L’Italia sta riuscendo a contare di più in Europa grazie al trilaterale con Francia e Germania, con un lavoro certosino e costante cerca di ritagliarsi degli spazi diversi che potranno essere avvantaggiati con le elezioni europee. Dalla politica industriale alle migrazioni, il dialogo con i ministri Adolfo Urso e Raffaele Fitto organizzato al Senato dalla Fondazione Farefuturo
“L’Europa che vogliamo” è il titolo dell’evento organizzato dalla Fondazione Farefuturo lo scorso 11 luglio a Roma, un confronto su politica industriale e questione migratoria europea, due temi fortemente collegati.
Ne hanno parlato Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, Flavia Giacobbe, direttore della rivista Formiche, Paolo Quercia, docente di Studi strategici presso l’Università di Perugia, Beniamino Quintieri, professore di Economia e finanza presso l’Università Tor Vergata, Bassam Essam Rady A. Rady, ambasciatore della Repubblica araba d’Egitto, Andrea Margelletti presidente del Cesi e Vittorio Emanuele Parsi, professore di relazioni internazionali all’Università Cattolica.
Moderati da Luigi Di Gregorio, direttore scientifico Farefuturo, e Mauro Mazza, direttore editoriale Farefuturo. Ha tirato le conclusioni dell’incontro Gabriele Checchia, direttore relazioni internazionali Farefuturo.
Un’area di libero scambio euro-atlantica
“L’Europa che vogliamo deve rispondere al contesto geopolitico profondamente mutato rispetto a qualche anno fa”, ha affermato il ministro Urso che ha portato come esempio l’accordo della Via della Seta. Il nostro Paese, ha ricordato, non ha tratto guadagno dal memorandum di intesa firmato con la Cina. Mentre Francia e Germania, non vincolati da accordi politici e strategici, hanno migliorato il loro interscambio commerciale e la loro presenza economica in Cina.
“Per rispondere alla politica industriale assertiva statunitense, che a sua volta risponde alla sfida sistemica cinese, la reazione europea non può che essere unitaria, per costruire una seconda gamba dell’occidente competitiva sotto il piano industriale, così da creare un’area di libero scambio euro-atlantica”, ha sottolineato Urso.
La politica industriale sin dalla costituzione della realtà europea veniva realizzata da Francia e Germania, ha ricordato il ministro delle Imprese e del Made in Italy. Oggi quel format è superato e si è deciso un’impostazione in cui tre Paesi, Italia, Francia e Germania, si uniscono per decidere insieme in sintonia la politica industriale e anche cosa dire alla Commissione europea nei singoli Regolamenti che questa propone. Tre Paesi che insieme rappresentano la terza potenza industriale globale.
“L’Italia diventerà la protagonista nella politica economica industriale e forse anche nella politica generale dell’Ue – ha detto Urso – è quello che stanno decidendo i cittadini europei con il loro voto nei singoli Paesi e la vittoria del centrodestra, le cui ripercussioni si vedranno anche nelle elezioni europee. Il nostro Paese, infatti, è l’unico tra i grandi dell’Ue in cui il presidente del Consiglio è anche il capo di un partito europeo oltre alla Francia. Questa duplice condizione avvantaggia il peso dei singoli Paesi in Europa”.
L’Italia tra Pnrr e provvedimenti Ue
“L’Italia ha un ruolo centrale in Europa dovuto alla sua stabilità politica e alla centralità del presidente del Consiglio italiano nel contesto internazionale”, ha sottolineato il ministro Fitto. Nel Consiglio europeo straordinario di febbraio in materia di economia grazie alle richieste di Giorgia Meloni sono stati inseriti due temi cruciali: la dimensione esterna e le linee di finanziamento di intervento; la flessibilità nell’uso delle risorse europee del Piano nazionale di ripresa e resilienza e della coesione. Una grande chance per il nostro Paese anche per poter affrontare delle politiche per affrontare il nuovo scenario in cui ci troviamo.
Il nostro Paese nella fase di predisposizione dei provvedimenti europei ha sempre seguito le scelte delle istituzioni europee secondo Fitto. “Oggi abbiamo introdotto un nuovo metodo che rappresenta un’importante occasione di riflessione e un approccio differente rispetto al passato con delle proposte che arrivano prima dell’emanazione dei regolamenti europei. Queste rappresentano un raccordo tra i ministeri competenti e stakeholder, impostando una serie di nuovi dossier nuovi in modo prospettico e positivo”. Due esempi: la nuova legislazione in campo farmaceutico; e la modifica del quadro finanziario pluriennale.
In ambito Pnrr, ha concluso il ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr saranno i fatti a dare le risposte adeguate, anche rispetto al metodo di lavoro sulle scelte fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese.
“Il Pnrr, determinato in una fase storica antecedente all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rappresenta uno strumento e una programmazione che ha visto il superamento oggettivo delle priorità. Noi stiamo lavorando in questo senso, per rispondere alla domanda di energia che necessita di una revisione del Pnrr, al fine di dare una risposta di sistema sul fronte dell’efficientamento energetico”.
Sul tema del Pnrr è intervenuto Matteo Gelmetti, ricordando come, anche il rapporto che l’Italia ha con l’Europa deve essere preso in considerazione, “perché l’Europa può essere piuma o può essere ferro, dipende dall’approccio che noi abbiamo”. I fondi del Pnrr rappresentano un prestito, quindi, se parte di queste importanti risorse vengono delegate dallo Stato ai Comuni gli interventi che questi faranno devono generare valore per l’Italia, altrimenti sarà un problema poi ripagarlo.
Verso una politica industriale europea?
