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Una risposta europea alla crisi dei valori di internet. Il libro di Viola e De Biase

Cristiano Zagari commenta il libro “Il Codice del Futuro”, di Roberto Viola e Luca de Biase, 156 pagine sulla transizione digitale, e il ruolo dell’Europa nella regolamentazione dei processi che coinvolgono la rete. Un digitale non regolamentato o mal regolamentato è un lusso che non ci possiamo più permettere

Esattamente due anni fa la docente statunitense Anu Bradford, mediante un bestseller di successo mondiale, sdoganava mediaticamente l'”Effetto Bruxelles” vale a dire la facoltà delle istituzioni europee di gestire ed orientare la regolazione dei due driver di sviluppo della nuova economia mondiale: la transizione ecologica e la transizione digitale.

Tra i meriti del saggio della docente della Columbia Law School, l’aver saputo illustrare la meccanica (il come) di un qualcosa che è oramai un soft power globale  a tutti gli effetti; l’aver saputo creare il giusto suspense rispetto al “dove” questo soft power avrebbe operato; perché è evidente che ad ogni tattica (qui il posizionamento europeo nel mondo) corrisponde  necessariamente una strategia (il cosiddetto “per fare cosa”).

A due anni di distanza dalla fatica letteraria della Bradford qualcuno dall’altra sponda dell’Atlantico sembrerebbe, sempre attraverso un libro e declinando il proprio ragionamento sulla transizione digitale, essere riuscito a completare il ragionamento iniziato dalla docente statunitense.

Roberto Viola, direttore generale per le politiche digitali della Commissione europea (DG Connect), e Luca de Biase, giornalista de Il Sole 24 Ore hanno scritto “Il Codice del Futuro”, 156 pagine molto dense per complessità di argomenti trattati (chi tratta quotidianamente questi temi può testimoniarlo) ma al tempo stesso straordinariamente fluide per via della capacità espositiva degli autori.

Ma qual è la strategia sottesa all’Effetto Bruxelles? Secondo gli autori del saggio, tra i vari obbiettivi, sicuramente l’ambizione europea di declinare il “potere trasformativo ineludibile” tipico del digitale  in un fattore in grado di lavorare per il bene comune dell’umanità. In che modo?

Innanzitutto, per riprendere un’espressione mutuata dal gergo negoziale, rovesciando il tavolo rispetto all’attuale  status-quo regolamentare a livello internazionale sui temi digitali; uno status-quo, che  ha generato e sta generando:

  • distorsioni di contesto (il quadro regolamentare statunitense, in particolare, con la sezione 230 del Communications Decency Act del 1996 ne è una chiara dimostrazione);
  • distorsioni tout-court (i drammatici fatti di Christchurch e lo shattering blow della Brexit sono solo alcuni esempi).

Insomma, è opinione degli autori che un digitale non regolamentato o mal regolamentato sia un lusso che non ci si possa più permettere e che perciò sarebbe arrivato il momento di recuperare il controllo e di iniziare a “pilotare” l’intero processo in funzione di “una trasformazione digitale antropocentrica fondata sui diritti umani”.

Ecco, ma come può avvenire concretamente tutto ciò?

Con una risposta in linea con i tempi (e perciò anche rispetto a crisi straordinarie come la recente pandemia):

  • inquadrata all’interno di un quadro (framework) generale rispetto al quale le istituzioni europee si impegnano in favore di “una trasformazione digitale antropocentrica fondata sui diritti umani e non sulle esigenze della tecnologia”;
  • articolata intorno a strumenti forti ed innovativi (come per esempio il Next Generation Eu ma anche il Green Pass);
  • canalizzata da  “regole, strategie, normative precise e coerenti” (DSA’, DMA’, eIDAS, Chips Act, DORA ecc);
  • narrata al mondo da una “Dichiarazione europea sui diritti e principi digitali per il decennio digitale”.

Insomma, una risposta, che faccia leva su un vero e proprio impianto in grado allo stesso tempo di impattare il presente e di “narrare il futuro”.

Un impianto, che di fatto pone le basi per il superamento del concetto di governance sia nazionale che sovranazionale come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi; del resto, quanto stiamo intravedendo in ambito digitale descrive un chiaro disegno europeo di attribuire all’impianto ora descritto la  struttura ed il valore operativo di un nuovo modo di regolamentare ma soprattutto di governare la complessità.

A titolo meramente esemplificativo, relativamente alla pervasività di questo metodo si pensi all’evoluzione in pochi anni dello stesso green pass, strumento eccezionale nato in circostanze eccezionali e proprio in questi giorni in procinto di diventare strumento di riferimento Oms su scala globale per verificare l’autenticità dei certificati di vaccinazione o di altri documenti sanitari.

In conclusione, sempre parafrasando le parole degli autori alla domanda “Che cosa può fare l’Europa di  fronte alla crisi dei valori tradizionali dell’internet?”. Definire un percorso per “ripristinarli all’interno di uno spazio di sviluppo economico originale”, ridefinendo le regole del futuro e di fatto plasmando il futuro intorno all’uomo e non alla tecnologia.



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