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Come gestire il negoziato fra dittatura tecnologica e assenza di empatia. Scrive Tufarelli

Di Francesco Tufarelli

Cosa vincerà in una trattativa, il genio umano e l’incontro in presenza, o la potenza computazionale, il taglio delle spese, la riduzione dei tempi? Pubblichiamo un estratto del libro “Negoziato e comunicazione negli anni ’20” di Francesco Tufarelli e Monica Didò, edito da The Skill Press

Oltre ad una serie di conseguenze di tipo sanitario la crisi pandemica ha portato con sé notevoli e sostanziali modifiche al quotidiano “agire umano”. Il “negoziato”, che da sempre caratterizza la vita dei cittadini è risultato particolarmente segnato dagli accadimenti degli ultimi anni. L’uomo tendenzialmente, anche senza accorger sene, negozia in ogni momento, da quando si sveglia la mattina fino al termine della giornata, su qualunque aspetto della vita e con i più diversi interlocutori. Non è innanzitutto banale l’obbligato ricorso alla tecnologia che ha caratterizzato i rapporti umani
dalla primavera del 2020 ad oggi.

Se infatti la comunicazione quotidiana ordinaria ha risentito in maniera sensibile del ricorso frenetico a cellulari e computer, l’attività professionale di negoziato vero e proprio ha subito un profondo sconvolgimento, i cui effetti sono pienamente visibili anche se spesso colpevolmente sottovalutati da protagonisti e comprimari. È necessario premettere che il brusco e repentino passaggio dalla modalità de visu a quella online non ha certo facilitato un’ordinata transizione.
Quando nei primi giorni di marzo del 2020 si è deciso di limitare la circolazione in Italia, nell’intero continente europeo e in genere nel mondo, si è registrata una generale impreparazione nella gestione di diversi fenomeni collegati. Infatti gli auspicati obiettivi di un’Europa più verde e di un’Europa più connessa, pur ampiamente illustrati nella premessa alla programmazione 2021/2027, si sono dimostrati ben lungi dall’essere stati raggiunti e financo dall’essere all’orizzonte.

Nello specifico la capacità informatica del nostro Paese ed in genere lo sviluppo tecnologico dell’intera Europa si sono rivelati come ampiamente sopravvalutati e non solo con riferimento alla citatissima “didattica a distanza”. Già nel corso delle prime video call è risultato evidente come il negoziato vero e proprio avesse perso la sua vera “anima”. La lontananza fisica fra gli attori, abituati da anni a condividere sale e tavoli, non ha sicuramente favorito una ordinata e serena Comunicazione né la connessa rappresentazione degli interessi. Nel caso delle riunioni europee la rappresentazione visiva di ventisette piccoli quadretti sul monitor non è stata evidentemente ancora in grado di sostituire la complicità “rodata” in anni di comuni frequentazioni. Tuttavia la criticità maggiore si è riscontrata in ordine alla capacità tecnologica di collegarsi e comunicare in maniera comprensibile. Al netto dell’idoneità tecnologica dei diversi strumenti, tutta da verificare, si è dovuta registrare anche una scarsa propensione degli attori verso l’utilizzo della tecnologia. Oratori conosciuti come esempi di disinvoltura e chiarezza si sono spesso trasformati in figure balbettanti e assolutamente inadeguate a trasmettere con- tenuti e soprattutto emozioni attraverso il computer.

Il diaframma del video si è spesso dimostrato un ostacolo insormontabile, il microfono un temibile avversario, la telecamera una condanna all’immobilismo. Inoltre, l’inadeguatezza delle infrastrutture ha spesso trasformato navigati negoziatori in opache figure incapaci di trasmettere suoni comprensibili. La tecnologia nazionale ed europea non ha, almeno inizialmente, superato lo stress test a cui è stata sottoposta. In sostanza il combinato disposto di una tecnologia inadeguata e di negoziatori impreparati alla nuova situazione ha creato non poche difficoltà a raggiungere accordi e compromessi, se non addirittura a rendere possibile i collegamenti e comprensibili le conversazioni.
In questo caso si può agevolmente parlare di una “dittatura della tecnologia” che ha spostato l’asse della riflessione dalle capacità dell’oratore alla potenza e alla definizione del computer a disposizione.
È fin troppo evidente come qualunque “perla di saggezza” affidata ad un’immagine traballante e ad una voce incomprensibile sia destinata a cadere nell’oblio, se non ad indispettire in maniera spesso irreparabile gli astanti almeno fino a quando essi stessi non vengono sottoposti alla medesima prova.

