Skip to main content

Quale ruolo militare per l’IA? La corsa Usa-Cina

Lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale per l’impiego militare può rivoluzionare la competizione tra Washington (più alleati) e Pechino. La partita si sta sviluppando sull’accesso ai chip e alla capacità di calcolo, ma contano anche dati, modelli, capitale umano. L’ultimo rapporto del Center for a New American Security fotografa il potenziale dell’IA in un conflitto ed esplora le aree su cui le democrazie devono conservare il vantaggio

Tra gli strumenti destinati a sconvolgere lo sviluppo militare spicca, con distacco, l’intelligenza artificiale. Non a caso è prima nella lista delle cinque tecnologie su cui occorre assolutamente mantenere un vantaggio rispetto agli avversari, secondo l’agenzia di controspionaggio statunitense. Non è ancora chiaro in che modi l’IA cambierà il volto dei conflitti e delle capacità belliche degli Stati, ma i ricercatori concordano sul fatto che possa agire come un moltiplicatore di forza “rivoluzionario” – sia nella cybersfera che nel mondo fisico.

Questo è uno dei motivi dietro agli sforzi degli Usa, insieme a Olanda e Giappone, di limitare l’accesso cinese alle classi di chip più avanzati, ai macchinari che possono fabbricarli e ai data center all’estero. L’obiettivo non è tanto colpire l’economia cinese (le restrizioni sono estremamente mirate) quanto inibire lo sviluppo autonomo della capacità di supercalcolo dell’Esercito popolare di liberazione – che secondo il piano del presidente Xi Jinping deve poter disporre di tecnologia IA all’avanguardia per completare la modernizzazione entro il 2035 e trasformarsi in un esercito “di livello mondiale” entro il 2050.

I PERCHÉ DELLE RESTRIZIONI

In Cina vige la dottrina della fusione militare-civile; ne consegue che anche la società civile va trattata alla stregua di un dipartimento militare, perlomeno dal punto di vista dell’export, visti i confini molto labili tra privati e Partito. È il motivo per cui l’equipaggiamento dual-use, tra cui i chip avanzati per l’IA, deve ricevere l’ok dalla Casa Bianca prima di essere venduto a clienti cinesi: potenzialmente sono tutti parte della strategia di Xi, espressa a marzo, di “aumentare la presenza di forze da combattimento in nuovi domini e di nuove qualità”. Cardine di questa spinta è l’integrazione dell’IA nei veicoli e nei sistemi militari per poter eccellere nella “guerra di precisione multidominio”.

L’IA COME ARMA

“In parole povere”, spiega l’ultimo rapporto del Center for a New American Security (Cnas), “questo concetto sostiene che la stessa rete che conferisce alle forze armate statunitensi la loro potenza crea interdipendenze tra le sue forze, che sono anche vulnerabilità che possono essere sfruttate. Così, invece di dover distruggere direttamente le forze nemiche statunitensi, nave per nave o carro armato per carro armato, la Cina può attaccare i punti deboli che collegano tra loro i sistemi e i domini statunitensi e quindi neutralizzare o sopraffare i vantaggi degli Stati Uniti. Questi punti deboli possono includere collegamenti di comunicazione via Internet, satellite o elettromagnetici, nonché sistemi di approvvigionamento logistico”.

In quest’ottica, continuano gli autori, l’IA è fondamentale perché “nell’ambiente dinamico di un conflitto reale, identificare e colpire i punti deboli degli Stati Uniti richiederà il rilevamento, la trasmissione e l’elaborazione di grandi quantità di informazioni a una velocità che solo i computer possono eguagliare”. E la competizione si gioca necessariamente anche sul fronte economico, perché man mano che invecchiano “navi, aerei e altri sistemi d’arma un tempo all’avanguardia, i costi di gestione e manutenzione aumenteranno rapidamente, potenzialmente escludendo gli investimenti nelle capacità di nuova generazione basate sull’IA”.

LA STRADA IN SALITA DI PECHINO

C’è da dire che la tecnologia stessa potrebbe rivelarsi difficile da padroneggiare anche con risorse abbondanti. Da una parte, spiega il rapporto Cnas, i controlli imposti da Usa e alleati “potrebbero ostacolare la capacità di Pechino di sviluppare e far funzionare su scala sistemi abilitati all’IA”. Dall’altra la Cina “potrebbe semplicemente non avere la capacità di innovare all’avanguardia della tecnologia militare”. Per modernizzare l’esercito il Partito può imitare quelli avanzati, come quello statunitense o russo, ma implementare sistemi di IA “richiede l’introduzione di tecnologie militari totalmente nuove e di concetti operativi per il loro utilizzo”. Infine, gli ostacoli legati alla struttura burocratica o al controllo politico potrebbero limitare ulteriormente le ambizioni di Pechino – assieme alla mancanza di personale qualificato.

