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Contro l’emergenza climatica è ora di agire adesso. L’opinione di D’Angelis

L’Italia ha tutte le condizioni per difendersi e investire e produrre lavoro nelle infrastrutture e nelle tecnologie più innovative. Sarebbe l’ora di “mettere a terra” le economie green sostenute dai pacchetti finanziari climatici dell’Ue, dal Fit for 55 al Recovery Plan al Green Deal europeo che investono 1000 miliardi di euro in grado di svilupparne 3000, e una quota è nel nostro Pnrr. Il commento di Erasmo D’Angelis

Maxi-grandinate con tempeste di chicchi come palline da tennis, tornado e trombe d’aria, fulmini e saette, alberi sradicati, tetti scoperchiati, black out, finestre divelte, strade e sottopassi allagati, coltivazioni pronte per la raccolta – mais, soia, pomodoro, angurie, meloni, zucche – e strutture agricole cancellate, vetture danneggiate, centri abitati irraggiungibili, centinaia di feriti, panico.

È la raffica dei danni del tempo che fa, e che farà, che dopo aver devastato due mesi fa un centinaio di comuni della Romagna con eventi di alluvioni e frane che non si vedevano per gravità ed estensione geografica dal 1966, sta martellando da giovedì scorso varie zone d’Italia dalla Lombardia, e ieri anche Cremona, dal Veneto al Sud.

È l’altra faccia della siccità estrema che ci ha colpito nel 2022-33 con il primo biennio siccitoso nella storia dei rilievi meteorologici, l’Italia ormai sub-tropicalizzata con il saliscendi dell’onda di calore che sfonda tranquillanente i 40 gradi provocando eventi climatici estremi. L’instabilità è aumentata per il fenomeno cosiddetto “Convective available potential energy”, l’energia potenziale accumulata che solleva possenti masse d’aria caldo-umida dal mare e la trasporta fino a circa 12 km d’altezza in atmosfera. Lassù incontra correnti d’aria fredda formando violentissimi vortici di ghiaccio, e più vorticano più aumenta lo spessore della grandine formando chicchi a strati sempre più grandi fino all’incredibile forma a palla da tennis che piomba al suolo devastando.

Dopo gli ultimi otto anni tra i più caldi di sempre, questo torrido 2023 sarà l’anno più caldo mai segnalato dall’inizio delle registrazioni strumentali avviate a fine Ottocento. Ma l’escalation del clima è ormai senza freni, e se dopo il giugno più rovente, lunedì 3 luglio è passatao alla storia della climatologia finora come “il giorno più caldo mai registrato dal Pianeta” con 17,01°C di temperatura media globale, superando i 16,92°C, della canicola di agosto 2016. Ma altre giornate stanno stracciando un record via l’altro con temperature che toccano i 45°C. in alcune zone del sud e su scala nazionale stazionano fra 36 e i 42°C con umidità e afa.

Il trend è questo, in salita, come dimostrano anche le istantanee del calore dell’atmosfera globale dell’U.S. National Center for Environmental Prediction e delle centinaia di stazioni meteo sparse per il globo fino ai dati della nostra Protezione Civile, Cnr, Ispra, Enea, Italia Meteo. Anche le temperature del Mare Nostrum corrono a una velocità del 20% superiore alla media globale, con ondate di calore prolungate che stanno investendo in pieno la nostra penisola-laboratorio di impatti del riscaldamento globale, toccando il record di sempre con 1,1 gradi in più sulla media.

E se non bastassero questi bollenti record, è in agguato l’onda calda di El Niño, che periodicamente provoca aumenti anche di 2 gradi della temperatura dell’Oceano Pacifico centrale e orientale, con ricaschi altrove. El Niño era scomparso dai radar dal 2016, e 7 anni dopo l’Organizzazione meteorologica mondiale rileva la sua riattivazione annunciando effetti planetari dall’inizio dell’autunno con precipitazioni in Sudamerica, Stati Uniti del Sud, Corno d’Africa e Asia centrale, e siccità estreme in Australia, Asia meridionale e America centrale. L’Italia? Le proiezioni indicano la possibilità che subisca entrambi le conseguenze, speriamo con impatti minimi.

Diciamo subito che il cambiamento climatico non sarebbe nemmeno una novità nella lunga evoluzione del pianeta, sarebbe il suo trend naturale, se non fosse accelerato drammaticamente e per la prima volta dall’invio in atmosfera di gas serra a partire dagli ultimi 150 anni di storia industriale, con danni visibili già oggi.