Sostanzialmente l’adeguatezza o meno delle apparecchiature ha determinato un nuovo modello di “democrazia digitale”, basato non tanto sul software delle competenze bensì sull’hardware delle disponibilità meccaniche. Pur essendo questa prima circostanza particolarmente rilevante e soprattutto costante nel tempo non va sottovalutata neanche la componente umana del negoziatore, il quale si è trovato a confrontarsi in un ambiente totalmente nuovo, solo apparentemente più confortevole del precedente. Infatti, al presunto vantaggio di potersi collegare anche da casa ha fatto da subito riscontro la difficoltà di percepire umori e sensazioni dei colleghi di tavolo. La mancata presenza fisica, infatti, ha inevitabilmente danneggiato la qualità del rapporto umano, rendendo impossibili i numerosi e positivi approcci che normalmente caratterizzavano le fasi precedenti, intermedie e successive allo svolgimento dei lavori.

L’essere direttamente catapultati sul tavolo delle trattative, talvolta a riunione iniziata, senza banalmente condividere riflessioni o semplicemente un caffè con i colleghi, ha reso gran parte delle trattative infinitamente più rigide e spesso enormemente più lunghe ed elaborate senza peraltro apprezzabili risultati finali. Si è spesso assistito alla ripetizione sterile ed ossessiva delle cosiddette “poesie”, ossia le posizioni inizia- li che ciascun negoziatore declama in apertura, ben conscio di non aver nessuna possibilità che queste vengano accolte completamente o almeno in parte, con inevitabili e conseguenti perdite di tempo ed energie. La difficoltà di percepire espressioni di assenso o di dissenso ha seriamente minato la possibilità di affinare le diverse posizioni, rendendo spesso la discussione piuttosto aspra senza la possibilità di creare le migliori condizioni di dialogo.

Il risparmio di tempo e probabilmente anche di soldi, dovuto all’annullamento delle diverse missioni per raggiungere la sede di lavoro, spesso ha trovato riscontro nella sgradevole sensazione di protrarre per ore discussioni che “in presenza” si sarebbero potute concludere in tempi molto più brevi. Inoltre, anche la presunta maggiore riservatezza, assicurata dal web, ha dovuto cedere difronte a considerazioni fattuali. La telecamera, ove funzionante e accesa, infatti, inquadra sicuramente, come visto
in maniera più o meno definita, il negoziatore, ma non assicura in nessun modo che nella sala non siano presenti altre persone senza che gli altri partecipanti ne abbiano notizia, cosa che sarebbe stata impossibile con l’adozione del tradizionale “tavolo delle riunioni”.

La sensazione di poter essere ascoltati da altri non autorizzati, né conosciuti e potenzialmente ostili ha inevitabilmente, in diversi casi, pesantemente infastidito e reso difficili i negoziatori portandoli ad una rigidissima reticenza a tutto svantaggio dell’accordo finale. Tale sensazione è stata addirittura amplificata quando “fughe di notizie”, a mezzo stampa, hanno insinuato nei negoziatori il dubbio di essere ascoltati anche da giornalisti totalmente estranei al tavolo e spesso alla ricerca solo di scoop. Esemplificativo sul tema l’esempio del comitato di crisi Covid-19, stralci dei cui verbali venivano puntualmente riproposti dai quotidiani nazionali il giorno dopo determinando imbarazzo e nervosismo sul tavolo, peraltro molto articolato, soprattutto a causa della riservatezza
dei contenuti rivelati.

Queste considerazioni, è da notare, vengono svolte al netto delle pur frequentissime intrusioni avvenute attraverso virus informatici di varia natura e provenienza. Durante le fasi più dure della pandemia i difensori della modalità telematica hanno segnato alcuni punti a loro favore quando sono stati raggiunti importanti accordi sulla gestione della crisi. Soprattutto in tema di gestione ospedaliera, trasferimento di malati, vaccini e green pass. Non si vogliono sicuramente negare i risultati raggiunti dai tavoli sopra citati. Pur tuttavia è necessario rilevare che, nella stragrande parte dei casi, i risultati migliori e più soddisfacenti sono stati conseguiti da tavoli che operavano in situazioni emergenziali.
A riguardo è necessario chiarire che tali accordi sarebbero probabilmente stati raggiunti utilizzando qualunque sistema di comunicazione e dunque il successo non è ascrivibile alla tecnologia e all’informatica ma bensì alla condizione contingente e all’urgenza di raggiungere un accordo che ha inevitabilmente responsabilizzato i negoziatori.