DATI, MODELLI…

Il grosso degli sforzi Usa si sono concentrati su colpire la capacità di calcolo cinese e non altri elementi fondamentali dell’IA, tra cui i dati, il talento umano e gli algoritmi. Non sono affatto esclusi ampliamenti delle restrizioni, anzi: uno dei motivi che alimentano la spinta politica per vietare TikTok negli Usa “è guidato in parte dalla preoccupazione che i dati degli americani possano essere utilizzati per alimentare i progressi dell’IA cinese”. Va anche detto che non serve la capacità di calcolo per addestrare i modelli IA se si ha accesso ai modelli già addestrati e resi disponibili: non è un caso che i concorrenti cinesi di ChatGPT siano comparsi nel giro di pochi mesi.

Naturalmente, però, l’obiettivo è sviluppare strumenti più potenti e innovativi di quelli in mano ai rivali. Motivo per cui Washington potrebbe muoversi per impedire che i dati più rilevanti per addestrare sistemi di IA militari vengano trasferiti in Cina. Anzi, il governo “ha già imposto restrizioni all’esportazione e alla divulgazione del codice sorgente degli algoritmi di IA progettati per l’analisi geospaziale e ha preso in considerazione regole simili per il software di riconoscimento facciale, alla luce dell’uso che la Cina ha fatto di questa tecnologia per le violazioni dei diritti umani”. In effetti, la sorveglianza di massa sembra essere l’unico campo in cui Pechino è più avanti dei rivali occidentali.

E CAPITALE UMANO

Poi c’è forse la questione più vitale: le restrizioni del genere potrebbero limitare la forza della ricerca statunitense – considerando che i ricercatori cinesi sono i primi per rappresentanza negli atenei Usa, e guardando alla forte collaborazione sulla ricerca tra i due Paesi. Una potenziale leva nelle mani del Partito-Stato, che negli ultimi vent’anni ha lavorato incessantemente per prendersi i migliori talenti scientifici. I dati Ocse indicano che nel 2021 la Cina ha registrato un afflusso netto di oltre 2.000 scienziati pubblicati, mentre gli Usa hanno subito un deflusso netto – anche se Pechino è preoccupata di non riuscire a tenere le menti migliori in un Paese così autoritario.

IL CASO HUAWEI

In ultima analisi, è il talento umano che ha consentito ai ricercatori cinesi di recuperare sul campo dei chip 5G, dove la Cina ha subito una battuta d’arresto notevole nel 2019 a causa delle restrizioni dell’amministrazione di Donald Trump – il vero preludio alle misure di export control adottate dalla Casa Bianca di Joe Biden. Da allora, in assenza di componentistica statunitense, il titano cinese Huawei non è riuscito a mettere sul mercato cellulari dotati di connettività 5G e si è vista decimare l’imponente quota di mercato globale. Almeno finora: secondo quanto rivelato da Nikkei Asia, l’azienda intende tornare a produrre cellulari col 5G già da quest’anno.

Se Huawei riesce a rimettere le mani su queste componenti (relativamente datati rispetto a quelle più avanzate) lo deve alla controllata statale Smic, principale chipmaker cinese, che secondo diversi rapporti sarebbe riuscita a fabbricare chip sufficientemente avanzati modificando i macchinari fabbrica-chip meno sofisticati che alla Cina è ancora concesso importare. Ma non per questo l’ostacolo è risolto: il tasso di rendimento previsto, inferiore al 50%, significa che fabbricare chip 5G sarà costoso e poco competitivo – cosa che non aiuta la salute delle aziende cinesi.

Il risultato, comunque impressionante, evidenzia la difficoltà cinese nel raggiungere il livello tecnologico di Usa e alleati. È qui che si dipana la strategia di Washington, che finora si è espansa dai chip 5G a molte delle classi di chip più avanzate (tra cui quelli per l’IA) e ai macchinari necessari per fabbricarle: rallentare lo sviluppo cinese nelle aree chiave per mantenere la leadership tecnologica-militare.



×

Iscriviti alla newsletter