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Sviluppo digitale, tra divari e progresso potenziale. Lo studio Ced

Nel suo ultimo studio, il Centro economia digitale evidenzia i divari territoriali e sociali nelle competenze digitali degli italiani che ostacolano lo sviluppo del Paese. Serve potenziare le competenze anche nelle aree meno sviluppate, sfruttando il Pnrr (e rivedendo la logica dei bandi). Ed è essenziale fare sistema

Non mancano gli intoppi sulla strada della transizione ecologica. È quanto emerge dall’ultimo studio sulla diffusione delle competenze digitali in Italia ed Europa del Centro Economia Digitale. Attraverso un metodo innovativo di analisi dei dati ha studiato l’avanzare del processo di digitalizzazione a livello territoriale, confermando che il suo progresso – e l’effetto di moltiplicazione del valore che ne consegue – risente ancora dei vincoli strutturali e legati al territorio.

PIÙ DIGITALE, PIÙ CRESCITA

A monte di questo studio c’è la consapevolezza dell’importanza delle competenze digitali. Come rilevano gli autori, esiste un corpus molto nutrito di prove che correlano strettamente “la capacità di assorbimento delle nuove tecnologie da parte delle imprese, delle industrie e delle regioni” alla quantità e alla qualità delle competenze di chi produce. Dal lato di chi consuma beni e servizi, invece, la diffusione delle competenze digitali è “essenziale per garantire una domanda sostenuta di prodotti e servizi digitali”, settore in forte crescita, che a loro volta fungono da moltiplicatori di produttività.

In sostanza, e vista la competitività crescente dei mercati globali, un Paese che spera di continuare a crescere non può tralasciare in alcun modo lo sviluppo delle competenze digitali. “Da un punto di vista strutturale, la crescita delle industrie digitali sia nella manifattura che nei servizi può quindi procedere solo di pari passo con il consolidamento di una forte base di conoscenze (digitali)”, evidenziano gli autori. Ne consegue che una crescita difforme e non omogenea dello skillset del Paese si riflette, nel bene e nel male, sulla competitività e le opportunità di crescita offerte dai suoi territori.

COMPETENZE E TERRITORIO

Entrando nel merito dell’analisi del Centro Economia Digitale, che ha analizzato la diffusione delle competenze digitali negli Stati dell’Unione europea nel periodo 2013-2021, si conferma una forte polarizzazione tra il centro-nord del blocco (specie Germania e Paesi scandinavi) e la sua periferia. “La dotazione più esigua di competenze digitali si registra in Grecia e nelle gran parte delle economie dell’Europa orientale”, ma anche Spagna e Italia sono in una “condizione di relativa debolezza”, pur essendo gli abitanti del Belpaese appena dietro ai cugini teutonici e scandinavi se si parla di competenze digitali.

L’Italia ha però peggiorato la sua posizione relativa a livello di diffusione delle digital skills. Nel caso italiano “emerge in modo netto il divario tra Nord e Sud, nonché un relativo indebolimento di alcune regioni settentrionali”, nella fattispecie Emilia-Romagna e Piemonte. Una precondizione per l’aumento della polarizzazione, dato che le regioni più digitalizzate tendono ad attrarre più lavoratori qualificati e aziende innovative. Cosa che di riflesso rallenta ulteriormente la digitalizzazione dei territori più arretrati, che a loro volta perdono i lavoratori digitalmente competenti che emigrano verso aree più sviluppate (e contestualmente ricche).

QUANTO SIAMO DIGITALI

Nel complesso, a livello di competenze digitali, metà degli italiani non utilizza tecnologie digitali nel lavoro (24%) o sono utilizzatori a bassa intensità (26%), mentre solo il 15% sono altamente qualificati. l’Italia continua ad arretrare rispetto alla media Ue pur rimanendone sopra, con le donne che risultano sistematicamente più penalizzate (dal 20 al 30% in meno rispetto agli uomini) – un trend che però si riscontra anche altrove in Ue.

Altri fattori sono quanto si guadagna (“emerge una netta e forte correlazione tra i percentili di reddito e l’intensità delle competenze digitali”) e l’età, che grava in modo particolare su un Paese con la nostra composizione demografica; le digital skill “si concentrano in modo rilevante nelle coorti di età più giovani e tendono a ridursi al crescere dell’età”, altra tendenza che si conferma trasversale. Una combinazione di variabili che hanno progressivamente allargato la forbice tra media Ue e Italia, facendo scendere il Belpaese dal terzo al secondo quartile dal 2013 al 2021.

UNO SGUARDO AL FUTURO

La convergenza digitale è ancora un obiettivo lontano, come emerge dall’analisi del Centro Economia Digitale. La pandemia ha certamente accelerato la digitalizzazione delle regioni, scrivono gli autori, ma serve continuare a lavorare. Il percorso di riequilibrio richiede politiche che promuovano il settore dell’istruzione superiore e la disponibilità locale di competenze digitali, elementi che risultano particolarmente efficaci nel ridurre i divari territoriali e sociali, assieme al “favorire cambiamenti strutturali che consentano lo sviluppo locale di settori ad alta intensità di conoscenza e migliorare le condizioni infrastrutturali”.

IL PROBLEMA DEI BANDI…

In quest’ottica, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si conferma un obiettivo chiave per perseguire la transizione digitale, dato che oltre un quarto delle risorse sono destinate alla digitalizzazione – attraverso lo sviluppo di reti digitali ad alta capacità, specie in aree rurali e remote, per meglio collegare scuole, ospedali, amministrazioni pubbliche, trasporti, imprese e famiglie. Tuttavia, per massimizzare l’effetto del Pnrr, “è necessario rafforzare il meccanismo di allocazione delle risorse, la maggioranza delle quali è assegnata tramite bandi competitivi”.

Il punto è venire incontro ai reali fabbisogni relativi delle aree, anche internamente alle regioni, evidenziano gli autori, perché i territori più bisognosi spesso hanno capacità attuative, progettuali e amministrative più scarse. Un risultato è che spesso questi enti locali non partecipano proprio ai bandi che più sarebbero necessari. Ne consegue che l’assegnazione delle risorse tramite meccanismi competitivi non sia compatibile con le asperità nel tessuto economico: il rischio è ampliare ulteriormente le fratture socio-economiche tra le regioni.

… E IL DOVERE DELLA POLITICA

Serve sostegno politico alla digitalizzazione delle imprese, concludono gli autori. Gli strumenti orizzontali come i crediti d’imposta riducono l’incertezza e sostengono gli investimenti, ma potrebbero avere una capacità limitata di ridurre i divari strutturali o addirittura esacerbare le differenze esistenti. Qui si rendono necessarie le azioni sulle infrastrutture digitali al fine di rimuovere le barriere e potenziare la base produttiva locale.

Infine, è importante aumentare la domanda di competenze digitali avanzate nelle aree meno sviluppate o in declino, per ridurre la migrazione dei giovani lavoratori e migliorare la competitività aggregata. “Questo deve andare di pari passo con una logica più sistemica e olistica, dove i Sistemi Locali o Regionali dell’Innovazione possono fungere da ‘hub digitali’ in cui le industrie avanzate e i servizi ad alta intensità di conoscenza interagiscono con istituzioni di istruzione superiore e amministrazioni pubbliche qualificate”.


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