Le sfide da parte dei sobborghi parigini e gli attacchi all’Ucraina dal confine russo: alle radici del malessere europeo, spesso più percepito che reale. L’analisi di Giuseppe De Tomaso
Sarà perché gli immigrati e i loro figli non si sono tutti integrati in Europa. Sarà perché il loro credo religioso non si concilia facilmente con la laicità degli Stati occidentali. Sarà perché la percezione delle disuguaglianze (da non confondere con le povertà) è più profonda di qualche anno fa. Sta di fatto che i disordini in Francia non promettono nulla di buono per la nazione che fu di Charles de Gaulle (1890-1970), per il Vecchio Continente e per il mondo libero in generale. Se, poi, al malessere francese, suscettibile di incunearsi anche nella vicina Germania, si aggiunge l’incognita legata alla guerra contro l’Ucraina, di per sé già devastante non solo per le incalcolabili distruzioni umane, fisiche o morali, lo scenario prossimo dei Paesi democratici europei si annuncia più angoscioso di un intervento delicato in sala operatoria.
Mai come adesso l’Europa avrebbe bisogno di una cura ricostituente per portare a compimento il lavoro di integrazione politica prefigurata dai suoi padri a Ventotene. Ma mai come adesso in Europa, complice l’approssimarsi (2024) delle votazioni per Strasburgo, i nazionalismi e i sovranismi stanno rialzando la testa per riportare indietro le lancette dell’unione. Le elezioni nella futura primavera saranno decisive per la sorte della comunità, già sognata da Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861) e Giuseppe Mazzini (1805-1872).
Se non ci fossero il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i suoi parigrado baltici a sottolineare l’importanza, l’irrinunciabilità, dell’Europa, anche alla luce delle aggressioni programmate e attuate dal Cremlino, probabilmente neppure gli europei, a cominciare dai loro governanti, si renderebbero conto della fortuna che tuttora li accompagna, visto che nel resto del mondo il numero delle democrazie liberali sta calando inesorabilmente, a vista d’occhio, così come cala la nebbia in Val Padana.
Certo, la sensazione che le disuguaglianze stiano crescendo contribuisce a erodere il sentimento di fiducia e a ridurre l’indice di gradimento nei confronti dei sistemi democratici. Ma la cultura europea tende a trascurare alcune considerazioni da mettere sul tavolo delle discussioni. Una: può darsi che la disuguaglianza tra ricchi e poveri stia aumentando, ma non è detto che stia aumentando la povertà. Se così fosse, non si registrerebbe il pressing da parte di africani e asiatici, tutti smaniosi di entrare nel paradiso europeo. Due: la disuguaglianza economica odierna non andrebbe paragonata con quella del passato, assai più marcata e spietata. La maggior parte dei beni di consumo, oggi, viene utilizzata dalla totalità delle popolazioni, non da una piccola percentuale come, invece, si verificava fino a poco tempo addietro. La disuguaglianza può anche crescere parecchio, ma ciò non implica che debba restringersi il benessere, la cui propagazione non ha mai smesso di andare avanti. E poi può resistere sempre, nelle fasce più povere, il cosiddetto Fattore Speranza, ossia il sogno di salire sull’ascensore sociale giusto, quello che ti porta ad una vita più comoda e dignitosa. Tre: può darsi che la libertà individuale sia impegnativa e faticosa perché presuppone e richiede un più convinto senso di responsabilità personale, ma l’alternativa alla libertà è la società chiusa, l’universo concentrazionario già sperimentato nel secolo (scorso) delle idee assassine.
Ha ragione, perciò, il presidente ucraino quando ricorda pedissequamente alle popolazioni e ai governi europei che il suo esercito sta combattendo anche per loro. Viceversa, hanno torto quelle forze politiche europee che addebitano a Zelensky la colpa di un conflitto (da lui subìto) di cui non si intravvede neanche uno spiraglio di tregua. Il bello, ossia il brutto, è che il disagio sociale avvertito nelle principali nazioni europee potrebbe sfociare nella vittoria elettorale, il prossimo anno, dei partiti più ostili al rafforzamento del parlamento di Strasburgo a scapito dei tradizionali parlamenti nazionali. Sia la rivolta delle banlieues in Francia, sia l’insofferenza nei confronti del lottatore di Kiev potrebbero premiare le forze più euroscettiche in circolazione, con buona pace di tutti gli auspìci e i progetti di unità tramandati dagli Alcide De Gasperi (1881-1954) e dai Konrad Adenauer (1876-1967).
Purtroppo sia a destra sia a sinistra il partito degli euroscettici o degli euro-contrari è tutt’altro che ininfluente o dormiente. La sua, ora sottile ora palese, ostilità all’ideale unitario europeo è nutrita, anche o soprattutto, dall’avversione nei confronti dei poteri sovranazionali e delle esigenze del mercato (leggi: democrazia economica). Idem la loro benevola comprensione verso le iniziative di Vladimir Putin. Tutto deriva dall’insofferenza verso il mercato, la finanza, la democrazia, la società dei consumi, l’Occidente.
E pensare che negli ultimi lustri il tenore di vita si è elevato come mai era accaduto in precedenza. E pensare che la povertà assoluta nel mondo si è ridotta a 800 milioni di persone su un totale di 8 miliardi di esseri umani sulla Terra. Soltanto pochi decenni or sono, soltanto un miliardo di individui poteva ritenersi al riparo da carestie e problemi di fame. Nulla, nessuna cifra riesce ad aver ragione delle vulgate consolidate, quelle che danno per acquisite, per asserzioni dogmatiche, verità tutte da verificare e, in alcuni casi, tutte da ribaltare. Verità, per dire, sottaciute anche in occasione delle recenti rivolte parigine, la cui spiegazione è carica di accuse all’Occidente e all’Eliseo anche al di là di ogni ragionevole dubbio. E così si acuiscono i sensi di colpa dell’Europa e del mondo libero, si diffonde la tendenza all’autodenigrazione e all’autocommiserazione. Ma se di fronte alla sfida culturale e sociale mai subìta finora, l’Occidente democratico (nel nostro caso la Francia) non crede in sé stesso, nei suoi valori, come potrà pensare di contrastare la sfida lanciata dai dispotismi, dai padroni delle società chiuse? La prima prova della verità si sta già svolgendo in Francia, con Emmanuel Macron. Guai se dovesse prevalere la cultura della resa.