Il ministro delle Imprese ha spiegato che i contatti con il colosso Usa sono “continuativi” e che il progetto in Italia è “il più avveniristico”. Tra pochi giorni attesa la presentazione del piano nazionale per i semiconduttori con misure fiscali e semplificazioni
I contatti tra il governo Meloni e il colosso statunitense Intel per l’apertura di uno stabilimento in Italia per la fase di back-end della produzione dei microchip sono “continuativi”, ha spiegato nei giorni scorsi Adolfo Urso, ministro delle Imprese e Made in Italy, in audizione in commissione Industria del Senato.
“Con le due Regioni interessate, Veneto e Piemonte”, ha continuato, “abbiamo risposto a tutte le richieste su formazione e logistica del territorio, sia per quanto riguarda le risorse. Poi sceglierà l’azienda dove localizzare”. Intel ha presentato un progetto europeo che prevedeva una serie di investimenti in Francia, Germania e Italia, “e quindi deve rispondere alla richiesta di un progetto europeo”, ha proseguito. “Quello in Italia è il più avveniristico, perché riguarda un nuovo stadio tecnologico nei chip, mentre in Francia e Germania risponde alla tecnologia attuale”, ha aggiunto.
Nelle scorse settimane, in Italia erano montate le preoccupazioni sul futuro dell’impianto dopo che l’azienda aveva annunciato un nuovo impianto all’avanguardia di assembly & test (montaggio e test) dei semiconduttori in Polonia per un investimento fino a 4,6 miliardi di dollari. Intel aveva spiegato a Formiche.net che lo stabilimento è sì parte della fase di back-end della produzione, ma è differente e non sostituisce quello oggetto di interlocuzioni aperte con il governo italiano. “Le interlocuzioni sono aperte per un possibile ampliamento della presenza dell’azienda in Italia e apprezziamo l’impegno del governo italiano per lo sviluppo di un ecosistema competitivo nel settore della microelettronica”, aveva sottolineato un portavoce.
Il discorso Intel in Italia coinvolge anche l’acquisizione da parte del colosso statunitense di Tower Semicondutor, società israeliana specializzata in produzione di chip e circuiti “on demand” e presente anche in Italia negli stabilimenti del gruppo italofrancese StMicroelectronics ad Agrate Brianza, in provincia di Monza Brianza. Nei giorni scorsi Pat Gelsinger, amministratore delegato di Intel, è stato in Cina per incontrare le autorità in merito all’acquisizione. Una domanda può sorgere spontanea: perché un’azienda israeliana senza stabilimenti in Cina ha bisogno dell’approvazione di Pechino? Perché qualsiasi azienda che raggiunga una soglia di fatturato di circa 55 milioni di dollari in Cina è soggetta al vaglio dell’antitrust di Pechino. L’operazione è fattibile anche senza il via libera cinese di Pechino, che però potrebbe poi limitare Intel sul mercato cinese, che assorbe il 30% delle vendite.
Ma “Intel non è l’unica azienda che può investire nel nostro Paese, è una tra le tante”, ha ricordato Urso in audizione. Nei mesi scorsi una task force voluta dal ministro è stata a Taipei, Seul, Tokyo e a Washington, anche in vista del Chips Act italiano. Che è ora pronto al decollo. Si tratta di un pacchetto di misure fiscali e semplificazioni per rendere il nostro Paese meno dipendente dall’estero e più sicuro sul fronte delle filiere strategiche. Gli obiettivi, come anticipato dal Messaggero, sono sostanzialmente tre: attrarre dall’estero le imprese del comparto più innovative, favorire la produzione interna, difendere la sovranità tecnologica.