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Fusione nucleare, obiettivo 2035. Così crescono ricerca e investimenti

Ad oggi 43 realtà private promettono di commercializzare la fusione a stretto giro. Finora hanno attratto 6,2 miliardi di dollari e l’attenzione crescente di investitori e governi, che a loro volta si stanno muovendo per catalizzare lo sviluppo

Continua a scaldarsi la corsa verso la fusione nucleare. I progressi della ricerca – come la prima dimostrazione di guadagno netto di energia tramite fusione – stanno rinvigorendo le speranze di arrivare al “sacro Graal dell’energia”. E continua ad aumentare il dinamismo a livello industriale: grazie al rinnovato interesse degli investitori (nonché dei governi), oggi ci sono 25 realtà che promettono di commercializzare la generazione di energia tramite fusione entro il 2040, o anche prima.

UN SETTORE IN CRESCITA

La fotografia arriva dal terzo rapporto annuale della Fusion Industry Association, ente di rappresentanza per l’industria. Il numero da leggere sono i 6 miliardi di dollari in investimenti attratti finora, in aumento del 27% (più 1,4 miliardi) rispetto all’anno scorso, quando si è registrato il vero boom. Si fa riferimento anche alle voci di ingenti finanziamenti da parte dello Stato cinese, anche se la Fia non ha potuto verificare le notizie della stampa e ha preferito lasciare fuori quelle cifre dal calcolo finale.

La crescita è rallentata rispetto al 2022, scrivono gli autori, ma il dato va contestualizzato. Da una parte l’inflazione rampante, l’aumento dei tassi d’interesse e le incertezze hanno stretto i cordoni delle borse degli investitori. Dall’altra va detto che il rapporto Fia dell’anno scorso evidenziava poche maxi-operazioni per un totale di 2,8 miliardi (di cui 1,8 alla controllata di Eni, Commonwealth Fusion Systems), mentre gli investimenti degli ultimi 12 mesi sono stati perlopiù finanziamenti minori per far partire società nuove di zecca.

Questo elemento è confermato dall’aumento robusto delle realtà che operano nel settore: il totale è salito a 43 dalle 33 dell’anno scorso. Soprattutto, come sottolinea il rapporto Fia, queste aziende “sono estremamente diversificate dal punto di vista tecnologico”. La diversità aiuta a gestire il rischio: 43 “tiri in porta” da tutto il mondo aumentano le possibilità di raggiungere un processo di fusione commercialmente valido.

Non mancano nemmeno l’ambizione e la fiducia: di queste società, 25 ritengono che il primo impianto fornirà elettricità alla rete prima del 2035 (e quattro pensano di farcela entro il 2030). Ma raggiungere gli obiettivi rimane complesso. Se è vero che la fusione ormai è un problema più ingegneristico che tecnico, ogni realtà ha davanti a sé una lunga serie di sfide tecnologiche. In altre parole, il raggiungimento dell’obiettivo “richiederà di concentrarsi sulle tappe intermedie, di abbracciare i rischi e i percorsi paralleli, di stringere nuove partnership e (soprattutto) di aumentare le risorse”.

L’INTERESSE DEGLI STATI

Infine, il rapporto Fia evidenzia un aumento del coinvolgimento dei governi. Finora i finanziamenti pubblici costituiscono “solo” 270 milioni dei 6,2 miliardi di dollari investiti nelle aziende private. Ma nell’ultimo anno si è registrato un aumento di politiche, procedure e interesse pubblico che secondo gli autori può catalizzare lo sviluppo. Per la prima volta la Fia evidenzia la comparsa di “nuovi e significativi programmi di partnership pubblico-privato in nazioni chiave”. Diciotto aziende hanno dichiarato di essere coinvolte, o di diventarlo presto).

Si può parlare di gara in corso anche tra le capitali. “All’inizio del 2023 gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania hanno annunciato nuovi programmi di sostegno alla commercializzazione della fusione, che si aggiungono al già solido sostegno del Regno Unito”. Con 25 aziende su 42 e il grosso degli investimenti, gli Usa sono saldamente in testa, ma si assiste a una crescita importante anche in Giappone, Cina, Australia, Nuova Zelanda, Germania e Israele, “mentre il Regno Unito e il Canada hanno dei seri concorrenti avanzati”.

Aiuta anche la comparsa di quadri normativi più chiari che riducono i rischi d’investimento. Ad aprile Washington ha separato gli ambiti della fissione e della fusione, sulla scia di Londra, cosa che “potrebbe sbloccare ulteriori investimenti privati”. Sono quanto mai necessari, scrivono gli autori, perché quasi tutte le aziende ritengono che i finanziamenti siano ancora una sfida: ne occorreranno molti altri per raggiungere la redditività commerciale.

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