Per essere sicuri della maggiore idoneità di uno strumento rispetto all’altro è infatti notoriamente necessario testarlo su situazioni di “normalità” e non sulla “gestione della crisi”, che da sempre falsa in una maniera o nell’altra ogni tipo di trattativa. Solo in tali condizioni saremo in grado di operare una credibile comparazione. Oggi gran parte delle difficoltà iniziali tendono a scomparire: le connessioni certe, l’apertura e la chiusura di microfoni e telecamere, l’intrusione di soggetti esterni ed altro ancora; tuttavia, le diffidenze e le reticenze restano immutate ed anche alcuni segnali irrilevanti, come ad esempio il momentaneo oscuramento di una telecamera, vengono spesso interpretati in maniera differente rispetto alle intenzioni del protagonista. Per fare un esempio, le scenografiche e storiche “uscite dalla sala”, seguite da rientri ad orologeria, non hanno trovato un conveniente corrispondente ed hanno privato molti protagonisti di armi decisive e il negoziato di una parte consistente del suo fascino. Parimenti le occhiate di intesa con il vicino o con altro componente del tavolo sono state rese impossibili dalla contemporanea “visione” di tutti i contraenti.

Non siamo in grado di escludere che la fantasia umana sarà in grado di provvedere ad adeguate e credibili sostituzioni; tuttavia, ad oggi dobbiamo ribadire in maniera ferma che il nuovo negoziato, affidato alla tecnologia, mostra una consistente mancanza di anima, cedendo troppo all’immediatezza delle comunicazioni o all’omertà senza un’adeguata generale condivisione. Le poche disordinate ed evidentemente lacunose riflessioni esposte in questo preliminare lavoro non tendono ad una condanna sic e sempliciter dello strumento informatico, né sono dirette a criminalizzare il negoziato online, tendono però ad evitare una facile fuga verso soluzioni ancora imperfette avendo come unico riferimento il risparmio economico peraltro tutto da dimostrare.

Ogni accordo ha sicuramente alla sua base le idee e le posizioni, spesso anche rigide, dei contraenti, ma per essere raggiunto questo richiede un’empatia fra i contendenti che ad oggi l’informatica non è in grado di assicurare. Inoltre anche il dato economico non convince pienamente, infatti se il prezzo da pagare, per evitare le spese di trasferta e la partecipazione ai tavoli, si misura sulla mancanza di accordo o peggio sulla firma di un cattivo accordo, urge una riflessione relativa ad una seria analisi costi/benefici.
Con più stretto riferimento al negoziato europeo la difficile, ma entusiasmante fase, che vive oggi l’Europa fra nuovi allargamenti, suggestioni conferite dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, sfide ambientali ed altro ancora suggeriscono una grande prudenza nell’individuare gli strumenti più idonei a raggiungere gli scopi prefissati.

Non riesco a valutare onestamente se nei primi anni duemila sarebbe potuto essere possibile il grande allargamento dell’Unione senza le ripetute visite nei paesi candidati, gli estenuanti tavoli di contrattazione, le interminabili riunioni a Bruxelles o se comunque questo risultato avrebbe richiesto tempi molto più lunghi. Alla luce dell’attuale situazione il quesito non è di poco conto.
La stessa riflessione la si può estendere alle conferenze intergovernative, ai consigli europei e forse anche alla stessa Conferenza sul futuro dell’Europa che, pur efficace nelle proposte, ha dovuto cedere il passo alla piattaforma predisposta dalla commissione e ai panel europei e nazionali risultando onestamente molto limitato il dibattito in plenaria. A chi ha avuto modo di partecipare ad ambedue le esperienze non è sfuggito il maggior patos che si respirava nell’assise della Convenzione europea dei primi anni 2000.
Oggi, dunque, nel momento in cui ci si accinge di uscire completamente dalla seconda crisi degli anni 2000, ci attende, fra le altre, la sfida di calibrare gli strumenti ai traguardi da raggiungere compiendo una valutazione completa e libera da pregiudizi in ordine alle esperienze da valorizzare e quelle invece da ascrivere alla gestione dell’emergenza augurandosi, in futuro, di dovere utilizzare le seconde il meno possibile.

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