La politica industriale, come ha rilevato Beniamino Quintieri, è una realtà ampia e complessa che ha molte dimensioni. Normalmente, si usa distinguere tre livelli: l’assetto regolatorio, i fattori e le politiche settoriali. È su questi tre livelli che vanno giudicate le politiche industriali europee valutando in quale misura soddisfano l’interesse nazionale.
“Un rafforzamento esterno dell’Europa oggi passa per un suo rafforzamento interno, questo implica che la cessione di un po’ di sovranità nazionale a favore dell’Europa non presuppone la sua perdita. Perché l’interesse nazionale passa per la cessione di sovranità, questo implica anche l’emissione del debito comune, perché non è plausibile che ciascun Paese possa raggiungere da solo obiettivi importanti come quelli attuali. Una cessione di sovranità per una politica industriale comune va nella direzione dell’interesse nazionale” ha sottolineato il professore.
Come ricordato da Flavia Giacobbe, la politica industriale di un Paese è zoppa senza un’adeguata attenzione alla sicurezza economica. Dalla pandemia alla guerra in Ucraina si sono rivelate le fragilità del Vecchio continente, con l’assenza di una comune strategia per evitare la dipendenza da Paesi terzi.
“Non è un caso che il Golden power stia intervenendo in sempre più settori nel nostro Paese. Ma basta che ogni Paese europeo faccia fronte singolarmente alle difficoltà nell’ambito dell’autonomia delle filiere di approvvigionamento? Direi di no” ha affermato il direttore della rivista Formiche.
Il termine a cui si fa riferimento è il de-risking, sarebbe più efficace se ci fosse una risposta unitaria a livello di Paesi like-minded, se si vuole davvero raggiungere questo traguardo hanno bisogno di essere affiancate dalla creazione di un’effettiva autonomia tecnologica e industriale.
Il (nuovo) sistema internazionale
“Tra dieci anni il sistema internazionale che uscirà fuori dalla guerra in Ucraina sarà ridisegnato. Con la globalizzazione c’è stata una grande redistribuzione di ricchezza e anche di potenza, che non possiamo non trasformare in una visione di politica industriale”, ha detto Paolo Quercia.
C’è un blocco di Paesi che fanno i due terzi del Pil del mondo che hanno deciso di sostenere militarmente l’Ucraina e porre sanzioni alla Russia, da questo sistema probabilmente uscirà un blocco geoeconomico, come ricordato dal professore. Da un’altra parte nel blocco ci sarà la Cina e un’ampia area di Paesi terzi che non possono schierarsi, come India, Brasile, Turchia e tanti altri che nel momento in cui si riformula la globalizzazione cercheranno di vivere a cavallo tra diverse realtà.
“L’Europa vive un rischio di de-industrializzazione, la risposta è quella dello Stato stratega che pone obiettivi di lungo periodo e alloca delle risorse per raggiungerli. Strategia vuol dire pagare dei prezzi politici altissimi, concentrando risorse solo su alcuni settori, vuol dire avere dei criteri per determinare cosa è più strategico di altro. Scegliere di tornare a fare politica industriale diventerà centrale per tutto il mondo politico e delle relazioni internazionali dell’Europa. Nel momento in cui si torna a fare politica industriale si sceglie anche tra vari modelli di capitalismo, avere un’idea di uno Stato sociale, un modello sociale verso cui va l’economia” ha concluso Quercia.
“Oggi, come affermato da Vittorio Emanuele Parsi, la politica deve da un lato recuperare la capacità visionaria che è andata perduta negli ultimi anni, in Italia in particolare, ma dall’altra parte deve fare i conti con dei condizionamenti oggettivi e superiori alle capacità di interferenza di qualunque volontà politica anche ben illuminata. I flussi migratori sono uno di questi. Come fare sì che questi flussi non devastino il nostro modo di vivere?”.
La questione del Piano Mattei, ha sottolineato Parsi, è interessante perché pone un punto di vista diverso, ribaltare la prospettiva della questione dell’immigrazione. Ovvero ragionare sul fatto che l’Africa fosse e in parte ancora è il naturale terreno di sviluppo per l’Europa.
L’Europa e la questione migratoria
In ambito europeo, “la composizione degli interessi nazionali è più complicata se si parte da una considerazione per cui la costituzione di una maggiore sovranità europea sottrae sovranità nazionale. Ma il processo di unificazione europea non ha sottratto nessuna sovranità nazionale, consente invece un flusso di sovranità che fa la differenza tra vincere e perdere a livello globale. Su questo devono lavorare i conservatori europei”, ha ricordato Parsi.
L’ambasciatore Bassam Essam Rady A. Rady ha sottolineato l’importanza di un approccio collettivo sui temi della migrazione, “nessuno Stato può affrontare queste tematiche da solo, serve un intervento corale e un’equa ripartizione degli oneri”.
Così gli investimenti infrastrutturali ed economici in Africa rappresentano una situazione win-win. Il prossimo vertice sul tema dovrebbe essere intitolato “L’Africa che vogliamo”, affinché si tratti di un reale contributo alla sua crescita, ha affermato l’ambasciatore.
“Il mondo in cui viviamo non è quello in cui alcuni sperano di vivere – ha detto Andrea Margelletti – bisogna fare un minimo di auto-critica: non preoccuparsi della partita che fanno gli altri, ma del nostro approccio al multilateralismo. Dovremmo decidere che cosa vogliamo fare da grandi, anzi se vogliamo essere grandi”.
“L’immigrazione clandestina crea economia, che si combatte con altra economia. Creando in questi Paesi un sistema economico tale che possa invertire la tendenza dell’immigrazione clandestina. Gli studiosi realizzano previsioni da ascoltare per fare la differenza tra consapevolezza e fantasia, per cambiare le cose ci vuole la capacità di mettere mano al portafogli” ha concluso l’analista del Cesi.