il numero delle persone che soffrono la fame a livello mondiale è salito a ben 828 milioni nel 2021, ossia circa 46 milioni in più dal 2020 e 150 milioni in più dallo scoppio della pandemia di Covid-19, secondo l’ultimo rapporto.

Tra i dossier sulla scrivania di Qu ci sono e ci saranno: la guerra in Ucraina, con gli Stati Uniti che nei giorni scorsi (quelli appena dopo la visita a Roma di Cary Fowler, inviato speciale della diplomazia americana per la sicurezza alimentare) hanno pubblicato un rapporto accusando la Russia di continuare a utilizzare il cibo come arma di guerra, con un impatto devastante su tutto il mondo; il futuro dell’Africa, continente in cui si decideranno le sorti dell’Europa ma anche dell’espansionismo cinese.

E la situazione appare oggi ancor più grave, visto che ieri Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha dichiarato che Mosca non vede alcuna ragione per estendere l’accordo sul grano ucraino.



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