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Che cosa aspettarsi sulla Cina dall’incontro Meloni-Biden

Scontato il confronto sui rapporti con Pechino vista l’attualità. Dallo Studio Ovale non uscirà la decisione ufficiale sulla Via della Seta. Piuttosto, Roma vuole capire come Washington gestirà la competizione tra superpotenze. Intanto, i giornali di Xi avvertono: se l’Italia esce, “impatto negativo”

Giovedì alla Casa Bianca ci sarà un confronto sulla Cina con il presidente statunitense Joe Biden ma non nello specifico sul memorandum della Via della Seta, una questione che “non mi è mai stata posta”. Lo ha detto Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, nel punto stampa conclusivo della Conferenza internazionale su migrazione e sviluppo che si svolta ieri alla Farnesina.

Impossibile che la Cina non facesse parte dell’agenda dell’incontro allo Studio Ovale. È così per qualunque leader straniero raggiunga la Casa Bianca visto il contesto internazionale. Possibile che Biden chieda a Meloni se e che cosa ha deciso in vista del rinnovo quinquennale del memorandum che scatta automaticamente a marzo a meno di un passo indietro di una delle due parti. Ancor più probabile che lei chieda a lui che cosa aspettarsi dalle relazioni tra le due superpotenze, oggi in una fase di forti tensioni e scarsa comunicazione.

La presidente del Consiglio avrebbe confidato l’intenzione di fare un passo indietro dall’intesa siglata dal predecessore Giuseppe Conte nel 2019 alla delegazione parlamentare statunitense guidata da Kevin McCarthy, speaker repubblicano della Camera dei rappresentanti, in visita a Roma a maggio. Lo aveva rivelato Bloomberg. “Per le prossime decisioni sull’uscita” dell’Italia dal memorandum con la Cina per la Via della Seta “abbiamo capito che non è una questione di se, ma di come”, aveva detto qualche giorno dopo uno dei membri di quella delegazione, il democratico Jimmy Panetta.

Difficilmente arriverà dallo Studio Ovale, dopo l’incontro con Biden, una parola ufficiale e definitiva di Meloni, visto che il dossier riguarda Italia e Cina. Anche perché il memorandum non dettaglia le modalità di uscita. Prevede soltanto che esso venga “automaticamente prorogato di cinque anni in cinque anni, salvo che una Parte vi ponga termine dandone un preavviso scritto di almeno tre mesi all’altra Parte”. Come? Non c’è scritto – capolavori della diplomazia cinese.

E in tutto questo, Pechino non ha lasciato sfuggire l’occasione. Dopo le “anticipazioni” della stampa italiana riprese da quella internazionale, il Global Times, quotidiano della propaganda cinese in lingua inglese, ha pubblicato un editoriale avvertendo che “l’incertezza non significa che sia accettabile o appropriato” che il memorandum d’intesa sulla Via della Seta tra Italia e Cina diventi tema di discussione tra Italia e Stati Uniti. Respingendo l’idea di Meloni secondo cui “si possono avere buone relazioni, anche in ambiti importanti, con Pechino senza che necessariamente queste rientrino in un piano strategico complessivo”, come aveva spiegato in un’intervista al quotidiano Il Messaggero. Minaccia l’Italia con la stessa retorica adottata in questi ultimi mesi dalla diplomazia cinese, a partire dall’ambasciatore in Italia, Jia Guide: se esce da “una piattaforma che ha dimostrato la fiducia politica reciproca e ha migliorato il livello strategico della cooperazione tra i due Paesi, ci sono tutte le ragioni per essere preoccupati del potenziale impatto negativo”. “È nell’interesse di entrambe le parti sfruttare ulteriormente il potenziale della nostra cooperazione” sulla Via della Seta, ha detto oggi Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, nel consueto briefing quotidiano.

Non è un caso se la diplomazia italiana sta lavorando a un incontro tra Meloni e il presidente Xi Jinping per sbrogliare la matassa. Più facile in territorio neutrale, come il summit dei leader G20 di settembre a Nuova Delhi, in India. Più difficile organizzare una visita della presidente del Consiglio in Cina. La diplomazia cinese potrebbe proporre come occasione il forum sulla Via della Seta che si terrà entro la fine di quest’anno, che segna il decennale dal lancio dell’iniziativa. Ma un palcoscenico simile potrebbe soltanto causare imbarazzi all’Italia, specie se la decisione è quella di non rinnovare: partecipare e annunciare l’uscita sarebbe visto come uno sgarbo, di portata inferiore soltanto al partecipare, nicchiare e annunciare l’uscita in un secondo momento.

Nelle prossime settimane altre due missioni da Roma potrebbero raggiungere Pechino: la prima diplomatica, la seconda di Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio.

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