Che fare? Intanto chiudere il surreale dibattito italiano sul negazionismo climatico di chi prova a negare l’evidenza senza uno straccio di prova scientifica validata da una università o da un centro ricerca o da un organismo nazionale o internazionale minimamente riconosciuto dalla scienza, corredato di corpose documentazioni come ogni seria analisi richiede.

Una cosa è certa ed è accertata: bruciare combustibili fossili sta causando accumuli di gas serra che provocano una accelerazione mai subita dell’aumento della temperatura. Punto. Ma invece di concentrare tutti gli sforzi sugli scenari di cambiamento climatico attesi, sui rischi che stanno determinando e che determineranno, sulle priorità degli interventi sia di mitigazione che di prevenzione e protezione (circa 11.000 opere di varia tipologia del piano decennale di sicurezza idrogeologica dal volore di 30 miliardi prende polvere a Palazzo Chigi dal 2019, dopo la chiusura della struttura di missione “Italiasicura”), si alimenta un dibattito surreale che trasforma un problema scientifico in una polemica tutta politica. I negazionisti a prescindere dalla realtà dei fatti, fanno un grande danno al futuro dell’Italia. Tanto più che la scienza non è politica e il fenomeno scientifico del cambiamento climatico non può essere ridotto a bassa propaganda con interpretazioni personali.

Tutti gli analisti climatici convergono sui report scientifici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, la task force indipendente di 2000 scienziati dei centri di ricerca di 195 Paesi istituita dall’Onu nel 1988 con dentro anche i nostri esperti dal Cnr e il Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici. Nell’ultimo report “Impacts, Adaptation and Vulnerability”, e nel prossimo in preparazione, ci sono molti alert per vite umane, acqua, agricoltura, infrastrutture e aree urbane costiere, biodiversità, e avvertono che “le mezze misure non sono più una possibilità”.

I “grandi emettitori” della Terra sono certo gli Usa con Cina, India, Russia, l’intera Unione europea, Giappone. Ma il 49,2% della popolazione mondiale produce il 67,8% delle emissioni globali di CO2 fossile, con l’Ue che incide per il 12%. Non essendo più realistico l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a fine secolo a 1,5 gradi, la nuova linea del fuoco da non oltrepassare è quella dei 2 gradi, e le valutazioni scientifiche sul breve termine (fino al 2040), sul medio termine (2041-2060) e sul lungo termine (2081-2100) mettono in evidenza rischi già “irreparabili”, con la percentuale di popolazione mondiale esposta a stress da calore che dal 30% salirà al 76%; e un range da 800 milioni a 3 miliardi di persone subiranno scarsità di acqua, carestie, fame e migrazioni soprattutto nell’Africa Sub sahariana, Asia meridionale e Centro America.

Servirebbero riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni nei prossimi 20 anni, uscire dalla trincea a difesa del carbone e petrolio soprattutto, provare anche a chiudere prima possibile la terribile guerra dovuta all’aggressione di Putin all’Ucraina che ha anche l’effetto di aumentare gas serra e frenare le azioni concrete contro quella che non è più solo “crisi climatica” ma “emergenza climatica”.

Insomma, mai come oggi, bisognerebbe sudare non solo per il caldo ma per avviare azioni contro la “pandemia climatica”. L’Italia ha tutte le condizioni per difendersi e investire e produrre lavoro nelle infrastrutture e nelle tecnologie più innovative. Sarebbe l’ora di “mettere a terra” le economie green sostenute dai pacchetti finanziari climatici dell’Unione europea, dal Fit for 55 al Recovery Plan al Green Deal europeo che investono 1000 miliardi di euro in grado di svilupparne 3000, e una quota è nel nostro Pnrr.

Tutto spinge a rinnovare settori industriali ed energetici e i sistemi di mobilità, e le nostre aziende sono le più avanzate. Ma le regole della mitigazione e dell’adattamento richiedono anche la correzione del clamoroso errore di aver consentito di mettere in contrapposizione lotta climatica e crescita e occupazione. Su questo si distingue il nostro governo che pensa di arretrare sui piani europei in nome della falsa vulgata che un futuro green sia sinonimo di crolli di asset produttivi nazionali e chiusure di fabbriche. Aver lasciato agitare sullo sfondo scenari di perdite di centinaia di migliaia di posti di lavoro nei settori più energivori è stato l’errore della Commissione europea che non riesce a comunicare le opportunità economiche che creano e creeranno tanta occupazione e tante economie in tanti settori da lanciare nella competizione globale. Da recuperare alla svelta.



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